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Ragazzi, con questo articolo voglio provare a cogliere uno dei momenti più drammatici e significativi della vita di ciascuno di noi. Uno di quei momenti in grado di segnarti a vita come uno giusto o come uno sfigato, come uno che ha carattere o come uno che fa tutto quello che gli si dica, come un povero coi soldi propri o come un ricco coi soldi d'altri. Sì insomma parlo di quando i nostri genitori ci hanno posto la domanda fino ad allora più importante della nostra vita:” Allora Andrea che sport vuoi fare?”. E chiedere ad un bambino di 6 anni cosa voglia fare è come pretendere che Brunetta prenda il barattolo di biscotti dalla mensola più alta della credenza. In quel preciso istante vengono fuori la vera indole e le ambizioni di un genitore per un figlio. Il genitore, consapevole di essere la figura che indirizzerà nel bene e nel male il bambino, si sente responsabilizzato e in dovere di consigliarli ciò che ritiene meglio per lui, mettendolo spalle al muro. A mio vedere è possibile catalogare i diversi sport tra cui un bambino può scegliere in diverse macrocategorie:

Sport da figli di papà: in questa categoria rientrano sport come il polo, l'equitazione, il golf, il tennis e il volano. Come molti di voi già sapranno o avranno capito, per sport da figli di papà (o da genitore 1 come vuole la Kyenge) si intendono tutti quegli sport praticati da persone con uno stereotipo comune: i soldi. I figli di papà sono in realtà bambini sfortunati a cui è data una scelta molto ristretta di sport da praticare per mantenere il loro elevato status sociale e che per Natale ricevono una racchetta da tennis professionistica con incastonato un diamante nell'impugnatura anziché il pupazzo di Action man. Così succede che all'età di 6 anni il papà gli dica: ”Ambrogino, visto che devi cominciare a fare sport sabato ti porto al circolo di tennis con me e ti iscriviamo al precorso agonistico quinquennale che fanno anche i figli del Belli, del Peri e del Barbieri, va bene?” Generalmente il bambino acconsente per mancanza di conoscenze, ma nel caso in cui dovesse dissentire può sempre scegliere in alternativa il golf o un corso di finanza.

Su dieci bambini che cominciano così sport, uno diventa effettivamente bravo, ma vuoi mettere quante conoscenze altolocate si fanno?

Sport da figli di madri apprensive: questa categoria di sport è forse la più generale e che ci tocca un po' tutti nel profondo. Le mamme, si sa, sono apprensive di natura per quello che riguarda i propri pargoli, ma in tema di sport diventano come i politici in campagna elettorale: mentono con una convinzione pazzesca. La madre apprensiva quando chiede al figlio che sport vuole praticare gli fa capire tramite subdoli giochi di sguardi intimidatori cosa può o cosa non può fare. Se il bambino accenna una parola che cominci con cal-, foot-, hock-, loro gli lanciano uno sguardo di fuoco che incenerirebbe anche l'amianto. Sport adatti ai loro bambini sono il nuoto, l'altetica leggera e il judo. Stranamente un altro sport praticabile è il basket, probabilmente perchè le mamme si fanno intortare dalla storia che nel basket non c'è contatto fisico e le partite sono tutte giocate di fondamentali.

Il discorso cambia se le mamme apprensive hanno delle figlie. A questo punto da apprensive si trasformano in competitive e spingono la figlia a fare danza classica per diventare prime ballerine del teatro di Mosca e colmare la delusione che hanno covato per una vita intera nel non essere diventate partner sul palco di Roberto Bolle.

Sport da cugini:come si sa, l'erba del vicino è sempre più verde. In ogni famiglia che si rispetti c'è sempre il cugino più bravo, più bello, più tutto a cui i genitori (che poi sono gli zii) permettono di fare tutto mentre a te i tuoi genitori (che sono gli zii di tuo cugino) non lasciano fare un bel niente. Il tipico cugino pratica sport come il calcio o il basket, ma a livello che sembra quasi semiprofessionistico. Al momento della scelta dello sport il bambino sceglierà lo stesso del cugino per spirito di emulazione (i genitori generalmente non si oppongono vedendo la possibilità di far scarrozzare i figli dai propri fratelli e sorelle), ma dopo poco entrerà nella spirale decadente del vivere all'ombra del parente più bravo, più bello, più tutto che ne comprometterà lo sviluppo indipendente della personalità.

Sport da nipoti dei nonni: qua arriviamo alla categoria che più ci piace, quella in cui parliamo degli sport che vengono consigliati dai nonni. In quanto genitori dei genitori sono come la costituzione: non possono essere contraddetti e hanno massima voce in capitolo su ogni cosa. Fortunatamente gli sport consigliati dai nonni sono anche i più normali, in quanto retaggio di una giovinezza vissuta in tempi in cui c'erano molte meno pretese di adesso. Il calcio, il basket, il tennis, la pallanuoto sono tutti sport che i nonni vedono di buon occhio. Inconsciamente, un bambino che segue il consiglio del nonno è quello con le maggiori possibilità di successo, in quanto può godere della grande esperienza maturata da questo nel corso della vita, aiutandolo e allenandolo a modo proprio affinchè diventi un giorno un possibile fenomeno. Se invece il nonno ha già abbondantemente superato la soglia dei settant'anni il consiglio diventa controproducente e includerà sport come la briscola, il burraco e lo scopone scientifico. Il bambino non imparerà nulla sui valori dello sport, ma una vagonata di bestemmie in dialetto sì.

Insomma, fin da quando eravamo piccoli le scelte nostre e non hanno segnato il nostro stile di vita, ma, ricordando una frase di Tyler Durden dal film Fight Club, infilarci le penne nel culo non fa di noi galline.

P.S. nessun Andrea è stato maltrattato durante la stesura di quest'articolo e Ambrogino alla fine ha ricevuto anche un pupazzo di Action Man per la Befana.

Alberto Barbazeni

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Il titolo parla chiaro.

Con una scelta in totale controtendenza scelgo di parlare del terzo sport più popolare in Italia (non c’è bisogno di ricordare che i primi due sono rispettivamente i tornei di carte alle sagre e le bocce, nelle varianti beach, outdoor e indoor).

Si è appena conclusa l’ottava giornata di Serie A e sembra ieri quando potevamo ancora leggere dichiarazioni scoppiettanti sulla Gazzetta versione estiva.

Non lo so, mi sono appena svegliato, Berlusconi mi ha già cacciato? (Fonte)

L’unica cosa rimasta è sopportare la noia del calcio giocato, orpello di tutto ciò che appassiona il tifoso italiano ovvero la discussione intorno ad esso, con criteri più o meno vari di corrispondenza con la realtà (“Me lo sento, questo è l’anno di De Ceglie” oppure “Te l’avevo detto che non dovevamo dare via Schelotto, con Mazzarri faceva 15 gol”).

Per lo stoicismo del tifoso moderno ho stilato una guida alla Serie A 2013/2014, squadra per squadra, capace di far avvicinare al calcio anche i neofiti (ad es.: Massimiliano Allegri) e di far allontanare anche i tifosi più irriducibili.

Avrei voluto scrivere dei piselli più lunghi della Serie A (vedi qui) ma ho preferito rinunciare in attesa di poter dedicare all’argomento spazi più ampi.

Tipo un saggio.

O un sospensorio XL.

Il fatto che utilizzi dei soprannomi per le varie squadre è ovviamente una delle tante sfaccettature della mia sterminata cultura calcistica (Wikipedia).

La Dea (Atalanta B.C.)

Con uno degli allenatori più longevi della Serie A (Colantuono, secondo solo a Guidolin), qualche acquisto importante come Yepes e la conferma di Denis, l’Atalanta finora ha perso contro le squadre con cui doveva perdere e vinto contro le altre, confermandosi una noia mortale. Il colpo di mercato più importante è stato probabilmente la cessione definitiva di Peluso alla Juventus (4,8 milioni di €!).

Non se la caga nessuno oltre Bergamo (non saprei dire se Bergamo bassa o Bergamo alta).

I Felsinei (Bologna F.C. 1909)

Con un numero 9 come Bianchi e un 10 come Moscardelli è incredibile che al momento sia penultima in piena zona retrocessione. Voglio dire, almeno al Sassuolo il 9 non l’hanno dato a nessuno, una consapevolezza che andrebbe premiata. “Siamo scarsi, perché prenderci in giro?”

Nessuno ne sentirà la mancanza in Serie A l’anno prossimo. Forse solo i pusher e i tatuatori di Diamanti.

Casteddu (Cagliari Calcio)

Ora che finalmente (sembra) possono tornare a giocare in Sardegna proporrei di bloccare l’accesso alle grandi isole ogni domenica e giocare solo Cagliari-Catania (e Catania-Cagliari) da qui alla fine del campionato, di modo che nessuno debba più annoiarsi a guardare squadre così scarse.

Si salveranno entrambe (purtroppo).

Gli Etnei (Calcio Catania)

Vedi sopra.

I Gigliati (A.C.F. Fiorentina)

La Fiorentina gioca un calcio tra i più belli della Serie A, o almeno così dicono i giornali. Hanno una rosa che sulla carta è più forte di quella di Milan e Inter (probabilmente anche messe insieme) ma sanno tutti che il viola porta sfiga.

Se si fosse spaccato Aquilani e non Gomez sarebbero arrivati in Champions, purtroppo anche quest’anno non andranno più in là dell’Europa League (Hellas Verona permettendo).

Zena (Genoa Cricket and Football Club)

Detta anche “l’album Panini della serie A” per la velocità con cui i giocatori vanno e vengono, è una squadra che non ha niente da chiedere al campionato se non vincere anche il derby di ritorno. Ci riusciranno (Hellas Verona permettendo).

Il Doria (U.C. Sampdoria)

Dopo il 14° posto dell’anno scorso, l’obiettivo di questa stagione è fare ancora peggio e ci stanno riuscendo alla grande. Unica pecca è non essere già in Serie B matematicamente ma il campionato è ancora lungo e Bologna e Sassuolo non spaventano Delio Rossi, forte di giocatori come Gentsoglou e Wszołek.

Le Triglie (A.S. Livorno Calcio)

Trascinati da Paulinho in Serie A, nessuno si ricorda del Livorno finché la sua squadra non ci gioca contro (Ah ma il Livorno è in Serie A? Gioca ancora Lucarelli?)

La fortuna è che non se ne sono resi conto nemmeno loro. Mentre continuano a chiedersi che pessima stagione abbiano avuto Napoli e Roma l’anno scorso per finire in B (le uniche squadre degne incontrate finora), il Livorno galleggia a metà classifica, sperando in una svolta nel girone di ritorno che consenta loro di arrivare a giocarsi i playoff a fine anno.

Il Biscione (F.C. Internazionale Milano)

Se sento ancora una volta parlare di “cura Mazzarri” vado a tatuarmi la faccia di Nagatomo su un polpaccio à la Che Guevara.

Inoltre meriterebbero una qualche sanzione disciplinare per come si sono comportati col Sassuolo. Non per il 7 – 0 ma per il prestito di Schelotto, una mossa così infima che nemmeno Silvestre al Milan o Cassano al Parma.

Tutti si aspettano vagonate di soldi da Tohir e compagnia, sulla base di modelli illustri come gli sceicchi di Manchester City e PSG. In realtà spenderà ancora meno di Moratti e riempirà l’Inter di indonesiani in infradito che ci metteranno i primi 5 anni a capire cos’è esattamente il fuorigioco. Per poi abbandonare tutto appena Bergomi, durante una visita, si lascerà sfuggire l’espressione “fuorigioco passivo”.

Lascerà una società piena di debiti a causa delle spese per i corsi di formazione.

Il Diavolo (A.C. Milan)

Allegri è ancora al Milan un po’ controvoglia, in aperta ostilità con Berlusconi e voluto solo da Galliani che sa bene di non poter trovare un altro allenatore da pagare così poco. Ancora non si riesce a capire se sia scarso o un fenomeno per i risultati che riesce a ottenere con questo Milan.

Questa è la favoletta che continuano a raccontare i giornali, la realtà è un’altra.

Allegri ha vinto uno scudetto perché aveva un po’ di gente buona in squadra e nessuna valida alternativa se non un Inter spompata, poi quando hanno cominciato a vendergli i giocatori forti ha pensato bene di cambiare aria. Nonostante Berlusconi fosse ben felice di questa scelta, Galliani si è reso conto che un altro allenatore da pagare così poco non si trovava (Perché lo pagano poco, giusto? GIUSTO?), soprattutto non un altro allenatore capace di mangiarsi così tanta cacca tutta insieme.

A questo punto Allegri, da perfido manipolatore qual è, ha accettato di rimanere al Milan continuando a:

  1. farsi pagare da Berlusconi, facendogli marameo ogni volta che apre una busta paga;
  2. avere una reputazione medio - alta (“Non è lui che è scarso, guarda che rosa si ritrova”).

Tutto questo e qualcosa in più: VENDETTA.

Guardatelo bene durante la prossima conferenza stampa in cui dichiara di non avere niente a che fare con gli infortuni di mezza squadra, in cui si dice costretto a far partire Birsa titolare, in cui “non può rimproverare nulla ai ragazzi”.  Ho i brividi ogni volta.

Un pensiero speciale a Mauro Tassotti, costretto a lavorare con Mexes e Zapata.

I Partenopei (S.S. Calcio Napoli)

È sorprendente vedere il Napoli ai primi posti anche quest’anno nonostante De Laurentiis abbia deciso di riconvertire la squadra al soft air.

Come al solito il fattore determinante (in negativo) sarà lo spreco di energie tra campionato, coppa e deathmatch.

I Ducali (Parma F.C.)

Una squadra talmente anonima che nemmeno Cassano fa più parlare di sé da quando ci gioca.

Le Aquile (S.S. Lazio)

Non hanno cambiato niente dalla scorsa stagione tranne la cessione di Kozák. Andate a leggervi la guida alla Serie A 2012/2013 e pensate che potrà andare solo peggio.

‘A Maggica (A.S. Roma)

Vincerà lo scudetto? Lo spero.

La Ferilli farà un altro spogliarello senza spogliarsi veramente? Che differenza fa, ormai c’è youporn.

Nessuno si aspettava granché dalla Roma e ora mezza Italia la tifa, purché non vinca di nuovo la Juventus. Eppure i segnali erano chiari: hanno semplicemente venduto tutte quelle schifezze comprate da Zeman lo “scopritore di talenti”, tipo Panagiotis Tachtsidis o Mauro Goicoechea, e sono riusciti a fare chiarezza in spogliatoio tra Marquinho e Marquinhos guadagnandoci anche 31,4 milioni di €. Per non parlare del fatto che si sono liberati pure di quella pezza di Osvaldo.

Poi si sono comprati De Sanctis, Strootman, Gervinho, Ljajić, Benatia e si sono presi Maicon aggratis.

E tutti a parlare di Tevez e Ogbonna.

Sasòl (U.S. Sassuolo Calcio)

Cinque anni fa Squinzi sognava Champions e Kaká.

“Uno dei nostri segreti è che la proprietà è lontana, il management è competente e non rompe le scatole ai tecnici. Abbiamo vinto con Remondina e Allegri, ora c’è Mandorlini: se la cabala continua... andiamo in Champions!”

Se quest’anno la sua squadra riuscisse a salvarsi (c’è una minima speranza, vedi Bologna-Sampdoria-Catania), potrebbe addirittura esaudire un desiderio su due. Purtroppo non credo sia così scemo da comprarsi Kaká.

La Goeba (Juventus F.C.)

Non è più la squadra dell’anno scorso. Tre grandi acquisti (Tevez, Llorente e Ogbonna) e tre cessioni importanti (Giaccherini, Anelka, Bendtner) sembravano aver mantenuto un certo equilibrio nella rosa. Allora perché non sembra più a squadra imbattibile dell’anno scorso?

Tutti danno la colpa all’impegno in coppa e al dispendio di energie ma il problema è un altro e ben più grave.

MARCO MOTTA.

È tornato e subito si è inceppato il meccanismo. Probabilmente riempie le scarpe dei compagni di schiuma da barba prima di ogni partita, fa scherzi telefonici a Pirlo alle 3 di domenica mattina e cosparge i guanti di Buffon di sciolina. O più semplicemente i difensori della Juve non si riescono nemmeno più ad allenare da quanto è scarso.

La sua firma è stata la sostituzione all’83° minuto di Fiorentina-Juventus. Chapeau, maestro.

(Se non mi credete tornate su alla voce Bologna. E poi leggetevi questo)

I Granata (Torino F.C.)

Un po’ come i migranti di inizio secolo che dalle regioni povere dell’Italia del sud si trasferivano per cercare lavoro alla Fiat, anche questo Torino risente dei flussi di migrazione interna, in particolare dal Bari (Barreto, Gazzi, Gillet, Masiello S., Meggiorini, Padelli, Glik, Bellomo e l’allenatore Ventura).

Il lavoro maggiore per questa squadra sarà quindi evitare di finire in mano a gente come Lapo.

L’Udin (Udinese Calcio)

Come al solito altalenanti, anche quest’anno dopo un avvio difficile si piazzeranno a metà classifica grazie a 40 gol di Di Natale. Venderanno qualche sudamericano 50 volte il prezzo d’acquisto e ne compreranno altri 10, in una sorta di batteria di polli versione calcistica.

I Mussi Volanti (A.C. Chievo Verona)

Che dire di questa squadra?

La domanda non è retorica, nessuno ha ancora capito come funzionino. A un certo punto, verso la terzultima giornata di campionato, qualcuno guarda la classifica, li vede lì in mezzo e ripensa a tutte le volte che ha sentito parlare del Chievo durante la stagione.

Nemmeno una.

I Butei (Hellas Verona F.C.)

I cugini cattivi del Chievo, squadra rivelazione forse anche più della Roma.

La loro corsa continuerà fino a metà stagione (termineranno secondi il girone di andata); poi Luca Toni rivelerà le sue origini congolesi e chiuderanno il campionato in decima posizione.

Unica nota positiva sarà l’uscita dalla crisi per il mercato delle banane di Verona.

Massimo Ferdinando

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A tutti capita qualche volta di sentirsi depresso, proprio a tutti, anche a Matri. Perciò oggi vi diamo 10 pratici consigli che vi aiuteranno a stare meglio quando vi sentite giù di morale.

Altro che Paroxetina.

#1. Guarda le cose da una diversa prospettiva

A volte i problemi che viviamo ci possono sembrare enormi, ma basta cambiare prospettiva per sentirci meglio. Pensate a quanto siete minuscoli voi e i vostri problemi rispetto all'infinità dell'universo, subito sentirete la felicità sgorgare da dentro.

depresso

 #2. Ricorda che con la forza di volontà puoi diventare quello che vuoi

Per quanto la vita ti abbia privato di talento, bellezza, forza, potenza, con la forza di volontà puoi diventare qualsiasi cosa tu voglia, abbattendo tutti gli ostacoli. Volete un esempio? Quando era piccolo tutti dicevano a questo cammello che non sarebbe mai potuto diventare il T-Rex di Jurassick Park...

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#3. Leggi gli stati di Facebook dei tuoi amici Niente ti può fare stare meglio che la mediocre stupidità delle persone che ti stanno vicino, sopratutto se sono felici. Vi accorgerete dagli status dei vostri amici quanto sia terribile essere felice per una tazza di cioccolata calda o per un viaggio alle Canarie. A questo punto sarete contenti di essere depressi, il che non vi renderebbe più depressi, quindi tornate a deprimervi per non essere felici, stupidamente felici. Chiaro no? #4. Guarda una puntata delle prime stagioni dei Simson tumblr_mbqnxmyokx1rwl09fo1_500   #5. Esci con un tuo amico d'infanzia Gli amici con cui cresci sono insostituibili. Se ti senti giù un amico può tirarti su di morale senza nemmeno parlare. anigif_enhanced-buzz-22155-1371483387-6

#6. Pensa a Paolo Brosio 

depresso

#7. Ricordati che anche le grandi celebrità attraversano brutti periodi

Non sei solo, tutti attraversano momenti difficili nella vita. Pensa a Britney Spears, Lindsay Lohan, Charlie Sheen, Pete Doherty. Hanno sofferto, ma adesso stanno benissimo.

[caption id="attachment_5267" align="aligncenter" width="490"]Mi sento molto meglio Mi sento molto meglio[/caption]

#8. Ascolta un live della Brian Setzer Orchestra

#9. ricorda che tutto passa, nulla è per sempre

Ricorda che per quanto possa sembrarti senza fine il brutto periodo che stai attraversando, tutto nell'universo ha un inizio e un termine. Panta Rei, tutto scorre, tutto muta, tutto nasce e muore. Nulla è per sempre, tranne Una poltrona per due su canale 5 la vigilia di Natale.

[caption id="attachment_5268" align="aligncenter" width="492"]Mi sono iscritto a economia solo per capire la scena finale con i future Mi sono iscritto a economia solo per capire la scena finale con i future[/caption] #10. Guarda Hanna e le sue sorelle #11. Vai su Google ricerca immagini e digita "Emily Ratajkowski topless"

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#12. Ma sopratutto, ridi delle disgrazie altrui

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college-graduateSiete soddisfatti di come è andato il vostro percorso universitario? Domanda a cui è difficile rispondere tout de suite. Perché probabilmente ora state naufragando in un mercato del lavoro fatto di stage pro bono e disoccupazione forzata. O peggio lavorate.

Per capire se avete sfruttato al meglio gli anni dell'università non dovete cercare la risposta dentro di voi. Immaginare l'andamento di ipotetici scenari in pieno stile 'Sliding Doors' non cambierà una virgola del vostro presente. Eccetto il vostro umore. In peggio.

Quel che è fatto è fatto, ora è il momento di guardare avanti.

Voto di laurea, esperienze lavorative, stage, competenze e altre cose che vi è stato detto di inserire nel curriculum, nulla che dica se negli anni dedicati alla vostra istruzione avete sfruttato il potenziale ludico di questa opportunità.

Rimediamo subito. Ecco l'esame più importante, il trenta dei trenta (o dei trentenni), il voto che valuta in che misura potete dire di esservi goduti l'università.

Ad ogni affermazione che vi rappresenta corrisponde un punto. Le affermazioni sono in ordine crescente di difficoltà e la somma delle risposte ''l'ho fatto'' è il vostro voto all'esame.

Ovviamente se qualcuno sta facendo l'università ora o si appresta a farla ha tutto il tempo per riempire interamente questa lista.

Quanti di voi meritano la lode?

1) Vivere fuori casa.

2) Non passare uno o più esami.

3) Saltare lezione.

4) Bere di prima mattina con i compagni di corso per festeggiare la fine di un esame.

5) Studiare insieme a lui/lei sperando di farvelo.

6) Fantasticare eroticamente su chi vi teneva lezione.

7) Saltare tutto il corso e comprare o elemosinare gli appunti delle lezioni.

8) Rifiutare di distribuire i vostri appunti.

9) Preparare un esame in un giorno e passarlo.

10) Trovarvi all'ultimo momento con i tempi di consegna della tesi.

11) Passare un esame esclusivamente copiando.

12) Dormire a lezione.

13) Vivere le giornate in aula studio per almeno un mese consecutivo (esclusi festivi).

14) Fare l'after per leggere gli ultimi capitoli dell'esame.

15) Dormire a casa di altri studenti (anche in altre città).

16) 'Studiare' mentre siate in vacanza per gli esami di settembre.

17) Litigare con i coinquilini per le pulizie.

18) Fare l'alba (o più) con gli amici a tarallucci e vino (o le innumerevoli varianti tossiche di questo scenario).

Chi ha ottenuto almeno 13 punti su 18 può passare alla seconda parte della prova. Gli altri devono rifare l'università.

19) Umiliarvi nell'implorare un prof per ottenere quel mezzo punto che vi serve a raggiungere il 18.

20) Studiare insieme a il lui/la lei che vi piace e farvelo/a.

21) Finire al pronto soccorso per voi o per un vostro amico (non valgono i tirocini dei medici).

22) Organizzare una festa in appartamento e venire interrotti dalla polizia.

23) Mangiare pasta al tonno per almeno una settimana di fila.

24) Al completamento del vostro percorso di studi avere nella rubrica del telefono almeno trenta numeri a cui non sapete associare un proprietario.

25) Fare l'erasmus

26) Fare sesso promiscuo (tradimenti, threesome, esperienze omosessuali se siete etero o viceversa, etc.)

27) Trascorrere almeno una serata in compagnia di un personaggio bizzarro (roba tipo Beppe Maniglia per Bologna, altrimenti pensate al pirata della mensa per quelli di Padova. In generale un personaggio eccentrico che tutti conoscono).

28) Fare sesso nel letto accanto a quello de vostro coinquilino che dorme.

29) Con i nuovi amici, riuscire a reinventare l'immagine di te, liberandoti delle etichette che ti avevano affibbiato nella tua città natale.

30) Andare fuori corso.

Lode) Sostenere un esame in vece di un vostro compagno di corso che vi ha implorato di farglielo passare.

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A volte, dopo aver scolato svariate birre e liquori vari, mi capita di addormentarmi sul divano di casa e sognare Socrate. Lo so, direte voi, che banalità! Oramai non c’è più un cavolo di hipster che, senza nemmeno l’ausilio degli alcolici, non rivendichi su Facebook incontri onirici con il fantasma di David Foster Wallace intento a spiegare il significato intrinseco di Infinite Jest. Tuttavia, banali o meno, i miei incontri etilico-notturni con Socrate sono qualcosa di decisamente tangibile, di cui (e questa è la parte divertente della storia, mentre tutto il resto è noia) vorrei rendervi partecipe. Diciamo che non è proprio vero che i miei incontri siano con Socrate vero e proprio. Non conosco personalmente il buon vecchio filosofo ateniese e, nei nostri colloqui (anzi, monologhi, dato che è quasi sempre lui a parlare) onirici, non posso dire che lui si sia mai presentato come Socrate o cose del genere. Tuttavia, considerando i discorsi affrontati, l’aspetto estetico, la fascinazione per le barbe lunghe e bianche e per i giovinetti, mi sentirei di dire che sì, che quello che mi appare in sogno è proprio Socrate. Non vi è ombra di dubbio. Devo anche aggiungere che, dopo la prima apparizione (seguita da un risveglio post-sbronzesco di notevoli dimensioni: dio stramaledica il London dry gin del discount), sono andato a controllare il vecchio dipinto di Jacques-Louis David (cristo santo, sembra il nome di un parrucchiere!) intitolato La morte di Socrate così da poter fugare ogni dubbio in merito: l’uomo che si appresta a bere la cicuta nel dipinto del pittore francese è identico all’uomo che mi appare in sogno nelle mie notti moleste e che, senza colpo ferire, mi dispensa ineffabili perle di saggezza. In poche parole, sogno ripetutamente Socrate.

Va subito detto che, caso strano, il “mio” Socrate non porta alcuna toga modello ateniese. Si limita a un paio di pantaloni sdruciti e una sudicia t-shirt dei Clash. Tant’è che, quando in sogno ho provato a chiedergli se anche a lui piacesse Joe Strummer (una delle poche domande che mi sono sentito di fargli), il buon Socrate mi ha risposto con un laconico «non ho la più pallida idea di chi sia questo Joe e qualcosa simile». Al che ho preferito bypassare completamente l’argomento, evitando di chiedere al me stesso sognato perché diavolo il mio Socrate onirico portasse una t-shirt dei Clash. Tuttavia il buon Socrate onirico mi appare in sogno e, senza farsi troppi problemi, inizia a snocciolare massime su massime, declinando il tutto con la sua cadenza musicale ma decisa. Che davvero, nel solo sentirlo parlare, la mente mi si riempie di un suono dolce che ascolterei per ore. E che, dai miei padiglioni auricolari, quasi scende al cavo della gola. Tant’è che non capisco se la dolcezza che sento è data dalla pregnanza delle parole di Socrate o se, più prosasticamente, si tratta del conato di vomito made in vodka Rachmaninoff (spero non imparentata con il noto pianista e compositore) che mi si crea in bocca nel bel mezzo della notte. Insomma, fatta la tara delle sofferenze etiliche notturne, le apparizioni oniriche di Socrate sono qualcosa d’indescrivibile.

Di solito la scena avviene in una qualche località bucolica o agreste, in perfetto stile Grecia antica. Con il buon vecchio Socrate che mi appare all’improvviso con quella sua maglietta dei Clash e, senza nemmeno salutare, inizia a parlare dei massimi sistemi dell’universo così come l’italiano medio, al bar, parla del modulo della nazionale di calcio o del processo Mills o del delitto di Cogne. Altre volte, invece, lo scenario è prettamente cittadino e quasi sempre si tratta di città sconosciute e immaginifiche come quelle del Piranesi. Con architetture assurde e improbabili, e la precipua caratteristica che sì, che al mondo ci siamo solo Socrate e io. E nessuno più. Di tanto in tanto, nel sogno, Socrate si fa un goccetto di birra. La beve a canna, perché dice che se Diogene faceva il figo bevendo l’acqua di fonte dal cavo delle mani per vantarsi di non avere bisogni materiali, lui poteva benissimo scolarsi una birra dalla bottiglia di vetro. Non ho mai capito la consequenzialità di questa sua affermazione, ma tant’era. Perché, così come per l’argomento Joe Strummer, anche su Diogene non era il caso di fare troppo domande, che il mio Socrate onirico era sì saggio, tuttavia aveva l’aria di essere un buon tiratore di sganassoni e scappellotti. Che se gli facevi girare i cosiddetti, bè, non avrebbe esitato a regolare subito la questione. Ricordo che, a tale proposito, avrei follemente voluto che nel sogno intervenisse Renato Brunetta. Ve lo immaginate Socrate che, all’ennesima cazzata del Renatino nostro, gli tira un sonoro coppino (d’altronde l’altezza è quella, poco da fare) apostrofandolo con un solenne Taci, asino? Tuttavia, con mio enorme dispiacere (?), Brunetta non è mai apparso nei miei sogni e il mio Socrate onirico non ha mai avuto il piacere di tirargli un bel coppino robusto. Di quelli che schioccano per un paio di minuti buoni, per intenderci. In ogni caso i discorsi del mio Socrate onirico erano dei più svariati. Si poteva passare dalle discussioni tecniche sul metodo maieutico alla ricetta della moussaka perfetta. Dalla declinazione del valore filosofico del daimon alla finale del campionato europeo di calcio del 2004 (Socrate mi confessò di esser sempre stato certo che l’allenatore della Grecia Otto Rehhagel fosse in realtà la reincarnazione di Hegel, unico cruccio di quella rocambolesca vittoria). Dalla maledizione dei sofisti (mangiasoldi del cazzo! li chiamava spesso Socrate) alla maledizione della Troika (mangiasoldi del cazzo! li apostrofava a sua volta, denotando uno strano parallelismo tra sofismo e finanza creativa o una certa mancanza di fantasia).

Di tutto ciò di cui mi parlò il mio Socrate onirico nei nostri deliri notturni, per dirla alla Wittgenstein, è meglio tacere. Un po’ perché sono cose nostre, personali, che se davvero volessi fossero di pubblico dominio, bè, le avrei già scritte in qualche status facbookiano, dove l’oscenità del “fuori dalla scena” ha di gran lunga sdoganato la libertà di parlare di ogni singola minchiata. Dalla descrizione delle proprie polluzioni notturne alla possibilità di evocare incontri erotici mai avvenuti, che se davvero l’esistenza dell’uomo medio fosse quella descritta dalla sua pagina social, bè, di certo Youporn non sarebbe il sito più visto dell’intero universo. Vi è, però, una massima di Socrate (lui non se l’è mai attribuita tuttavia, nei nostri ultimi incontri, ci teneva molto a ribadire il concetto) che vorrei condividere con voi e che, nell’ultimo post sbronza (questa volta tutta farina del sacco della Fonsbräu, mitica birra in bottiglia di plastica che erode i polimeri plastici per depositarli in parti eguali sul fegato e sulla corteccia celebrale) mi ha fatto riflettere a lungo, con parallelismi italioti insperati ma fruttuosi. Il buon Socrate, infatti, sudicia t-shirt dei Clash calata addosso, iniziò a ripetermi allo sfinimento una vecchia massima greca, ovvero «Γνῶθι σεαυτόν» (prima la scrivo in greco, sia mai che qualche tamarro se la voglia tatuare sul polpaccio o sul bicipite che fa molto macarra-hipster), che significa “conosci te stesso”. Il motto, che campeggia sul tempio dell’Oracolo di Delfi, era così caro al mio Socrate onirico che, nel congedarsi, aveva smesso di salutarmi con un cenno della mano, prendendo a ripetere in continuazione quel “conosci te stesso” (in puro stile Nonno Simpson) il quale, alle mie orecchie, iniziava a risuonare come un mantra. Tant’è che, nei risvegli etilici delle giornate successive, non capivo mai se era l’alcol a battermi selvaggiamente in testa oppure se era lo strascico dell’eco delle parole di Socrate.

Voglio essere sincero con voi, cari amici de L’Oltreuomo, la prima interpretazione che diedi del “conosci te stesso” rapportata al sogno fu prettamente di carattere sessuale. Fedele a un mix tra Sigmund Freud e Woody Allen, infatti, pensai che il mio Socrate onirico volesse prodigarsi in un elogio della masturbazione (dopotutto, come insegna il vecchio Woody «la masturbazione è sesso con qualcuno che si ama») da risolversi però in una chiave di consapevolezza del proprio corpo e profondità intellettual-sessuale o cose del genere. Tuttavia scartai ben presto tale interpretazione, convinto che il mio Socrate onirico non avesse tempo da perdere per apparirmi in sogno e declinare un semplice elogio masturbatorio. Preferendo magari cedere tale impellenza a qualche incarnazione onirica presa a caso tra gli attori degli sterminati b-movie italiani noti con il nome di “commedia sexy”. In ogni caso, più Socrate mi ripeteva allo sfinimento il sopracitato motto, più la mia riflessione si faceva profonda e circostanziata e, da una banale e psicanalitica lettura sexy-pop, andava ampliandosi alle più vaste sfere della società italiana. Fosse essa politica, artistica, sportiva o intellettuale. Perché sì, perché la verità cui giunsi dopo decine e decine di apparizioni socratiche e di sbronze conseguenti (che a voi posso ben dirlo che, a furia di ricercare “me stesso”, ero finito con il consumare la maggior parte delle marche di superalcolici da discount e, causa deficit economico, sarei ben presto dovuto passare ai vini in cartone) era ben lungi dall’essere vicina alla precedente teoria masturbatoria, incentrandosi completamente su una vecchia e atavica pratica italiana che, con l’andare del tempo, ha assunto i contorni della piaga nazionale. Questa pratica (che declino all’inglese, dato che il corrispettivo termine italiano “polifunzionalità” mi sembra lo slogan di una qualche setta religiosa; della serie: entra anche tu nella grande famiglia di ********gy e trova la tua “polifunzionalità”!) assume il nome di “multitasking”, ed è la causa della maggior parte del declino delirante della cara vecchia società italica e dei rapporti sociali che la contraddistinguono e regolano. Intendiamoci, non che il ventennio berlusconiano, il retaggio dei vecchi democristiani, le ladrate socialiste o l’endemica mancanza di palle dei partiti post-PCI non abbiano le loro colpe, tuttavia sono sempre più convinto che, alla base di questa decadenza, il concetto di “multitasking” abbia una buona dose di responsabilità. E che possa ben servire anche per leggere le sopracitate vicende. Il concetto di multitasking, infatti, è la negazione stessa del “conosci te stesso” di socratica memoria. La sua nemesi (“Νέμεσις” per i macarra-hipster), in sostanza. Perché sì, perché se il mio Socrate onirico, sulla scorta dell’Oracolo di Delfi, mi invitava a conoscere me stesso così da padroneggiare i miei limiti (e non semplicemente il mio cazzo, come pensai di primo acchito) e sfruttarli a mio vantaggio per accrescere le mie qualità, la pratica del multitasking invita invece a dedicarsi a tutto ciò di cui si ha voglia/desiderio/presunzione di padroneggiare, con l’ovvia conseguenza che i limiti stessi vanno a farsi fottere. Così come la conoscenza delle nostre capacità e qualità.

La società italiana contemporanea, infatti, è l’esempio lampante di quest’assenza di capacità di comprendere i limiti entro i quali muoversi. Eleggendo, così, dei campi d’azione che valorizzino le nostre qualità, permettendoci di esprimerle al meglio. Van Gogh era un pittore, non un elettrauto. Chet Baker era un musicista, non un regista di videoclip. Garrincha era un calciatore, non un modello imbellettato di gel e lustrini. Insomma, i grandi del passato hanno sempre conosciuto gli spazi entro i quali muoversi, mentre a noi, per somma negazione socratica, è toccata l’invasione d’individui multitasking che, lungi dall’averne le capacità (chi negherebbe mai la poliedricità di un Pasolini o di un Andy Warhol?), occupano spazio, tempo e gonadi. Che dire dei dj/scrittori/attori/presentatori e chi più ne ha più ne metta? O dei politici/scrittori/giornalisti/organizzatori di eventi/volontari (mancati) in Africa? O degli imprenditori/piduisti/mafiosi/evasori fiscali/presidenti di squadre di calcio/monopolisti dell’informazione/presidenti del consiglio/pregiudicati? La prima reazione, poche storie, è quella di dire: dio santo, lasciate qualche ruolo anche a noi, che sennò siamo costretti a navigare a cazzo su internet alla ricerca di qualche nuova assurda professione, tipo recensore di birre ignoranti o sociologo per L’Oltreuomo e via discorrendo. Con la discriminante che sì, che a fare il multitasking modello Veltrusconi qualche soldino lo si prende (per inciso, potrei andare avanti all’infinito con gli esempi), mentre a scriver di sociologia per L’Oltreuomo o di birre ignoranti per qualche sito, ben che vada ci si prosciuga il conto in banca e si anestetizza il fegato.

Detto questo, per sfatare tutte le teorie peggiorative post-socratiche e confutare il secondo principio della termodinamica

(  per i macarra-hipster appassionati di math-rock), vorrei parlare di una categoria artistica che, negli anni passati, ha rappresentato l’essenza stessa del “conosci te stesso”, dimostrando come, in Italia, fosse possibile dedicarsi a una cosa sola riuscendo nell’ardua impresa di farla nel migliore dei modi. Ottenendo, al contempo, un ottimo esito sia di pubblico che di critica. La categoria in questione è quella degli attori “caratteristi” che, per più di due decenni, hanno contraddistinto la commedia all’italiana (cari radical-chic/aristo-dem dei miei coglioni, per dirla alla Pazienza non siete voi che avete sdoganato la commedia all’italiana, è lei che vi ha sdoganato pigliandovi per il culo in tempi non sospetti, “Contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare” docet!) con i loro personaggi monodimensionali e sempre uguali a se stessi («Γνῶθι σεαυτόν”, mate!» direbbe il buon Socrate con addosso la t-shirt dei Clash…), figli della commedia dell’arte e del teatro comico di italica tradizione. Altro che i personaggi buoni-non buoni o cattivi-non cattivi dei film paraculi di Wes Anderson! I caratteristi italiani erano fedeli alla linea in tutto e per tutto e, una volta assunto un ruolo, lo portavano a compimento dalla A alla Z. Immutabili nella loro personale Stalingrado artistica! Perché sì, perché di questo avevamo e abbiamo bisogno, ovvero di individui decisi e affidabili, più sicuri del regalo di Babbo Natale il 25 dicembre quando si è ancora bambini. Perché siamo stanchi di novità. Perché in un mondo così rutilante dove il futuro è più figlio del caos che dell’incomprensione, la saturazione stessa dei ruoli più che una cagata pazzesca è qualcosa di dannoso e pestilenziale. Un po’ come una campagna elettorale spam del PDL o i franchi tiratori del PD.

Detto questo, preparate le lacrimucce, ecco a voi i cinque caratteristi che ho scelto per animare i vostri futuri deliri onirici post-socratici:

Socrate - Renzo Montagnani- Renzo Montagnani: noto al grande pubblico per aver interpretato il mitico barista Necchi in Amici miei - Atto II° di Mario Monicelli (chi non ricorda la scena dello scarto di consonanti Necchi-Becchi nonché l’incredibile maieutica di socratica scuola per far capire al buon Necchi che la moglie lo tradiva con tale Verdirame Augusto da Brescia?), Renzo Montagnani è forse il caratterista meno caratterista dei cinque che ho scelto. Attore poliedrico prestato alla commedia sexy e trash (interpretò decine e decine di titoli negli anni ’70 e ‘80), Montagnani ha sempre sacrificato il suo talento (effettivo, non fittizio, non a caso recitò accanto a Gian Maria Volonté ne I sette fratelli Cervi) pur di poter lavorare il più possibile, così da mantenere le costose cure del figlio ricoverato in un ospedale londinese. Montagnani è la quint’essenza del caratterista non solo per mestiere, quanto più per necessità. Resosi conto delle (legittime?) aspettative del suo pubblico, Montagnani decise di calarsi alla perfezione in quel ruolo pur sapendo di poter ambire ad altri scenari. Il tutto per restare fedele non solo a se stesso, quanto più alle sue responsabilità di padre. Montagnani è l’Emilio Salgari dei caratteristi. Il travet della commedia sexy all’italiana. Di lui ci restano le memorabili interpretazioni in La soldatessa alla visita militare o ne Il ginecologo della mutua, degni rappresentanti di quel filone trash del cinema italiano troppo spesso guardato con sospetto se non fastidio dall’intellighenzia italica, pronta a stroncare film ludici pressoché privi di pretese e a incensare mappazzoni pseudo-intellettualistici capaci di durare l’attimo esatto di un martellamento gonadico plurimo.

Frase mitologica che vale una carriera: «Parla, puttana!» (il Necchi alla figlia del conte Mascetti in Amici miei - Atto II°, 1982).

Socrate - Giuseppe Anatrelli- Giuseppe Anatrelli: se a molti il nome “Giuseppe Anatrelli” dirà ben poco, lo stesso non è per quello del geometra “Luciano Calboni”: il personaggio più famoso interpretato da Anatrelli. Calboni è il geometra collega del ragioniere Ugo Fantozzi nella Megaditta. Classica nemesi del personaggio di Villaggio, Calboni è lo smargiasso prepotente e donnaiolo che vitupera il ragioniere Fantozzi con ogni tipo di angherie. Alzi la mano chi, nel suo privato, non conosce un Calboni? Nessuno! Calboni è una figura mitologica, presente in ogni compagnia/posto di lavoro. Il classico bullo che millanta conoscenze tanto altolocate quanto fittizie (indimenticabile la scena in cui, a Courmayeur, ordina al malcapitato barista due “soliti”, sentendosi rispondere «quali “soliti”?», testimonianza tangibile della sua “cacciapallaggine”), nonché capace di far saltare qualsivoglia incontro galante o di prostrarsi a mo’ di zerbino davanti al potente di turno, salvo poi rifarsi su amici e/o sottoposti, nella ben nota tradizione italica. Calboni è l’amico che tutti noi abbiamo e che nessuno vorrebbe avere. Quello che non vorremmo mai essere ma che, spesso, siamo. Anatrelli, con la sua aria da guappo napoletano, ha dato anima e corpo a questo personaggio riuscendo nella non semplice impresa (specialmente nel mondo del business cinematografico, dove i personaggi sono ben più importanti degli attori che li interpretano) di far aderire in maniera pressoché totale il volto del geometra Calboni al suo. Tanto che, alla sua morte, dopo averlo sostituito per un film con il pur bravo Riccardo Garrone (noto ai più per essere stato San Pietro nello spot di un arcinoto caffè), gli autori della saga di Fantozzi decisero di eliminare dalle scene il geometra Calboni, privando così il buon Fantozzi della sua contropartita naturale. Con la sua morte scompare anche la possibilità di reperire l’indirizzo del notorio night club L’ippopotamo, vero e proprio archetipo di ogni night club che (non) si rispetti.

Frase mitologica che vale una carriera: «Puccettone!» (da accompagnarsi a torsione capace di far incancrenire una guancia, in Fantozzi, 1975).

Socrate - Angelo Infanti- Angelo Infanti: uomo dal fascino misterioso e dal viso perennemente “affamato” (barba incolta docet), Angelo Infanti è conosciuto soprattutto come attore di film di genere (in particolare western all’italiana e poliziotteschi). Pochi sanno, però, che ha avuto anche l’onore di recitare per Francis Ford Coppola ne Il Padrino, in cui ricopre il ruolo di Fabrizio, la guardia del corpo che tradirà Michael Corleone causando la morte della prima moglie Apollonia. Tuttavia, i personaggi che ne hanno caratterizzato la carriera sono sostanzialmente due (o meglio, uno solo, dato che il ruolo è pressoché identico) e sono legati indissolubilmente al Carlo Verdone degli inizi. Quello della parlata romanesca e delle gag che riuscivano a spiegare un Paese intero senza però passare attraverso il filtro del buonismo o del politically correct delle ultime prove registiche. I personaggi in questione sono il seduttore Raoul in Bianco, rosso e Verdone e il mitico Manuel Fantoni in Borotalco. Chi non ricorda, infatti, il mitologico playboy Raoul, intento a cambiare la ruota dell’auto di Magda, la frustratissima moglie di Furio (quello che chiama il “Servizio percorribilità strade” per avere informazioni sull’aria depressionale di 982 millibar, per intenderci…)? E il corteggiamento “automobilistico” di autogrill in autogrill, con il passaggio “a volo rasente” solo per farsi notare dalla virtuosa Magda? L’evoluzione di Raoul è, appunto, l’ancor più mitologico Manuel Fantoni, vero e proprio Oscar Giannino ante litteram Nun è vero niente! T’ho raccontato un sacco de fregnacce!», già che ci sei, Oscar, mi spedisci un paio di lauree da Chicago?). Uomo capace di inventarsi una vita mai vissuta, arricchendola di aneddoti impensabili e vicende avventurose in grado di ammantare ancora di più quell’aria da seduttore scafato, vero e proprio MILF hunter degli anni ’80. Pur non sapendolo, con i suoi personaggi Angelo Infanti è stato l’archetipo stesso del futuro playboy esotico-ricercato, quello della «vita vissuta in tre continenti», delle storie esagerate, della barba (fintamente trasandata) curata nei minimi particolari, della chitarra sempre a tracolla, dell’ascella pezzata su t-shirt da centinaia di euro. Personaggi più costruiti di un Lego Technic (per altro, ve li ricordate i Lego Technic? Negli anni ’90 avevano già i mini computerini che però non funzionavano una mazza!), insomma, accomunati al buon Manuel Fantoni da un semplice e banalissimo concetto: la noia. «Allora sogno, divago…» evoluzione perfetta del «faccio cose, vedo gente…» di morettiana memoria. Dai radical chic agli etno-playboy da spiaggia. Gli anni ’80 avevano già spiegato tutto.

Frase mitologica che vale una carriera: «E così un giorno me ne uscii da casa, me ne andai a Genova e m’imbarcai su un cargo che batteva bandiera liberiana. Che cosa trasportasse quel cargo, non l’ho mai capito… » (Manuel Fantoni a un esterrefatto Carlo Verdone in Borotalco, 1982).

Socrate - Guido Nicheli- Guido “Dogui” Micheli: diciamolo subito, via il dente via il dolore: imprenditore lombardo per imprenditore lombardo, se in questo ventennio al posto del B. nazionale avessimo avuto il buon Guido “Dogui” Micheli come presidente del consiglio, bè, poche storie, magari l’economia e lo stato sociale sarebbero andati a scatafascio lo stesso, però ci saremmo divertiti molto, molto, molto di più. Il Dogui, per chi non lo sapesse (eretici!), è il “cumenda” lumbard per antonomasia. Protagonista di decine e decine di film trash degli anni ’80 e ‘90. Uomo appartenente alla classe dei “nuovi ricchi” made in the eighties, il Dogui disprezza il sottoproletariato urbano e umilia palesemente i suoi sottoposti («hai visto l’animale come è andato via scodinzolando?»). Crede nella divisione di classe e considera la ricchezza esibita il solo status symbol degno di nota e approvazione. Il “cumenda” lavora come un cane solo per poter passare delle vacanze dedite allo scialacquo e all’esagerazione, vero e proprio capostipite di un’intera Billionaire generation fatta di starlette da quattro soldi, arrivisti, papponi, Ruby Rubacuori e Emilio Fede vari. Il Dogui, però, a differenza dei suoi pronipoti, possedeva un’anima che lo faceva essere tanto ironico e divertente quanto caustico ed efferato. Non vi era in lui la rabbia dell’arrivista sociale, bensì la spavalda sicurezza del milanesotto gonfio di grano che poteva permettersi di recitare e continuare a gestire uno studio odontoiatrico (storia vera) nel tempo libero. Il Dogui non era un semplice caratterista: il Dogui era il Dogui tanto sul set quanto nella vita reale. Personaggio così vero da apparirci costruito, il Dogui ha avuto un’esistenza al cui confronto le parti recitate erano semplici cammei di poco conto. Capace di lasciar scritto sulla sua lapide “SEE YOU LATER”, il buon Guido Micheli è riuscito a seminare oltre che Alboreto («Via della Spiga-hotel Cristallo di Cortina 2 ore, 54 minuti e 27 secondi: Alboreto is nothing!») anche la triste signora con la falce e il cappuccio nero dato che, ogni volta che vediamo ben altri “cumenda” decidere le sorti del Paese, rimpiangiamo il caro e scorrettissimo Dogui. Come diceva Aristotele, «meglio l’abbronzatura perenne che il cerone e la testa asfaltata».

Frase mitologica che vale una carriera: «Non so se avete visto? C’è un’adunata di maiale brade, tutta roba DOC e autentica, elasticata. Io perché sono già impiantato, sennò a quest’ora ero già in groppa!» (in Montecarlo Gran Casinò, 1987).

Socrate - Mario Brega- Mario Brega: proprio nel sopracitato Montecarlo Gran Casinò avviene una delle “combo” più letali della storia del cinema trash e di genere italiano: l’incontro tra il “milanesotto” Dogui e il “romanaccio” Mario Brega (sulla cui introduzione non mi dilungo troppo per carità di patria, che non conoscere Mario Brega è come non sapere chi ha scoperto l’America o la penicillina…). Il tutto avviene nel porto di Montecarlo, dove il “cumenda” lumbard si trova a bisticciare per un parcheggio (c’era una volta lo yacht, o “yogurt” come lo chiama il Mario nazionale, ora ci sono i SUV) con il cafone arricchito Mario Brega, finendo in un epico scontro tra gergo romano e milanese risolto a colpi di «A cafonàl!» e «Uè, animali!». Insomma, il meglio del peggio del campanilismo italico (talmente assurdo da essere reale al CentoxCento come il buon Alex Magni) in un paio di minuti di cinema trash di altissimo livello (mi si passi l’ossimoro). Cosa dire, quindi, del buon Marione Brega che non sia già stato detto? Attore di spaghetti western per Sergio Leone, caratterista d’eccezione con la sua parlata romanesca, spalla attoriale irrinunciabile del Carlo Verdone degli inizi, Mario Brega è l’archetipo del romano “de core”, indipendentemente dalla classe sociale che si trova a dover recitare. Verace, sanguigno, fisico in ogni sua azione, Mario Brega è l’essenza stessa della genuinità romanesca tanto sembra uscito da una poesia di Trilussa o da una trattoria di Trastevere, la camicia ancora macchiata di sugo. Le sue interpretazioni sono sempre state interpretazioni di pancia più che di testa, come se fosse il film a dover prendere le misure al suo personaggio che, in caso contrario, sarebbe scattato fuori dal set, assestando due bei ganci allo stesso regista. Lasciandolo lì, senza alcuna possibilità di rivalsa, con il setto nasale distrutto e tutte le mucose frantumate. Al che non vi sarebbe un solo «Alzate, a cornuto!» capace di ristabilire l’idillio totale tra la rigidità della macchina da presa e la genuinità del caratterista, il quale non vive per recitare, ma recita per vivere (e non in senso economico…). Perché la bellezza della dedizione alla propria essenza è quanto di più rivoluzionario possa esserci, e non ha bisogno di fronzoli o orpelli per manifestarsi. Piuttosto, soltanto di spazio. Di aria. Di ampi campi lunghi cinematografici. Di unicità. Perché è nell’unicità che il molteplice sopravvive. E non viceversa. Perché la dedizione stessa, come la mano di Mario Brega – Er Principe «po esse fero e po esse piuma». Sta a chi la possiede il libero arbitrio di esercitarla nel migliore dei modi. Perché l’arte «non è un mestiere, è una galera».

Frase mitologica che vale una carriera: «A me fascio? Io fascio? A zoccolè, io mica so' comunista così, sa! So' comunista così!» (Mario Brega, mani tese al cielo, rivendica la sua appartenenza politica a una ciancicante Isabella De Bernardi in Un sacco bello, 1980).

E così siamo giunti alla fine, caro Socrate onirico con la t-shirt dei Clash. Non so se sia colpa del clima o delle poche sbronze prese negli ultimi giorni, ma è da diverse sere che non mi appari più in sogno, e io mi trovo spiazzato. Vorrei pensare che la tua assenza sia dovuta al fatto di una mia presa di coscienza rispetto alla tua missione, ma mi sa che, semplicemente, te ne sei andato verso altri lidi. Ad apparire a nuovi individui (questa volta, magari, di sesso femminile) così da protrarre la tua lezione sul “conosci te stesso”. Un po’ come il caro vecchio Robert Englund - Freddy Krueger in Nightmare, insomma, restando in tema di caratteristi. La verità è che ciò che mi hai lasciato è un insieme d’immagini e idee (spesso incomplete, che ben ve ne sarebbero di altri caratteristi da citare, a partire dal buon Carlo Monni che, con la scusa del «pagare, biondino!», si tromba la mamma di Benigni, finendo con il mitico Bombolo, e molti, molti altri…) che mi comunicano come un’inadeguatezza a tutto ciò che sta accadendo attorno a me. Come se per decenni abbia sempre pensato di ballare il valzer su un Titanic che affondava. Salvo scoprire poi che il Titanic sta affondando in quest’istante, e ciò che ballavo una volta non era un valzer di commiato, bensì una lezione di danza che mi ha portato a comprendere l’approssimarsi della fine solo ora. Ora che i topi se ne sono andati da un bel po’, e che ciò che ci rimane sono soltanto figure sbiadite. Multidimensionali e multitasking, certo, ma sbiadite come vestiti di chi (al mio pari) le lavatrici non le sa proprio fare. E si ritrova con i colori tutti mischiati, e la maglietta che una volta era bianca ora è rosa, e viceversa.

Perché nella multidimensionalità regna tanto la confusione quanto l’assenza, e ciò che una volta era partitico, ideologia, credo popolare, classe sociale e via discorrendo, ora è soltanto società liquida e indistinta. Come le parole dei sofisti, insomma. Come i dati economici dei vari indici azionari. Come la politica italiota. O la non-leggerezza del non lasciarsi cullare in un sogno etilico che ci porti chissà dove. Ovunque, direbbe il vecchio Baud, purché sia fuori da questo mondo. Anche se, in questo mondo, ci stiamo con i piedi ben fissi e piantati manco fossimo alla ricerca continua di ancore di salvataggio. Ancore che, in ultima analisi, ci restituiscano le loro coordinate. Siano pure sbagliate, irricevibili, distanti anni luce dalla nostra stessa vita, poco importa! Ciò che importa è che siano fisse e che, da lì, ci diano la possibilità di prenderci le misure. Di conoscere noi stessi. Di abbandonarci alla nostra stessa dedizione. Insomma, di coltivare quel carattere unico e irripetibile che è il nostro stesso carattere e che, come un Socrate sognato, ci appare tanto assurdo quanto irrinunciabile. Tanto deprimente quanto euforico. Perché, cari amici de L’Oltreuomo, io credo che sarebbe meglio che le mie parole fossero dette “a cazzo”, che lo siano le pagine che mi ospitano, e che la maggior parte dei lettori non siano d'accordo con me e mi contraddicessero, «piuttosto che sia io, anche se sono uno solo, a essere in disaccordo con me stesso e a contraddirmi».

E che la mia, e la vostra, dimensione sia una e una sola. Ma così ampia e creatrice da eliminare ogni confusione. Come una “balla galattica” calboniana, un “cazzotto spacca mucose” breghiano, una “fregnaccia” alla Infanti, una “smargiassata” alla Nicheli. O, più semplicemente, come una linearità incomprensibile alla Montagnani, dove il sacrificio di una vita si redime in un solo, unico, ruolo. Il più impensabile. Il più impensato. L’unico eterno.

Si alzi il sipario.

Il copione va sempre seguito a braccio.

Il regista non avrà voce in capitolo.

È ora di recitare.

È ora, semplicemente, di essere se stessi.

Andrea Gratton

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La tragedia della nostra epoca è la continua proposta di modelli da seguire. La promessa di felicità celata sotto quest'enorme massa di esempi di stile, di morale e di condotta ci porta a subire un enorme quantità di stress psico-emotivo, una spersonalizzazione della nostra individualità che vuol tendere all'altro-da-sé quando invece dovrebbe rivolgersi al dentro-di-sé . Ma si sa bene che la tragedia ripetuta diventa commedia. Per questo oggi proponiamo le cinque cose che alle Star stanno da Dio e a me stanno da schifo, dove cercheremo di capire perché quando proviamo ad avvicinarci ad un modello non solo falliamo miseramente, ma riusciamo addirittura a creare una ridicola farsa di noi stessi.

1 - Barba incolta

La barba va molto di moda in questo periodo, ma qui non si parla delle superbarbe che stanno popolando le città di tutto il mondo, qui si parla di quella barba di due tre-giorni, quella un po' ribelle, scanzonata, beverina. Quando l'ho vista in Bradley Cooper sono rimasto ammaliato dal suo modo di essere incolto e figo allo stesso tempo.

[caption id="attachment_3603" align="aligncenter" width="266"]star (mensfitness.com) Bradley Cooper, se compro quel vestito da 6000 euro anche la mia barba sembrerà elegante[/caption]

Perché non posso essere figo anche io mio sono chiesto? Il risultato è stato disastroso. Non mi sono rasato per quattro giorni e sembravo appena uscito da due anni di campo di lavoro in Eritrea. Inoltre il mio capo non l'ha presa molto bene. Mi ha licenziato.

2 - Berretto di lana

Altro esempio perfetto è il berretto di lana, quell'assurdo e desueto capo d'abbigliamento che è per sua stessa natura feticcio della sfiga. Eppure c'è sempre qualche superstar che cerca, probabilmente sponsorizzato, di riportare in auge cose che andrebbero bandite dall'universo. Come è il caso di Jude Law, che con berretto di lana, posa da superfigo e contratto con paparazzo, sforna questa serie di foto che subliminalmente ci inviano questo messaggio: "Guarda quanto è figo Jude Law col berretto, compralo anche tu e ti scoperai tutte le ragazze che incontri."

[caption id="attachment_3604" align="aligncenter" width="436"](woonko.com) (woonko.com) A differenza di te, lui è pagato per portare il berretto[/caption]

Ovviamente per stare bene bisogna essere jude Law, perciò il risultato tende a essere di solito qualcosa di simile a Radar O'Really in M.A.S.H. piuttosto che al bel attore inglese. Ovviamente di figa attirata con questo capo non ne vedrete ombra.

[caption id="attachment_3605" align="aligncenter" width="320"](fanpop.com) Radar O'Really, il modello che ci riporta coi piedi per terra (fanpop.com) Radar O'Really, il modello che ci riporta coi piedi per terra[/caption]

3 - Baffi

Abbiamo già ampiamente parlato di come diventare più attraenti con i baffi, ma non abbiamo detto che a volte il risultato può essere diverso da quello che immaginiamo. Prendiamo il caso di Brad Pitt. I suoi baffi sono fantastici, perfetti, stilosi. Perché non farsene crescere un paio uguali?

[caption id="attachment_3607" align="aligncenter" width="183"](Nadia-deja.com) (Nadia-deja.com) Brad Pitt mentre cerca di capire come fare a scopare meno[/caption]

Perché il risultato sarà più simile a quello di Micheal Cera, con la differenza che lui si fa le modelle di Victoria's Secrets, quelle che vedete nei cataloghi dove trovate il regalo di natale della vostra ragazza obesa. Ah la fama.

[caption id="attachment_3608" align="aligncenter" width="288"](ign.com) (ign.com) Micheal Cera, un benedetto da Dio[/caption]

4 - Slippino

Questo ho avuto la decenza di non farlo mai. Ma è un appello. Vi prego, vi scongiuro, non usate gli slippini in spiaggia, siete ridicoli, deformi, ed esageratamente effemminati. Non siete Daniel Craig.

[caption id="attachment_3609" align="aligncenter" width="441"](leplus.nouvelobs.com) Daniel Craig, se sembra finocchio lui, tu cosa sembri? (leplus.nouvelobs.com) Daniel Craig: se sembra finocchio lui, tu cosa sembri?[/caption]

Uno dei cataclismi delle località turistiche italiane è lo slippino. Sembra infatti che sia inspiegabilmente tornato di moda un capo scomodissimo, imbarazzante ed antiestetico. Ricordo quando guardavo le vecchie foto di mio padre e i suoi amici al mare, e ridevo di loro, e dei loro ridicoli pacchetti in evidenza. Ma dalle tenebre del dimenticatoio lo slippino è tornato, premiando gli impotenti, i tamarri, e i panzoni. Anche qui la colpa è da ricercarsi in un VIP. Daniel Craig, con la sua tenuta da mare di qualche anno fa in James Bond ha rifocillato le speranze delle case di costumi da bagno, a cui non sembrava vero far tornare di moda un capo che richiede meno stoffa. Ecco un esempio calzante del prodotto di questa operazione commerciale.

[caption id="attachment_3611" align="aligncenter" width="280"]tumblr_inline_mp6f72eb8W1qz4rgp Fan dello slippino che cerca di non finire all'inferno portando una sobria croce d'oro al collo. Ci finirà comunque.[/caption]

5 - Gli occhiali

Gli occhiali, in particolar modo quelli da nerd vanno evitati il più possibile. Se Dio vi ha dato la grazia di vederci perché rovinarvi il volto con uno dei maggiori oggetti portatori di sfiga? Qual è il senso di spendere centinaia di euro per montature con lenti finte per sembrare quelli facili da pestare. Lasciate perdere, non siete Ryan Gosling.

[caption id="attachment_3615" align="aligncenter" width="500"]Ryan Gosling, così figo da avere solo una paura nella vita: i cereali Ryan Gosling, così figo da avere solo una paura nella vita: i cereali[/caption]

In conclusione il consiglio che vi posso dare è quello di non cercare di imitare dei modelli precostituiti, ma di essere se stessi. Come fare? Dovete guadagnare un sacco di soldi. Solo così potrete fottervene dell'aspetto e avere tutte le donne di questo mondo. Su muoversi, che il tempo è denaro.

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Ci sono traumi nell'infanzia di ogni individuo che ne segnano irrimediabilmente tutta la vita futura. I miei nonni subirono le conseguenze della guerra, io le conseguenze della TV. Perciò in uno slancio di miseria umana l'Oltreuomo oggi apre il proprio cuore e concede al pubblico ludibrio "le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita", nella speranza di trovare qualcuno che possa condividere questi traumi con me; per patirci e compatirci allegramente.

#1. La cardiopatia di Julian Ross

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Holly e Benji lo guardavano tutti, e fu sicuramente un anime che segnò un'epoca. Due sono le cose che mi colpirono in quegli anni riguardo la serie. La prima fu quando scoprii acquistando un albo a fumetti che Benji si chiamava Wakabayashi (non so se è scritto giusto, cito a memoria, non cagate il ca**o), la seconda quando condivisi con altri milioni di bambini la tragedia umana di Julian Ross. Questa vicenda mi traumatizzò parecchio, infatti all'epoca anche io giocavo a calcio, e in un assaggio della futura ipocondria che la vita mi avrebbe poi regalato, cominciai ad essere seriamente preoccupato che potesse venirmi un infarto anche a me mentre giocavo nella mia squadra di pulcini. La cosa durò all'incirca un anno, poi mi andò via da sola. Immaginatevi la mia vita adesso, che ho visto tutte le stagioni del Dr. House.

 #2. Piccoli Brividi - La maschera maledetta n.2

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

I piccoli brividi erano una serie di romanzi Horror per ragazzini scritti dal mitico R.L. Stine. Ne avevo letti molti ed ero appassionato anche della serie tv basata proprio sulla trama dei libri (in un episodio mi pare sia protagonista un giovane Ryan Gosling). Ma la Maschera Maledetta n.2 mi creò uno shock non da poco. La lessi di notte, come mio solito, di nascosto dai miei genitori che volevano dormissi. Di solito ridevo non mi facevo impressionare dalle storie, anzi, mi creavano quella bella e sana paura che la narrativa del terrore per bambini vuole creare, ma quella volta mi cagai addosso. Non so perché, non so quale meccanismo inconscio fece si che mi venne la fobia per il resto della mia vita di poter subire il misero destino del protagonista, ovvero indossare una maschera e non riuscire più a toglierla fino ad accorgersi che è diventata la tua vera faccia. Per fare un esempio, lo scorso anno a carnevale volevo vestirmi da Tony Manero ma alla fine ho rinunciato per paura di rimanere un omosessuale seguace di Scientology per il resto della mia vita.

#3. Il gioco del quindici

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Il gioco del quindici è quell'affare con le 15 caselle da riordinare dopo averle mescolate. E' un gioco vecchissimo, un rompicapo inventato nel 1878 da Samuel Loyd (al tempo non lo sapevo perché non esisteva Wikipedia) che al tempo andava di moda. Più che traumatizzarmi quel coso mi ha insegnato a imprecare, a irritarmi, a prendermela con i più deboli quando si è frustrati perché non si riesce in qualcosa, e tanti altri bei sentimenti positivi.

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#4. Il Game Boy

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Il Game Boy è stato il sogno ricorrente di tutta la mia infanzia. Lo sognavo ogni notte, ogni singola notte, e l'incubo era svegliarsi e scoprire di non possederlo. I miei genitori non se lo potevano permettere perciò ricordo che per tre o quattro anni fu sempre l'unica e la sola richiesta che facevo a Babbo Natale, non volevo altro. La mia visione del principio del bene e del male fu permanentemente traviata. Io ero un bambino buono, tranquillo, mi comportavo bene, ma il Game Boy non arrivava mai. Cosa avevo fatto di male? Perché non venivo premiato? Perché il mio compagno Giovanni, il bambino più malvagio della terra, che fumava già, l'aveva ricevuto invece proprio dalla saccoccia di Babbo Natale? Esiste un Dio? No, e se esiste premia i cattivi. Questo fu il mio pensiero al tempo, pensiero che conservo tutt'ora, poi però scoprii la verità, la farsa di Babbo Natale e l'ingresso nella vita. Venne il trauma vero, la consapevolezza: "Ma allora se non ho mai ricevuto il Game Boy, il motivo non è che sono cattivo, ma che siamo poveri."

#5. Il Bacio del Power Ranger rosa e bianco

Non so voi ma io avevo sempre pensato che la naturale conseguenza fosse una Liaison tra il power ranger rosa e quello rosso, quello lo avrei anche accettato, a malincuore, ma il bianco no, il bianco no. Che cazzo c'entrava il bianco? Così, spuntato dal nulla, con il suo codino alla Fiorello, che si porta via la mia Kim, la mia amatissima Kim. Non riuscivo ad accettare la cosa, ma adesso rivedendo il video qui sopra mi sento di aver superato i miei moti di gelosia, sono una persona diversa ora.

#6. I Libro-game

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Tanta roba i libro-game, ne leggevo a palate, in particolar modo quelli della serie lupo solitario scritti da Joe Dever. Non mi traumatizzarono i libro-game ma mi insegnarono forse la lezione più importante della vita: imbrogliare con se stessi. Imbrogliavo ad ogni bivio, ad ogni richiesta di oggetto o abilità specifica, se crepavo non ricominciavo mai da capo ma fingevo di essermi sbagliato; e tutto questo tra me e me. Anni dopo quante volte mi è tornata utile quell'esperienza, come quando una ragazza mi tirava un due di picche, e mi convincevo che non mi piaceva ma l'avevo presa in giro, o come quando mi addormentavo imponendomi di svegliarmi alle 5 del mattino per fare i compiti che non avevo fatto il pomeriggio prima. Senza i libro game avrei avuto una coscienza sincera, sarei stato molto peggio.

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#7. Nadia di il mistero della pietra azzurra

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Il mistero della pietra azzurra era un anime che mi faceva abbastanza cagare, ma ero follemente innamorato di Nadia: un amore carnale, infuocato, spaventevole. Credo di aver avuto le mie prime pulsioni parasessuali proprio su Nadia, una sorta di presagio, perché per molti anni a seguire i miei unici rapporti sessuali sarebbero stati con dei disegni. La cosa cominciò a divenire totalizzante quando in una puntata (non ricordo quale forse anche la prima), Nadia corre nuda incontro a Jean e lo abbraccia. La sognai per mesi, forse per anni, sempre nuda. Adesso che sono semiadulto rabbrividisco al pensiero di trovarmi una ragazza come Nadia: vegetariana, animalista, pacifista, orfana; mi ritroverei senza dote e con tre quattro cani rompiballe per casa.

#8. Laguna Blu

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Il film è del 1980 credo ma io lo vidi la prima volta in quegli anni, quando diventò il mio feticcio sessuale ufficiale. Aleggiava molto tra noi bambini del quartiere la leggenda di questa pellicola, grazie alla testimonianza orale di un ragazzo più grande di noi che affermava di averla vista su Italia 1 alle tre del pomeriggio, e che in questo film si vedevano le tette, forse addirittura la patata, di una certa Bruch Scid. Poi un giorno mentre leggevo casualmente il TV sorrisi e canzoni di mia mamma, scoprii che il giorno dopo su canale cinque alle 16.00 sarebbe stato trasmesso Laguna Blu. Lo registrai di nascosto, e per molto tempo, quando i miei uscivano di casa, mettevo la cassetta (che tenevo nascosta sotto il letto) sul videoregistratore per passare ore a mandare al rallentatore fotogramma per fotogramma del film alla ricerca di un capezzolo più esposto. Bei tempi.

#9. I velociraptor di Jurassick Park

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescitaLe 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Ovviamente anche io al tempo ero patito di dinosauri, e di Jurassick Park, ma la scena dei velociraptor in cucina mi traumatizzò. Per molto tempo ebbi paura che mi comparissero in casa per mangiarmi. Adesso se vedo la ricostruzione aggiornata del velociraptor mi sento un coglione. Erano animali  grossi come polli e per di più spelacchiati.

10#. Il chiodo nel piede di mamma ho perso l'aereo

Le 10 cose degli anni '90 che mi hanno bloccato la crescita

Altra cosa che mi ha bloccato la crescita è il chiodo nel piede del povero Daniel Stern, una scena da film splatter, in mamma ho perso l'aereo. Credo quel film sia l'unico motivo che mi abbia evitato la strada del ladro professionista, purtroppo a Macaulay Culkin non ha evitato quella della tossicodipendenza

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tipi di genitori

Quale è stato il più grande merito di Freud? E' semplice, quello di permettere a ciascuno di noi di non prendersi la responsabilità per ciò che facciamo e scaricare le colpe sui nostri genitori, specialmente se non ci hanno ricoperto di lodi quando la facevamo nel vasetto, bloccandoci la cosiddetta fase anale; l'incommensurabile, ineluttabile, indefettibile, ineguagliabile, insuperabile, inscindibile, inarrivabile fase anale. Perciò oggi parleremo di sei tipi di genitori che ci hanno causato anni di psicoterapia. Ognuno ha quel che si merita!

Mamma elicottero

Il fenotipo della mamma elicottero è molto comune in Italia. Questo esemplare infatti sembra aver attecchito in tutto il mediterraneo grazie alle favorevoli condizioni ambientali. La mamma elicottero è morbosamente ossessionata dai figli, che controlla costantemente 24 ore al giorno pulendogli il sedere anche quando questi hanno compiuto 37 anni. E' molto protettiva e rinchiude i suoi cuccioli in una gabbia per la maggior parte della loro vita; stando alle sue parole, lo fa perché li vuole proteggere dalle insidie del mondo. In realtà la mamma elicottero mira a non separarsi dal suo cucciolo per tutta la vita, per questo lo alleva durante l'infanzia e l'adolescenza a non affrontare il mondo, risolvendogli i problemi, impedendogli di uscire, creandogli fobie sociali, ipocondrie, sessuofobia, e tutte quelle altre meravigliose conseguenze nascoste sotto un accesso di affetto. Così quando a 20 anni il pargoletto andrà in vacanza con i suoi amici per la prima volta, tornerà a gambe levate e in lacrime a casa perché una ragazza lo ha guardato negli occhi per sette secondi. La mamma elicottero sarà contenta di riavere il suo povero piccolo bambino che ha tanta paura del mondo cattivo, poverino lui picci picci picci, cucciu. Peggio di un film Horror.

Conseguenze di una mamma elicottero:

  • verginità a vita
  • omosessualità latente
  • non riuscire a dormire senza la mamma
Anni di terapia: a vita Papà maresciallo Il classico padre scassacoglioni è il papà maresciallo. Convinto del sapiente potere della disciplina per allevare i figlioletti, non fa altro che instaurare un regno del terrore in casa propria. Pretende dal figlio di 6 anni la maturità di un giudice della corte dei conti, ed è convinto che i bambini vadano picchiati per un corretto sviluppo psicofisico. Per questo il papà maresciallo è dotato di diversi gadget, quali la pratica frusta portatile (detta cintura), il battiscopa in pelle umana (la mano), e in alcuni casi il tirapugni. Questo porterà i figli ad essere dei perfetti esempi di ordine e sobrietà in casa, ma li trasformerà in delle bestie assetate di sangue al di fuori del contesto casalingo, dove pesteranno a sangue altri bambini per rivivere dall'altro lato l'affettuoso rapporto carnefice-vittima. Una volta raggiunta una certa età il papà maresciallo perde la propria autorità a causa dell'invecchiamento e del declino fisico. E' a quel punto che si ritroverà trattato come una merda di scrofa dai propri figli, che lo sbatteranno in un ospizio dopo essersi assicurati che si tratta di uno di quegli ospizi dove le inservienti prendono a manganellate gli anziani. Conseguenze di un papà maresciallo:
  • omosessualità latente ereditaria
  • tendenze antisociali
  • ipertensione
Anni di terapia: sette anni più corso di T'ai chi ch'uan Mamma in carriera La mamma in carriera è l'abominio del ventunesimo secolo. Decide di figliare spinta dal motto «Non importa la quantità di tempo che passi con i figli, ma la qualità», infatti riesce a dedicare ai propri pargoli fino ad un quarto d'ora al giorno, a volte anche venti minuti, mentre si depila le gambe in bagno in videoconferenza con il suo capo. Si sente comunque una gran donna, costretta a lavorare così tanto per i propri figli, per garantirgli un futuro, per loro, «che gran donna che sono», «quanti sacrifici», «Erin Brockovich me fa 'na pippa», ecc...ecc... In realtà lo fa per se stessa, fosse per lei non farebbe figli ma si sente obbligata per il retaggio cattolico. Le conseguenze sono tragiche per i bambini, sempre soli, abbandonati in automobili al sole per ore ed ore nel parcheggio di qualche cliente importante. Cosa positiva però sono i giochi, tanti costosi giocattoli, poi lo scooter superfigo, la macchina a diciott'anni, insomma l'essere viziati. Ei, non è poi così male. Conseguenze della mamma in carriera:

  • obesità
  • disoccupazione
  • tumore alla pelle
Anni di terapia: molti, ma non perché sia necessario, solo perché costa molto Papà giovane e cool Il papà giovane è quella bestia insopportabile che trasforma l'adolescenza di molte persone in tragedia. E' un padre che vuole mostrarsi giovane, cool, aperto, al passo coi tempi. Quando i vostri amici vi vengono a trovare a casa mette il cd di Moreno di Amici a manetta sullo stereo pensando di essere giovane, cool, aperto, al passo coi tempi. Quando uscite il sabato sera ve lo trovate in tutti i bar o le discoteche che frequentate, e lui viene a salutarvi e a scherzare con i vostri amici pensando di essere giovane, cool, aperto, al passo coi tempi. Quando presentate la vostra fidanzata alla famiglia, lui dopo un mese se la scopa pensando di essere giovane, cool, aperto, al passo coi tempi. Conseguenze del papà giovane e cool

  • rabbia repressa
  • psoriasi
  • carcere
Anni di terapia: molti, ma tutti gratis perché vi beccate uno psicologo appena laureato pagato dallo stato per il programma di riabilitazione dei galeotti. Mamma troia La mamma troia è molto giovane, in media ha all'incirca tredici anni più del figlio. Ragazza madre per ovvie tendenze alla generosità sessuale, la mamma troia rimane troia per tutta la vita. Regala ai figli una divertente collezione di figure paterne, dal poliziotto all'intellettuale, dal buttero allo zio, dal vicesindaco al preside, dalla mamma del migliore amico al prete del paese. Raggiunti i vent'anni i poveri pargoli se la ritrovano in discoteca, spesso se la limonano accidentalmente a causa del buio del locale. Molto spesso la mamma troia rimane gravida dopo che il primo figlio l'ha resa nonna, creando quelle buffe scenette che vediamo quando un ragazzino di 12 anni chiama un bambino di 3 zio. Conseguenze della mamma troia
  • misoginia
  • alcolismo
  • il processo di Biscardi
Anni di terapia: una seduta da dieci minuti, il tempo necessario per capire di chi è la colpa Papà perdente Il papà perdente è un dagherrotipo sempre più presente nella nostra cultura. Caratteristica principale è quella di essere stato lasciato dalla moglie che lo ha ridotto sul lastrico, mangiandogli l'80% dello stipendio, fregandogli la casa, la dignità e la moto. Il padre perdente è povero, quindi costretto a regalare calzini di lana per natale. Ogni volta che la ex moglie gli permette di vedere la sua prole, il papà perdente scoppia in lacrime davanti ai figli, baciandoli e sbavando la sua saliva ormai mista a lacrime. A lavoro è maltrattato, dagli amici è maltrattato, dalla sua famiglia è maltrattato. Insomma una figura paterna ideale per costruirsi una buona autostima. Conseguenze del papà perdente:
  • calvizie
  • rinuncia all'eredità
  • sindrome di Milhouse
Anni di terapia: è molto probabile che diventiate psicanalisti per compensare." ["post_title"]=> string(57) "I 6 tipi di genitori che ti hanno causato anni di terapia" ["post_excerpt"]=> string(0) "" ["post_status"]=> string(7) "publish" ["comment_status"]=> string(6) "closed" ["ping_status"]=> string(6) "closed" ["post_password"]=> string(0) "" ["post_name"]=> string(16) "tipi-di-genitori" ["to_ping"]=> string(0) "" ["pinged"]=> string(0) "" ["post_modified"]=> string(19) "2019-11-26 09:57:21" ["post_modified_gmt"]=> string(19) "2019-11-26 09:57:21" ["post_content_filtered"]=> string(0) "" ["post_parent"]=> int(0) ["guid"]=> string(29) "https://oltreuomo.com/?p=3281" ["menu_order"]=> int(0) ["post_type"]=> string(4) "post" ["post_mime_type"]=> string(0) "" ["comment_count"]=> string(1) "6" ["filter"]=> string(3) "raw" } [8]=> object(WP_Post)#23168 (24) { ["ID"]=> int(3203) ["post_author"]=> string(1) "2" ["post_date"]=> string(19) "2013-08-10 15:24:44" ["post_date_gmt"]=> string(19) "2013-08-10 15:24:44" ["post_content"]=> string(9538) "

litro di birra

Una ventina di esseri umani gracili e deformi ascolta il mio tono di voce baritonale e tremolante alternando istanti di concentrazione ad altri di totale abbandono cosciente. Questi vecchietti, bellissimi nella loro teatrale bruttura, assomigliano ad uno stormo di lucherini che migrano per venire a svernare, e sulla loro pelle, aggrinzita e caratterizzata da una colorazione che sfuma dal marroncino al blu scuro, si possono scorgere tutti gli agenti naturali che ne hanno causato l'erosione. Sono rannicchiati su delle poltroncine in lino disposte a semicerchio e rivolte verso il tavolo al centro della stanza animazione, dove leggo a voce alta, come ogni mattina da qualche settimana, alcuni articoli tratti dai quotidiani locali a questa platea di batterie scariche. Gli “ospiti” - così sono chiamati dalla responsabile della struttura - sono attratti dalle notizie di cronaca nera più di qualsiasi altra cosa, e manifestano il loro apprezzamento con mugolii indistinti delle più svariate tonalità. Tra questi. i nostalgici del ventennio non si fanno scappare l'occasione di interrompere di tanto in tanto la mia lettura lanciandosi in energetici elogi al duce e alla sua sacrosanta e benedetta politica dell'ordine e del rigore. Mentre decanto, o meglio urlo, le gesta di qualche ladruncolo o stupratore seriale con atavica lentezza (metà di loro è mezza sorda, l'altra metà lo è completamente), non posso fare a meno di pensare alla decadenza che mi circonda. D'altronde, una casa di riposo non è certo un luogo che sprigiona gioia e felicità, sopratutto se assume la forma di un enorme cubo grigiastro di cinque piani, una sorta di girone infernale dantesco capovolto, dove nella parte più bassa si trovano coloro che hanno ancora qualche tipo di interazione con la realtà, e in quella più alta chi è a un passo dalla data di scadenza. La stanza dove mi trovo io, e dove sarò costretto a passare quasi tutte le mattine dei prossimi sei mesi in qualità di lavoratore di pubblica utilità, si trova al piano terra e non è altro che una saletta destinata all'animazione. Qui i cari nonnetti passano la maggior parte delle loro giornate aspettando sostanzialmente due eventi: il pranzo di mezzogiorno, e la cena delle diciannove, il tutto regolato da un enorme orologio appeso tra due finestroni che divide in secondi il poco tempo che rimane loro. Dalla parte opposta un enorme vetro a specchio separa la stanza da un corridoio, permettendo ai parenti di scorgere il proprio anziano senza correre il rischio di essere individuati, e creando un'ansiogena atmosfera da sala interrogatori. Le due pareti rimanenti sono infine tappezzate da disegnini e lavoretti manuali, molto simili a quelli che si trovano negli asili nidi o alle scuole elementari, ovviamente tutti realizzati dagli ospiti. Queste piccole opere d'arte, pressoché identiche a quelle che potrebbe forgiare un bambino di quattro anni, mi fanno pensare che la vita non sia nient'altro che una curva gaussiana: raggiunto il picco, si sprofonda inesorabilmente verso il basso; e un altro elemento che rafforza questa mia tesi è il tipo di rapporto che intercorre tra gli anziani e le infermiere, la cui unica occupazione è sostanzialmente quella di accompagnarli a urinare e defecare una ventina di volte al giorno e sgridarli come fossero degli infanti non appena si lamentano delle loro incalcolabili malattie.

Il mio compito invece è ascoltare le loro lagne e i dettagliati racconti delle loro passate tragedie, oltre a leggere il quotidiano o qualche storiellina tratta da un libro che raccoglie i racconti dei vecchi abitanti di Treviso, che loro ovviamente ricordano o conoscono personalmente.

Questa attività mi tiene occupato quattro mattine alla settimana per circa un paio di ore, durante le quali non faccio altro che immaginare la miseria che mi aspetta, a meno che un disastroso incidente stradale o un sacrosanto colpo apoplettico notturno non mi faccia restituire il biglietto prima di rincoglionirmi totalmente. Insomma, una bella rottura di palle. Anche se devo ammettere che qualche volta accade qualcosa di surreale e limitatamente comico, al punto tale che quei giorni quasi non mi viene voglia di suicidarmi. Una volta, per esempio, mentre tentavo di spiegare ad un'infermiera di nome Marisa che la mia laurea triennale in scienze alimentari non faceva di me un cuoco, il signor Piero, un ossuto vecchietto sopravvissuto all'ictus, cominciò ad intonare a squarciagola il Va' Pensiero seguito a ruota in pochissimi secondi da una buona metà delle altre cariatidi. Non si capiva nulla, bofonchiavano delle mezze parole ma gridavano ad un volume tale che mi chiesi da dove tirassero fuori tutta quell'energia. Il primo verso faceva più o meno così:

 Oh mia patria già bella e perduta.

 Io non mi ricordavo affatto questo verso, ma finalmente capii perché la Lega prendeva tutti quei voti. Il coro proseguiva imperterrito, nonostante le minacce delle infermiere che intimavano di non accompagnare in bagno più nessuno per le prossime due ore. Una nonnina scorbutica si dissociava dall'esibizione urlando di smetterla altrimenti li avrebbe uccisi tutti. Era così decisa che sembrava essere in grado di farlo davvero, ma dopo un po', contro ogni previsione, si fece coinvolgere anche lei e partecipò in qualità di mezzo tenore dimostrando un discreto talento musicale. Passata mezz'ora gli anziani cantanti persero le forze tutto a un tratto e ricominciarono a vagare nel limbo delle loro sinapsi consumate. Quello fu un bel momento, più che altro mi divertiva vedere le infermiere incapaci di esercitare la minima autorità e perdere completamente la testa. Un'altra volta un diabetico con la barba bianca molto simile a Babbo Natale, mi raccontò come si fosse fratturato il femore. Era seduto nell'ultima fila del cinema, come chiamava la stanza dalle pareti scrostate della casa di riposo dove propinavano pellicole vetuste agli ospiti, quando ad un tratto percepì la necessità di fare “aria”. Il gonfiore alla pancia era insopportabile ma non voleva farlo proprio lì, in mezzo a tutti; lo avrebbero beccato immediatamente se avesse fatto rumore. Ora, per un vecchietto che si ritrova in quella condizione, pensare di alzarsi dalla sedia, attraversare la fila e andare in un'altra stanza per compiere un peto è un'impresa tanto ardua quanto per un nano schiacciare a canestro, tanto più che aveva provato ad attirare l'attenzione di qualche infermiera ma queste non lo avevano badato. Decise di fare tutto da solo. Aveva osservato che quelli che gli sedevano accanto avevano i piedi attaccati alle loro sedie, tanto da permettergli una scia libera da poter attraversare per uscire dalla platea. Alzatosi si incamminò lungo la via, non aspettandosi però il movimento di gamba di uno di questi che lo fece inciampare e di conseguenza perdere l'integrità del proprio femore. Inoltre cadendo non era riuscito a controllare la flatulenza che era esplosa rumorosamente. Insomma, una tragedia. Mi raccontò tutto con le lacrime agli occhi. A mio parere doveva essere orgoglioso di quell'aneddoto.

Le mattinate trascorrono così, tra qualche lettura, qualche aneddoto e migliaia di lamenti. Anche se, al contrario di quel che si può immaginare, la maggior parte dei lamenti non proviene dagli anziani, bensì dalle inservienti (o infermiere, non ho ancora capito la loro qualifica), le quali passano un buon ottanta per cento dell'orario lavorativo a discutere di quanto sia duro il loro mestiere, di quanto bassa sia la paga, della nuova riforma che le farà andare in pensione a centosessantanni, e di un'altra quantità industriale di stronzate. Una delle commensali più attive di questo ripetitivo simposio è una povera signora sulla settantina affetta da demenza senile, alla quale è stato fatto credere dalla figlia, con il beneplacito di tutti i dipendenti della struttura, di essere stata assunta in qualità di aiuto infermiera, per indorare più facilmente la pillola. Non riesco a capire come possano mentirle con tanta tranquillità. Ho pensato a un piccolo e breve racconto dove una delle inservienti ingannatrici si rende conto di essere lei stessa un'ospite della casa di riposo, impazzisce e massacra tutti con un AK-47. Ho pensato che potrei essere io stesso un ospite ingannato e mi è venuto un piacevolissimo attacco di panico.

Mi ritrovo così, a ventiquattro anni, ad immergermi in un bel bagno caldo di realtà: le infermiere sostituiranno gli anziani, la mia generazione le infermiere, e alla fine di tutto, dopo anni di rotture di palle e di sacrifici, mi ritroverò costretto anche io a chiedere a qualche grassona di mezz'età di essere un po' più delicata con la carta igienica multi-strato.

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padronaGli uomini e le donne all'inizio hanno gusti e passatempi diversi. Solo invecchiando, quando la vita avrà ucciso ogni entusiasmo, i due sessi possono instaurare un dialogo. La scelta del ristorante dove cenare, la passeggiata all'IKEA in cerca di mobili, da quale serie TV farsi lobotomizzare, quando pulire casa e altri passatempi da vecchi. Prima, gli uomini guardano le donne con intenzione sessuale, se sono veramente belle le possono guardare così per dei mesi. Anche la donna può guardare gli uomini con intenzione sessuale. Poi ci vede dei figli. O delle migliori amiche. Potete metterla giù come volete ma la donna, geneticamente predisposta al comando pedagogico, presto o tardi tenterà di modellare il suo uomo per renderlo un'estensione della sua vagina.

E' nel pieno interesse della donna annullare la psiche adolescenziale del proprio partner. Solo in questo modo la relazione può continuare. Fate capire al vostro uomo che ormai la sua vita è finita.

Come rovinare gli uomini in dieci mosse.

1. Gli uomini e il gossip

Il gossip maschile si limita a commentare la disposizione proteica del corpo femminile. Tette, culi, cosce. Cercate invece di coinvolgerlo in discorsi sulle coppie di amici con cui uscite il weekend. Capito donne? Chiedetegli se secondo lui stanno bene insieme, se accetterebbe che voi vi mettiate un vestito da puttana come la tipa del suo amico, chi è la più bella coppia che conosce e altre cagate. Dopo, quando il poverino è ormai annullato, chiedetegli cosa pensa delle vostre amiche palesemente più fighe di voi.

2. Gli uomini e il calcio

Quando il vostro lui sprofonda nel divano per guardare sky sport è il momento di agire. Proponete vasche in centro, giri all'IKEA, pulizie domenicali e altre attività logoranti come alternativa a quello spreco di tempo ignorante che è il calcio.

[caption id="attachment_6618" align="aligncenter" width="448"]Il calcio è un'attività prettamente maschile Il calcio è un'attività prettamente maschile[/caption]

3. Gli uomini e lo shopping

Leggi antichissime che governano l'umanità prevedono che lo shopping venga fatto tra donne. Violatele! Insistete che sia il vostro lui ad accompagnarvi. Visitate quanti più negozi riuscite e ricordatevi di mettere il muso perché i jeans che avete provato vi fanno il culo largo.

[caption id="attachment_6620" align="aligncenter" width="671"]Gli uomini Fingo di essere felice di fare una cosa ma dietro il mio sorriso c'è Kierkegaard[/caption]

4. Gli uomini e la cucina

Il 90% degli uomini se fosse single mangerebbe pasta con il tonno a pranzo. A cena estrarrebbe una mozzarella dalla busta e la mangerebbe chinato sul lavello per non sporcare un piatto. L'unica cosa che gli uomini desiderano sinceramente dalle donne è che cucinino per loro. Non vogliono sapere nulla. Vogliono stare davanti alla TV ed essere chiamati in tavola quando è pronto. Per un uomo questa è la massima felicità possibile. Dovete fare solo una cosa: coinvolgetelo in questo divertente passatempo di coppia e lamentatevi che non cucina mai per voi.

[caption id="attachment_6613" align="aligncenter" width="360"]Il vero gusto si nasconde solo nel grasso Il vero gusto si nasconde solo nel grasso[/caption]

5. Gli uomini e la masturbazione

Per un uomo la masturbazione è l'attività più appagante. Il sesso al confronto è un compitino a sorpresa subito dopo le vacanze di natale. Per coglierlo sul fatto vi basta digitare la "V" o la "Y" sulla barra di ricerca del browser che utilizza. Se è attento ne avrà installati molteplici, provateli tutti insieme a lui con scuse bieche. Almeno uno dei browser vi suggerirà dei siti porno. Fate una delle vostre scenate e ripetete la trafila più volte. Un giorno il vostro uomo si troverà solo in casa e quando proverà a masturbarsi sarà colto da un' ansia mortale. Avrete rovinato l'unica gioia della sua vita.

6. Gli uomini e il sesso

Mai farlo quando lo chiede lui. Solo quando volete voi. Inoltre eliminate dalla copula eventuali fantasie e limitatevi a posizioni canoniche. Quelle da 50-70 euro insomma.

7. Gli uomini e la dieta

Presto o tardi inizierete una dieta. Non vi servirà praticamente a nulla. Coinvolgete il partner nel vostro personale ramadan a base di prodotti per celiaci. Perché in due è più facile. Godetevi la faccia che farà quando aspettandosi un risotto salsiccia, panna e funghi si vedrà servire bresaola e pan carré.

8. gli uomini e l'inadeguatezza

Tra amiche discutete su chi sia stata più abile ad addomesticare il proprio maschio. Ovviamente mentite tutte. In società dovete fingere che l'orso con cui convivete non sia un cosacco scorreggione. Usate le bugie delle vostre amiche per farlo sentire inadeguato. Ma lo sai che Giacomo va a trovare sua suocera anche senza la Flavia? Perché non fai un salto a vedere come sta mia madre?

9. Gli uomini e gli sprechi

Anche se voi spendete l'equivalente Svizzero di una finanziaria per rifarvi il guardaroba e acquistare i cibi biologici del punto 7, siete comunque autorizzate a incazzarvi se tra sciacquata, insaponamento e seconda sciacquata lui non chiude il getto della doccia.

[caption id="attachment_6621" align="aligncenter" width="960"]Chiudi l'acqua o te lo taglio. Chiudi l'acqua o te lo taglio.[/caption]

10. Siate voi stesse

Ogni donna possiede innate tutte le caratteristiche che servono a rovinare un uomo. Inutile seguire consigli per affrettare le cose. Lasciate fare al vostro gusto e alle vostre attitudini e vedrete che un giorno indosserete la tanto ambita veletta nera.

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Ragazzi, con questo articolo voglio provare a cogliere uno dei momenti più drammatici e significativi della vita di ciascuno di noi. Uno di quei momenti in grado di segnarti a vita come uno giusto o come uno sfigato, come uno che ha carattere o come uno che fa tutto quello che gli si dica, come un povero coi soldi propri o come un ricco coi soldi d'altri. Sì insomma parlo di quando i nostri genitori ci hanno posto la domanda fino ad allora più importante della nostra vita:” Allora Andrea che sport vuoi fare?”. E chiedere ad un bambino di 6 anni cosa voglia fare è come pretendere che Brunetta prenda il barattolo di biscotti dalla mensola più alta della credenza. In quel preciso istante vengono fuori la vera indole e le ambizioni di un genitore per un figlio. Il genitore, consapevole di essere la figura che indirizzerà nel bene e nel male il bambino, si sente responsabilizzato e in dovere di consigliarli ciò che ritiene meglio per lui, mettendolo spalle al muro. A mio vedere è possibile catalogare i diversi sport tra cui un bambino può scegliere in diverse macrocategorie:

Sport da figli di papà: in questa categoria rientrano sport come il polo, l'equitazione, il golf, il tennis e il volano. Come molti di voi già sapranno o avranno capito, per sport da figli di papà (o da genitore 1 come vuole la Kyenge) si intendono tutti quegli sport praticati da persone con uno stereotipo comune: i soldi. I figli di papà sono in realtà bambini sfortunati a cui è data una scelta molto ristretta di sport da praticare per mantenere il loro elevato status sociale e che per Natale ricevono una racchetta da tennis professionistica con incastonato un diamante nell'impugnatura anziché il pupazzo di Action man. Così succede che all'età di 6 anni il papà gli dica: ”Ambrogino, visto che devi cominciare a fare sport sabato ti porto al circolo di tennis con me e ti iscriviamo al precorso agonistico quinquennale che fanno anche i figli del Belli, del Peri e del Barbieri, va bene?” Generalmente il bambino acconsente per mancanza di conoscenze, ma nel caso in cui dovesse dissentire può sempre scegliere in alternativa il golf o un corso di finanza.

Su dieci bambini che cominciano così sport, uno diventa effettivamente bravo, ma vuoi mettere quante conoscenze altolocate si fanno?

Sport da figli di madri apprensive: questa categoria di sport è forse la più generale e che ci tocca un po' tutti nel profondo. Le mamme, si sa, sono apprensive di natura per quello che riguarda i propri pargoli, ma in tema di sport diventano come i politici in campagna elettorale: mentono con una convinzione pazzesca. La madre apprensiva quando chiede al figlio che sport vuole praticare gli fa capire tramite subdoli giochi di sguardi intimidatori cosa può o cosa non può fare. Se il bambino accenna una parola che cominci con cal-, foot-, hock-, loro gli lanciano uno sguardo di fuoco che incenerirebbe anche l'amianto. Sport adatti ai loro bambini sono il nuoto, l'altetica leggera e il judo. Stranamente un altro sport praticabile è il basket, probabilmente perchè le mamme si fanno intortare dalla storia che nel basket non c'è contatto fisico e le partite sono tutte giocate di fondamentali.

Il discorso cambia se le mamme apprensive hanno delle figlie. A questo punto da apprensive si trasformano in competitive e spingono la figlia a fare danza classica per diventare prime ballerine del teatro di Mosca e colmare la delusione che hanno covato per una vita intera nel non essere diventate partner sul palco di Roberto Bolle.

Sport da cugini:come si sa, l'erba del vicino è sempre più verde. In ogni famiglia che si rispetti c'è sempre il cugino più bravo, più bello, più tutto a cui i genitori (che poi sono gli zii) permettono di fare tutto mentre a te i tuoi genitori (che sono gli zii di tuo cugino) non lasciano fare un bel niente. Il tipico cugino pratica sport come il calcio o il basket, ma a livello che sembra quasi semiprofessionistico. Al momento della scelta dello sport il bambino sceglierà lo stesso del cugino per spirito di emulazione (i genitori generalmente non si oppongono vedendo la possibilità di far scarrozzare i figli dai propri fratelli e sorelle), ma dopo poco entrerà nella spirale decadente del vivere all'ombra del parente più bravo, più bello, più tutto che ne comprometterà lo sviluppo indipendente della personalità.

Sport da nipoti dei nonni: qua arriviamo alla categoria che più ci piace, quella in cui parliamo degli sport che vengono consigliati dai nonni. In quanto genitori dei genitori sono come la costituzione: non possono essere contraddetti e hanno massima voce in capitolo su ogni cosa. Fortunatamente gli sport consigliati dai nonni sono anche i più normali, in quanto retaggio di una giovinezza vissuta in tempi in cui c'erano molte meno pretese di adesso. Il calcio, il basket, il tennis, la pallanuoto sono tutti sport che i nonni vedono di buon occhio. Inconsciamente, un bambino che segue il consiglio del nonno è quello con le maggiori possibilità di successo, in quanto può godere della grande esperienza maturata da questo nel corso della vita, aiutandolo e allenandolo a modo proprio affinchè diventi un giorno un possibile fenomeno. Se invece il nonno ha già abbondantemente superato la soglia dei settant'anni il consiglio diventa controproducente e includerà sport come la briscola, il burraco e lo scopone scientifico. Il bambino non imparerà nulla sui valori dello sport, ma una vagonata di bestemmie in dialetto sì.

Insomma, fin da quando eravamo piccoli le scelte nostre e non hanno segnato il nostro stile di vita, ma, ricordando una frase di Tyler Durden dal film Fight Club, infilarci le penne nel culo non fa di noi galline.

P.S. nessun Andrea è stato maltrattato durante la stesura di quest'articolo e Ambrogino alla fine ha ricevuto anche un pupazzo di Action Man per la Befana.

Alberto Barbazeni

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