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Abbiamo scritto ad Andrea Diprè utilizzando la mail contenuta nel suo sito http://www.andreadipre.it/.

Ha risposto alle nostre domande. Se sia stato lui o qualcuno che si è preso la bega di montare un sito, raccogliere tutto il suo materiale, creare un canale youtube e infine rispondere all'Oltreuomo non ci è dato saperlo. Ne apprezziamo comunque lo sforzo. Come apprezziamo la puntualità di babbo natale. Quello che importa è che dopo questa intervista, fasulla o meno che sia, trovate il vero video dell'intervista che Andrea Diprè ha fatto a Sasha Grey. - MIRACOLOSO -

Andrea Diprè

 

Ecco le nostre domande ad Andrea Diprè.

1- La rivista Wired ha intervistato il grande storico dell'arte Philippe Daverio, ma noi dell'Oltreuomo vogliamo puntare in alto. Lei, Andrea Diprè, critico d'arte, è riuscito a dar voce a quel "non so che" di cui già parlava Kant segnando un'era di cesura nella storia dell'arte e dell'estetica contemporanea. Lei è il simbolo della cultura pop dei nostri giorni, un opinion leader della contemporaneità. Nell'intervista a Daverio hanno chiesto cosa ne pensasse del fenomeno degli hipster, noi vogliamo invece sapere cosa ne pensa lei del fenomeno Sara Tommasi? 1-  Chi cazzo è il tipo che avete citato? Chi cazzo lo conosce? Quanto alla Tommasi, dunque, mi faccia pensare. E’ una domanda difficile. Credo che la migliore risposta sia quella di chiederle se lei se la scoperebbe.

2- Una sua citazione famosa è: "gli artisti generano la sostanza estetica con cui è fatta l’arte, ossia ciò che ci concilia in modo non nichilistico con il fatto evidente che siamo noi stessi a produrre, a creare ciò che chiamiamo essenziale". Ecco, con questa frase lei prende una posizione forte. Se ho capito bene, ciò che gli artisti producono (cioè la sostanza estetica) ci concilia col fatto che siamo noi a produrre (qualcosa di essenziale). Quindi tutti sono artisti quando producono qualcosa o semplicemente l'essenziale deriva dall'amicizia o dalla stima che abbiamo per gli artisti? Inoltre, con questa frase lei vuole avvicinarsi più alla concezione nietzschiana o heideggeriana dell'arte? 2- Guardi, assistiamo alla costruzione di una cultura di individui piagnucolosi, vigliacchi, smidollati e ipocriti che hanno sempre una scusa per tutto e non si prendono la responsabilità di niente. Con quella frase sostanzio la MIA concezione di arte. Nietzsche o Heidegger sono solo obblighi di studio e non provocazioni dell’intelligenza.

3- Mi scuso in anticipo per la questione che vorrei trattare, ma ritengo che sia importante far capire al pubblico cosa c'è di marcio nell'arte contemporanea. Lei ha preso le distanze da un certo modo di fare critica d'arte, ma anche da una sorta di servilismo politico. Edgar Wind nel suo "Arte e Anarchia" ci parla di come il destino dell'arte e della politica siano indissolubilmente legati, ma anche di come l'arte contemporanea acquistando una certa autonomia si sia così relegata ai margini della società perdendo ciò che la rendeva "temibile" agli occhi del potere. Secondo lei, Andrea Diprè, c'è un legame fra queste riflessioni e Achille Bonito Oliva? 3- BEEP! Domanda sbagliata! Non lo conosco. Quindi non si può negare nulla al nulla.

4- Continuando a parlare di engagement, so che lei ha lanciato un progetto politico da lei stesso definito "super partes". Un progetto concreto il cui unico punto in programma è di "trasformare l'utopia in realtà". Cosa vuol significare esattamente con questa affermazione? E ancora, lei pensa che uno qualsiasi dei candidati alla presidenza del consiglio preveda di dare uno spazio e una voce all'arte contemporanea? 4- Ma figuriamoci! Non me ne frega un cazzo della politica “democratica” dei burosauri. Che gran rottura di coglioni!

5- É venuto da poco a mancare una personalità importante del mondo dell'arte, un suo caro collega per cui lei nutriva grande stima ma anche un amico. Stiamo parlando di Osvaldo Paniccia. Cosa ha imparato lei, Andrea Diprè, dall'arte del grande maestro Paniccia? Come lo ricorderà il grande pubblico? 5- Osvaldo Paniccia è un monarca assoluto dell'arte che va accostato, in grandezza e genialità, a Michelangelo, Raffaello e Leonardo.

6- Picasso dice "Il peggior nemico della creatività è il buon gusto". A suo avviso, vi sono limiti al fare artistico? 6- A me interessa solo l’arte che fa eccitare. Quindi non ci sono limiti.

7- La ringrazio della sua disponibilità e le chiederei gentilmente di concludere l'intervista con un simpatico saluto ai lettori dell'Oltreuomo. 7- Voi, lettori dell’Oltreuomo, siete il vento sotto le mie ali e io le batto per voi. Dio vi benedica. Grazie.

  Andrea Diprè intervista Sasha Grey " ["post_title"]=> string(27) "Intervista ad Andrea Diprè" ["post_excerpt"]=> string(0) "" ["post_status"]=> string(7) "publish" ["comment_status"]=> string(6) "closed" ["ping_status"]=> string(6) "closed" ["post_password"]=> string(0) "" ["post_name"]=> string(26) "intervista-ad-andrea-dipre" ["to_ping"]=> string(0) "" ["pinged"]=> string(0) "" ["post_modified"]=> string(19) "2019-11-26 09:57:39" ["post_modified_gmt"]=> string(19) "2019-11-26 09:57:39" ["post_content_filtered"]=> string(0) "" ["post_parent"]=> int(0) ["guid"]=> string(29) "https://oltreuomo.com/?p=2210" ["menu_order"]=> int(0) ["post_type"]=> string(4) "post" ["post_mime_type"]=> string(0) "" ["comment_count"]=> string(1) "0" ["filter"]=> string(3) "raw" } [1]=> object(WP_Post)#23106 (24) { ["ID"]=> int(1864) ["post_author"]=> string(1) "2" ["post_date"]=> string(19) "2012-12-20 13:33:12" ["post_date_gmt"]=> string(19) "2012-12-20 13:33:12" ["post_content"]=> string(5971) "

La profezia dei Maya è indubbiamente più credibile delle promesse elettorali di Bersani, perciò, con sommo dispiacere, anche l'oltreuomo si sta preparando alla dipartita generale. Con questo ultimo post voglio ringraziare tutti quelli che ci hanno seguito, insultato, idolatrato, e spocchiosamente commentato. Qui sotto troverete una lista di tutte quelle persone o cose o avvenimenti che mi mancheranno dopo l'imminente apocalisse globale. Addio.

Mi mancherai Valerio Staffelli e il mio desiderio di investirti con l'automobile.

Mi mancherete metallari, con il vostro tapping insostenibile e le vostre fan ciccione.

Mi mancherai Berlusconi, con la tua voglia di fica e il tuo distaccamento dalla realtà.

Mi mancherai serie A, con le tue scommesse, i tuoi brogli e i tuoi tifosi delinquenti.

Mi macherai D'Alema, con la tua fu fu dance e la tua voglia di rovinare l'Italia.

Mi mancherete leghisti, con il vostro forcone, le vostre camice e la vostra meravigliosa tolleranza.

Mi mancherai Sgarbi, con i tuoi problemi di rabbia, le tue querele, le tue messinscene televisive e le tue violazioni dell'embargo alla Libia.

Mi mancherai Barbara D'urso, con la tua bontà, la tua pietà, il tuo essere madre di due bambini e il tuo stile per nulla retorico. Ti aspetta un posto d'onore accanto a Goebbels.

Mi mancherete francesi, con la vostra faccia di merda e la erre moscia come il vostro cazzo.

Mi mancherai Partito Democratico, con la tua voglia di cambiamento.

Mi mancherai Vaticano, con i tuoi sacrifici, le tue opere di bene, l'ostentazione della povertà.

Mi mancherai Vasco Rossi, con la tua arteriosclerosi.

Mi mancherai Valentino Rossi, e il tuo condono fiscale.

Mi mancherai Facebook con i tuoi commenti, gli status interessanti dei miei amici, le foto delle fiche da andare a spulciare, i giochetti tipo Angry Birds, e le condivisioni.

Mi mancherai Twitter per tutto quello che hai fatto per la grammatica.

Mi mancherai Alessandra Mussolini, e le tue vecchie foto discinte che ci permettevano di farci le pugnette con un sosia di Benito con le tette.

Mi mancherai Sex tape di Belen Rodriguez.

Mi mancherai Papa Ratzinger, per il tuo volto rassicurante e bello come un debito.

Mi mancherai Mario Monti, per avere avuto almeno l'accortezza di usare la vaselina.

Mi mancherai mediaset, per i tuoi programmi d'alta qualità come 11 o Misteri.

Mi mancherai Maria De Filippi, per aver sfornato migliaia di talenti italiani, uno più bravo dell'altro.

Mi mancherete Veneti, che assieme a toscani e campani, non fate altro nella vita che partecipare a uomini e donne.

Mi mancherai grassa signora del pubblico di uomini e donne, attualmente in gabbia per cocaina.

Mi mancherete tifosi del Napoli, per la canzone dedicata a Lavezzi.

Mi mancherai Ibrahimovic, per i tuoi gol pazzeschi e per essere un signore anche fuori dal campo.

Mi mancherete fratelli Vanzina e Neri Parenti, per aver dimostrato che basta scoreggiare per fare milioni di incassi.

Mi mancherai Amanda Liar, per aver condotto quella leggendaria prima puntata della Talpa. Poi ho scoperto che eri l'amante di Dalì.

Mi mancherai babbo natale, per non avermi mai portato il gameboy creandomi grossi complessi di inferiorità.

Mi mancherai Gazzetta dello Sport, per informarmi che Inzaghi ha segnato settantadue gol toccando la palla con la parte centro-destra del piede e 54 con quella centro-sinistra.

Mi mancherete animalisti, anzi no.

Mi mancherete vegani, con i vostri svenimenti e il vostro contributo al mercato degli integratori di vitamine che inquinano mezzo pianeta.

Mi mancherai Bondi, e la tua poesia, e la tua Bontà.

Mi mancherai Ezio Greggio, con le tue battute sempre sfolgoranti.

Mi mancherai Cattolicesimo, per avermi creato dei Tabù che mi fanno apprezzare meglio il film Il confessionale con Rocco Siffredi.

Mi mancherete bovari, che mi pestate solo perché ho osato guardarvi negli occhi.

Mi mancherete Donne, con il vostro troieggiare, il vostro senso di colpa, il vostro mito della santità, la vostra perdita di ferro mensile.

Mi mancherai Comunità europea, per la tua coesione e per l'estenuante lotta agli interessi particolari.

Mi mancherai Italia, con il tuo debito pubblico, la tua cultura del furbetto, le tue spiagge, i tamarri di paese, le mafie, l'arte, il mandolino, i baffi, la pizza, la corruzione, Andreotti, il calcio, la cucina, le sperequazioni sociali, il nepotismo, il clientelismo, la tv e l'efficienza dei trasporti.

Mi mancherai vita, per farmi capire che forse non mi mancherai.

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Una ventina di esseri umani gracili e deformi ascolta il mio tono di voce baritonale e tremolante alternando istanti di concentrazione ad altri di totale abbandono cosciente. Questi vecchietti, bellissimi nella loro teatrale bruttura, assomigliano ad uno stormo di lucherini che migrano per venire a svernare, e sulla loro pelle, aggrinzita e caratterizzata da una colorazione che sfuma dal marroncino al blu scuro, si possono scorgere tutti gli agenti naturali che ne hanno causato l’erosione. Sono rannicchiati su delle poltroncine in lino disposte a semicerchio e rivolte verso il tavolo al centro della stanza animazione, dove leggo a voce alta, come ogni mattina da qualche settimana, alcuni articoli tratti dai quotidiani locali a questa platea di batterie scariche. Gli “ospiti”, così sono chiamati dalla responsabile della struttura, sono attratti dalle notizie di cronaca nera più di qualsiasi altra cosa, e manifestano il loro apprezzamento con mugolii indistinti delle più svariate tonalità. Tra questi, i nostalgici del ventennio non si fanno scappare l’occasione di interrompere di tanto in tanto la mia lettura, lanciandosi in energetici elogi al duce e alla sua sacrosanta e benedetta politica dell’ordine e del rigore. Mentre decanto, o meglio urlo, le gesta di qualche ladruncolo o stupratore seriale con atavica lentezza (metà di loro è mezza sorda, l’altra metà lo è completamente), non posso fare a meno di pensare alla decadenza che mi circonda. D’altronde, una casa di riposo non è certo un luogo che sprigiona gioia e felicità, sopratutto se assume la forma di un enorme cubo grigiastro di cinque piani, una sorta di girone infernale dantesco capovolto, dove nella parte più bassa si trovano coloro che hanno ancora qualche tipo di interazione con la realtà, e in quella più alta chi è a un passo dalla data di scadenza. La stanza dove mi trovo io, e dove sarò costretto a passare quasi tutte le mattine dei prossimi sei mesi in qualità di lavoratore di pubblica utilità, si trova al piano terra e non è altro che una saletta destinata all’animazione. Qui i cari nonnetti passano la maggior parte delle loro giornate aspettando sostanzialmente due eventi: il pranzo di mezzogiorno, e la cena delle diciannove, il tutto regolato da un enorme orologio appeso tra due finestroni che divide in secondi il poco tempo che rimane loro. Dalla parte opposta un enorme vetro a specchio separa la stanza da un corridoio, permettendo ai parenti di scorgere il proprio anziano senza correre il rischio di essere individuati, e creando un’ansiogena atmosfera da sala interrogatori. Le due pareti rimanenti sono infine tappezzate da disegnini e lavoretti manuali, molto simili a quelli che si trovano negli asili nidi o alle scuole elementari, ovviamente tutti realizzati dagli ospiti. Queste piccole opere d’arte, pressoché identiche a quelle che potrebbe forgiare un bambino di quattro anni, mi fanno pensare che la vita non sia nient’altro che una curva gaussiana: raggiunto il picco, si sprofonda inesorabilmente verso il basso; e un altro elemento che rafforza questa mia tesi è il tipo di rapporto che intercorre tra gli anziani e le infermiere, la cui unica occupazione è sostanzialmente quella di accompagnarli a urinare e defecare una ventina di volte al giorno e sgridarli come fossero degli infanti non appena si lamentano delle loro incalcolabili malattie.

Il mio compito invece è ascoltare le loro lagne e i dettagliati racconti delle loro passate tragedie, oltre a leggere il quotidiano o qualche storiellina tratta da un libro che raccoglie i racconti dei vecchi abitanti di Treviso, che loro ovviamente ricordano o conoscono personalmente.

Questa attività mi tiene occupato quattro mattine alla settimana per circa un paio di ore, durante le quali non faccio altro che immaginare la miseria che mi aspetta, a meno che un disastroso incidente stradale o un sacrosanto colpo apoplettico notturno non mi faccia restituire il biglietto prima di rincoglionirmi totalmente. Insomma, una bella rottura di palle. Anche se devo ammettere che qualche volta accade qualcosa di surreale e limitatamente comico, al punto tale che quei giorni quasi non mi viene voglia di suicidarmi. Una volta, per esempio, mentre tentavo di spiegare per la quinta volta ad un’infermiera di nome Marisa che la mia laurea triennale in scienze alimentari non faceva di me un cuoco, il signor Piero, un ossuto vecchietto sopravvissuto all’ictus, cominciò ad intonare a squarciagola il Va’ Pensiero, seguito a ruota in pochissimi secondi da una buona metà delle altre cariatidi. Non si capiva nulla, bofonchiavano delle mezze parole ma gridavano ad un volume tale che mi chiesi da dove tirassero fuori tutta quell’energia. Il primo verso faceva più o meno così:

Oh mia patria già bella e perduta.

Io non mi ricordavo affatto questo verso, ma finalmente capii perché la Lega prendeva tutti quei voti. Il coro proseguiva imperterrito, nonostante le minacce delle infermiere che intimavano di non accompagnare in bagno più nessuno per le prossime due ore. Una nonnina scorbutica si dissociava dall’esibizione urlando di smetterla altrimenti li avrebbe uccisi tutti. Era così decisa che sembrava essere in grado di farlo davvero, ma dopo un po’, contro ogni previsione, si fece coinvolgere anche lei e partecipò in qualità di mezzo tenore dimostrando un discreto talento musicale. Passata mezz’ora, gli anziani cantanti persero le forze tutto a un tratto e ricominciarono a vagare nel limbo delle loro sinapsi consumate. Quello fu un bel momento, più che altro mi divertiva vedere le infermiere incapaci di esercitare la minima autorità e perdere completamente la testa. Un’altra volta, un diabetico con la barba bianca, molto simile a Babbo Natale, mi raccontò come si fosse fratturato il femore. Era seduto nell’ultima fila del cinema, come chiamava la stanza dalle pareti scrostate della casa di riposo dove propinavano pellicole vetuste agli ospiti, quando ad un tratto percepì la necessità di fare “aria”. Il gonfiore alla pancia era insopportabile ma non voleva farlo proprio lì, in mezzo a tutti, lo avrebbero beccato immediatamente se avesse fatto rumore. Ora, per un vecchietto che si ritrova in quella condizione, pensare di alzarsi dalla sedia, attraversare la fila e andare in un’altra stanza per compiere un peto è un’impresa tanto ardua quanto per un nano schiacciare a canestro, tanto più che aveva provato ad attirare l’attenzione di qualche infermiera ma queste non lo avevano badato. Decise di fare tutto da solo. Aveva osservato che quelli che gli sedevano accanto avevano i piedi attaccati alle loro sedie, tanto da permettergli una scia libera da poter attraversare per uscire dalla platea. Alzatosi si incamminò lungo la via, non aspettandosi però il movimento di gamba di uno di questi che lo fece inciampare e di conseguenza perdere l’integrità del proprio femore. Inoltre cadendo non era riuscito a controllare la flatulenza che era esplosa rumorosamente. Insomma, una tragedia. Mi raccontò tutto con le lacrime agli occhi. A mio parere doveva essere orgoglioso di quell’aneddoto.

Le mattinate trascorrono così, tra qualche lettura, qualche aneddoto e migliaia di lamenti. Anche se, al contrario di quel che si può immaginare, la maggior parte dei lamenti non proviene dagli anziani, bensì dalle inservienti (o infermiere, non ho ancora capito la loro qualifica), le quali passano un buon ottanta per cento dell’orario lavorativo a discutere di quanto sia duro il loro mestiere, di quanto bassa sia la paga, della nuova riforma che le farà andare in pensione a centosessant’anni, e di un’altra quantità industriale di stronzate. Una delle commensali più attive di questo ripetitivo simposio è una povera signora sulla settantina affetta da demenza senile, alla quale è stato fatto credere dalla figlia, con il beneplacito di tutti i dipendenti della struttura, di essere stata assunta in qualità di aiuto infermiera, per indorare più facilmente la pillola. Non riesco a capire come possano mentirle con tanta tranquillità. Ho pensato a un piccolo e breve racconto dove una delle inservienti ingannatrici si rende conto di essere lei stessa un’ospite della casa di riposo, impazzisce e massacra tutti con un AK-47. Ho pensato che potrei essere io stesso un ospite ingannato e mi è venuto un piacevolissimo attacco di panico.

Mi ritrovo così, a ventinove anni, ad immergermi in un bel bagno caldo di realtà: le infermiere sostituiranno gli anziani, la mia generazione le infermiere, e alla fine di tutto, dopo anni di rotture di palle e di sacrifici, mi ritroverò costretto anche io a chiedere a qualche grassona di mezz’età di essere un po’ più delicata con la carta igienica multi-strato.

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Per questo primo aprile l'oltreuomo vi regala dei classici della comicità di internet che ho trovato oggi stampati e dimenticati in un cassetto. Vi ricordate l'analisi della struttura sociale dei puffi? O la dimostrazione scientifica che non può esistere babbo natale? O la misurazione geometrica del campo di Holly e Benji? Bene! In questo post non troverete niente di tutto ciò (magari in futuro). Tuttavia le seguenti battute, nel 2002, si trovavano nello stesso sito.

Via alle cazzate e scusateci ma oggi è il pesce di Aprile. Pesce di aprile Domanda 1. Se conoscessi una donna incinta che avesse già 8 figli, di cui tre sordi, due ciechi, uno ritardato mentale e lei avesse la sifilide. Le consiglieresti di abortire? Se hai risposto sì, hai evitato la nascita di Ludwig Van Beethoven. Domanda 2 Devi eleggere il nuovo leader del mondo, ecco la descrizione dei tre candidati:
  • Candidato A: è in combutta con politici corrotti, consulta gli astrologi. Ha due amanti. Fuma come un turco e si beve dagli 8 ai 10 Martini al giorno.
  • Candidato B: è stato rimosso dal suo incarico due volte, dorme fino a mezzogiorno, all’università si faceva di oppio e ogni sera beve un litro di Whisky.
  • Candidato C: è un eroe di guerra decorato. È vegetariano, non fuma, beve una birra una volta ogni tanto e non ha mai avuto relazioni extraconiugali.
Quale scegli? Il candidato A è Franklin Roosevelt, il candidato B è Winston Churchill, il candidato C è Adolf Hitler. Domande sceme di avvocati: -          Lei era presente quando le scattarono questa foto? -          Fu lei o suo fratello a morire in guerra? -          Vi ha ucciso? -          Quanto erano distanti i veicoli al momento della collisione? -          Quante volte si è suicidato? -          Dottore non è forse vero che quando una persona muore mentre dorme, non se ne rende conto fino al mattino? Domande fondamentali del nostro secolo: -          Perché se Dio è immortale ha lasciato ben due testamenti? -          Come si fa a sapere se la parola nel dizionario è scritta sbagliata? -          Qual è il sinonimo di sinonimo? -          Per diventare necrofili ci vuole inclinazione o bisogna farsi le ossa? -          Nei film porno il protagonista e il montatore sono la stessa persona? -          Quelli che attaccano i cartelli “Chi tocca muore” muoiono tutti? -          Perché “separato” si scrive tutto insieme e “tutto insieme” si scrive separato? -          Perché non c’è un alimento per gatti al gusto di topo? -          Se una navetta spaziale viaggia alla velocità della luce, i fari funzionano?" ["post_title"]=> string(33) "Questo non è un Pesce di Aprile." ["post_excerpt"]=> string(0) "" ["post_status"]=> string(7) "publish" ["comment_status"]=> string(6) "closed" ["ping_status"]=> string(6) "closed" ["post_password"]=> string(0) "" ["post_name"]=> string(31) "questo-non-e-un-pesce-di-aprile" ["to_ping"]=> string(0) "" ["pinged"]=> string(0) "" ["post_modified"]=> string(19) "2019-11-26 09:58:05" ["post_modified_gmt"]=> string(19) "2019-11-26 09:58:05" ["post_content_filtered"]=> string(0) "" ["post_parent"]=> int(0) ["guid"]=> string(28) "https://oltreuomo.com/?p=480" ["menu_order"]=> int(0) ["post_type"]=> string(4) "post" ["post_mime_type"]=> string(0) "" ["comment_count"]=> string(1) "6" ["filter"]=> string(3) "raw" } [4]=> object(WP_Post)#23152 (24) { ["ID"]=> int(473) ["post_author"]=> string(1) "4" ["post_date"]=> string(19) "2012-03-28 19:05:17" ["post_date_gmt"]=> string(19) "2012-03-28 19:05:17" ["post_content"]=> string(4906) "

Diventa tristissimoMolti di voi, nonostante la pedissequa applicazione degli esercizi proposti nei post precedenti, non sono riusciti a raggiungere il Nirvana della colica emotiva. In questo terzo post della serie “diventa tristissimo” vi proporremo altri due facili esercizi per spingere il vostro male di vivere, fino alle fosse più profonde dell’orrendo, quasi foste in un plastico di Bruno Vespa. No! Non come se foste Bruno Vespa. Lui evidentemente non è triste.

Tuttavia è importante avere un’ideale di tristezza a cui tendere e che possa rappresentare il capolinea del vostro cammino. Per quelli di voi meno fantasiosi, ecco alcuni consigli:

-  Uno qualsiasi della famiglia Curie a non aver vinto il Nobel: è risaputo che nella famiglia Curie i Nobel arrivavano a badilate (due alla signora, uno al marito, uno alla figlia e al marito della figlia, uno al genero). Immaginate la vergogna dei parenti meno blasonati alle cene di natale.

-  Il figlio di Guglielmo Tell, Gualtierino: in seguito all’episodio della mela, che suggellò la notorietà del padre, il figlio cominciò a soffrire di encopresi. Circostanza che lo rese molto impopolare tra i suoi compagni di classe.

-   I componenti della band di Ian Curtis (Joy Division): alla vigilia del tour americano che avrebbe arricchito vergognosamente la band, il loro frontman si impiccò. Il sogno di una vita in frantumi per colpa di Ian. Si può solo immaginare la fantasia nelle imprecazioni smoccolate da quei poveretti.

-   John Wayne Bobbit: marito di Lorena.

Cominciamo adesso con gli esercizi.

Esercizio 5: Rivangare il passato.

Pinketts diceva “il passato è bello perché è passato, se provate a far diventare presente il vostro passato come minimo sbagliate la coniugazione dei verbi”. Concetto tragicamente in antitesi con il nostro obiettivo. Bisogna pensare sempre al passato! Cercare di fissarsi sulle serate gloriose dell’adolescenza in cui si tiravano le cinque, ingollando damigiane di liquori e palpando il culo alle cameriere. Se è trascorso abbastanza tempo, potete stare tranquilli che avrete quasi completamente dimenticato l’angoscia per le interrogazioni, il dolore di allinearvi al volere genitoriale, l’agghiacciante rapporto torbido con Susana. Diffidate degli amici che vi dicono di vedervi più sereni adesso. Abbiamo già imparato che vogliono solo il vostro male.

Il vantaggio di rinvangare il passato è duplice. Da un lato vi persuade che il presente sia disgustoso, che il meglio sia già andato e che ormai non vi resti che accettare un lento e inesorabile declino. Dall’altro non vi permette di osservare il presente, evitando così di correre il rischio di intravedere degli spiragli di felicità.

Sforzatevi di riproporre il passato oggi. Comportatevi come se aveste sedici anni e andate alla ricerca dei passati amori.

Esercizio 6: mi piacciono così.

Ah, l’amore. Impossibile essere infelici senza. Per prima cosa assicuratevi di avere alle spalle una serie di relazioni abortite perché, dopo un certo periodo di frequentazione, non ne potevate proprio più del vostro partner. Perfetto. Ora tracciate il profilo del vostro partner ideale. Vi accorgerete che in buona sostanza coincide con il presepe di “ex” che affollarono la vostra vita. A questo punto occorre rifiutare il buon senso in nome dell’idea. Anche chi legge Susanna Tamaro può facilmente capire che se tutti i compagni con cui avete perpetuato relazioni disastrose, avevano qualcosa in comune, la colpa dei fallimenti sta nella vostra ottusa ricerca di qualcosa che vi piace solo sulla carta. Bene, il segreto per l’infelicità è continuare a cercare quella cosa. I più astuti riusciranno addirittura a individuare quale sia quella cosa che sulle prime vi attira e poi vi demolisce. Ad esempio, se siete gelose fino al parossismo, innamoratevi sempre di quei ragazzi che amano fare festa e stare al centro dell’attenzione. Oppure se adorate il formalismo russo, innamoratevi di una cubista tettona che legge solo i bugiardini delle creme per combattere le infezioni vaginali (questo caso in verità potrebbe anche funzionare, NDA).

[parte prima] [parte seconda]

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Germano MosconiContinuano le interviste dell’Oltreuomo, dopo il successo dell’intervista a Fabio Volo ecco l’attesissima intervista a Germano Mosconi.

Sono seduto da cinque minuti in un caffè di piazza Bra a Verona quando vedo arrivare Germano Mosconi con passo sicuro. L’arena fa da cornice ad un uomo straordinario. Prende posto davanti a me e mi guarda dubbioso. Purtroppo da quando il fatidico video è stato diffuso in rete, il giornalista non vede di buon occhio le interviste. Teme sempre di essere canzonato. Lo rassicuro che noi dell’Oltreuomo siamo gente seria e che il nostro blog si dissocia da ogni forma di ironia di bassa forgia.

Ordiniamo da bere, io un Valpolicella mentre Germano Mosconi una più anodina acqua tonica.

Comincia l'intervista a Germano Mosconi.

Germano Mosconi: una volta avrei preso un buon rosso ma ora in paradiso ci è permesso bere solo vin santo. Oltreuomo: Spero la cosa non ti faccia arrabbiare Germano (ammicco allusivo). A proposito posso darti del tu? Germano Mosconi: no. Oltreuomo: (mi imbarazzo lievemente) mi scusi signor Germano Mosconi non volevo mancarle di rispetto. Che ne dice se cominciamo con l’intervista? Germano Mosconi: Sempre che lei sia un vero giornalista. Oltreuomo: no, non lo sono. Ma d’altra parte questa non è una vera intervista. Germano Mosconi: Allora cominciamo che ho fretta. Oltreuomo: fretta!? Non pensavo che dopo il trapasso si percepisse ancora qualcosa come l’ingerenza del tempo. Germano Mosconi: è che duettano Whitney Huston e Lucio Battisti. E non voglio perderli. Oltreuomo: e così sia (sorrido ma lui no). So che è un argomento delicato ma lei è piuttosto famoso per un video che ha goduto di grande visibilità tra il popolo della rete. Ce ne vuole parlare? Germano Mosconi: cosa vuole che le dica? Ho imparato a bestemmiare in parrocchia, quando da bambino giocavo a calcetto con gli amici. Come tutti. Qualche mentecatto ha raccolto le rare occasioni in cui, durante i fuori onda, ho associato Dio ad animali da cortile e ha montato il video con mestiere. Per essere veneto sono parco di bestemmie. Se si aspettava questo da me direi che abbiamo finito. Oltreuomo: No no, non mi fraintenda. Vuole piuttosto raccontare qualcosa del paradiso? Germano Mosconi: volentieri. Vede, io e le altre anime siamo partiti da Codroipo, la nave ci ha portato fino a “Porto di Dio”, il porto del paradiso. Il porto è circondato da un piccolo borgo chiamato “Borgo di Dio” dove le anime possono trovare sistemazione. Ho affittato un monolocale in un residence tramite l’agenzia “Dio case” di san Pietro. Deve sapere che San Pietro ha il monopolio degli immobili nell’aldilà. Il posto è pulito, molto elegante e il vicinato discreto. Ho anche una piccola terrazza che si affaccia su un grazioso parco, “Parco di Dio”. A casa, due volte a settimana, viene la madonna delle pulizie ad aiutarmi con i mestieri. In paese c’è anche una graziosa tavernetta, gestita da un certo Giuda, dove si mangia della succulenta carne di maiale, il porco di Giuda. Poi la sera ci si ritrova tutti in piazzetta vicino alla “fontana la madonna” e giochiamo a “Bestia” a cinque carte. Diciamo che non posso lamentarmi. Oltreuomo: sembra proprio un paradiso. Germano Mosconi: La smetta subito per cortesia (con irritazione pacata). Oltreuomo: Intendevo chiederle se c’è qualcosa che non le va a genio del paradiso. Germano Mosconi: beh, vede, io adoro la musica ma le uniche radio che ricevo sono RaDio Bono, che trasmette solo canzoni degli U2, e RaDio Bue, che trasmette solo canti di natale. Oltreuomo: Cosa le manca della terra? Germano Mosconi: il calcio. Ho vissuto una vita ad amare il calcio e a parlare di lui. Ora è come se vivessi in un perenne “fine primo tempo”. Diciamo che senza calcio c’è poco Dio, poco poco poco Dio (batte più volte il pugno sul tavolo senza riuscire a trattenere delle lacrime di rabbia). Oltreuomo: Vuole che ci fermiamo qui signor Germano? Germano Mosconi: Lei sì, io devo rientrare (si ricompone). Ci pensa, un uomo della mia età con il coprifuoco? Roba da matti. A cosa sono serviti tutti quei rigori, quei fuorigioco, quei dannati tabellini marcatori? Mi rimane solo il ricordo di qualcosa che non avrò più. Una violenta nostalgia delle righe bianche, dell’odore di erba bagnata, del rimbombo del tocco di palla dei giocatori, del brusio chiassoso dei tifosi, di quella lieve tensione che ti prende quando gli avversari battono un calcio d’angolo allo scadere e, più di tutto, il silenzio degli ospiti quando segna l’Hellas. Oltreuomo: io non credevo… Germano Mosconi: Stai allegro giovanotto, hai ancora tanti campionati davanti. Io no. Io il tempo l’ho ormai giocato tutto compresi i supplementari. Il mio campionato è finito. Sono stato un giornalista di successo per la gazzetta, ne ho vinte di partite. Ma il campionato del dopo partita, quello fuori dal campo, quello dei fuori onda no. Verrò ricordato per quello che non sono. Però voglio dire un’ultima cosa per la tua intervista. Oltreumo: (smarrito e in tensione) prego, dica pure. Germano Mosconi: sai chi era che sbatteva la porta? Oltreuomo: Chi? Nessuno? 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Accalcate sotto il pulpito, intabarrate come dei cosacchi dopo una battuta di caccia, si spingevano l'un l'altra per guadagnarsi il posto più vicino al palchetto in legno cinto da coccarde dorate.
La signora Berma oggi era più bella del solito. Si era addobbata con una pelliccia di ratto muschiato con tonalità tendenti al grigio, sembrava avesse fatto il bagno in un forno crematorio. Anche il suo viso ricordava vagamente il colorito di una casa cantoniera: la quantità di cerone steso sulle sue guance non era dissimile da quello di un eunuco alla corte di quella rompicoglioni della Turandot.

Oltre il pellicciotto potato male, indossava un cappello color tortora a forma di nido. Non era affatto di cattivo gusto – in confronto al mantello peloso faceva la sua bella figura, un po’ come quando vedi due donne grasse e scimmiesche, ma una ha i baffi e l'altra no. Questo cappello le rendeva un'aria regale e le assicurava anche l'appartenenza a una precisa classe sociale, sottolineata per altro da un anello purpureo. La pietra preziosa era talmente preziosa che non si poteva guardare senza perdere almeno una diottria, infatti ogni qual volta uno dei suoi amichetti si arrischiava a farle un baciamano il suo aspetto mutava pressappoco in quello di uno dei pastorelli di Lourdes dopo aver visto la madonna. Insomma, la Berma era una di quelle virago che non si faceva mancare alcunché. Oltretutto godeva di una stima sociale determinata dalla sua fama di meretrice.

Quel pomeriggio la Berma era carica di orgoglio e aspettative, quel giorno la Berma avrebbe incontrato Carlos Pequeño. La folla era agitata come una mandria di bovini, lottavano ferocemente tra di loro senza ritegno alcuno. Un bastone di mogano volò sopra le teste fiorite delle madame, roteò vorticosamente in aria per qualche secondo fino a sfondare l’acconciatura da prima comunione di una delle presenti. A quell’ignoto affronto seguì un urlo strozzato: “monarchica”! Degli spaghetti al pomodoro finirono in faccia a qualcuno che rispose con l’apertura di un estintore. La security ormai era stata annientata, le rampanti signore erano più cariche di un proletario. Dei fumogeni dal fondo incendiarono i capelli di una che, presa dal panico, iniziò a emanare flatulenze importanti. Intorno a lei si creò il vuoto, poi la cacciarono via a bastonate. Un’invasata correva nella sala completamente nuda e toccava i sederi alle altre. Un nano faceva dei salti mortali e si lanciava da una parte all’altra della sala aiutandosi con delle liane. Uno struzzo infastidiva la borsetta a forma di casa di babbo natale di una delle presenti. La Berma sbuffò incollerita e, divaricando le braccia come una pollastra, tentava di difendere il territorio.
Un colpo di fucile interruppe il grugnire delle sottili figurine di lardo di Colonnata. Le petronille attonite si immobilizzarono come per effetto di un’ipnosi. Le trombe suonarono e Carlos Pequeño irruppe nella sala cavalcando una giumenta saura. Il silenzio calò come calano i mutandoni di una suora. Alla visione del loro idolo le vecchie dentiere tremarono, immobili come mai prima, si sarebbero credute morte se non fosse stato per la quantità indescrivibile di ori coi quali addobbavano le loro carcasse. Ammutolite e impavide, per un istante abbandonarono le loro velleità femminee per contemplare il sublime. La Berma, col mento alzato verso l’avvenire, protendeva lo sguardo al di là delle sciatte sue rivali, in estasi. Pensava di aver raggiunto il punto di svolta della sua vita, il momento nel quale una donna può anche decidere di rinunciare all’attività sessuale per dedicarsi a un ideale più nobile. Una prorompente matrona cinta da della seta smeraldo disse “se non fosse per l’ictus fulminante che ha immobilizzato mio marito durante un amplesso con un caprino, seguirei i consigli di Carlos alla lettera”. La Berma arricciando il labbro destro si limitò ad annuire. Tutte sognavano di poter trascorre un’ora della loro misera vita assieme al grande Pequeño, lui che aveva sconfitto la politelia e diminuito la possibilità di contrarre la sciatalgia al di sotto dei vent’anni, lui che trattava le donne come dei sufflè da sgonfiare, lui che piuttosto di avere della servitù asiatica aveva addestrato un allevamento di scoiattoli inglesi per aiutarlo a fare il bagno caldo. Solo un uomo aveva superato, nella classifica del cuore di lor signore, personalità come Topper Harley o Alfred Howthorn Hill, e quest’uomo era Carlos Pequeño. Quel qualunque giovedì grasso, nel quale i bambini avrebbero rincorso i carretti ricolmi di frittelle colanti olio e i nonni avrebbero cercato invano di rimediare un’uscita a quattro con dei travestiti, non sarebbe poi stato un giovedì così qualunque. Quel giorno avrebbe potuto cambiare la vita di una di loro. Sarebbe bastato un battito d’ali di farfalla a scatenare un maremoto in Polinesia in cui sarebbe morto il principe d’Inghilterra la quale salma andata perduta durante il rientro in Europa avrebbe obbligato la zia del reale a rimandare la tumulazione e quindi a licenziare l’impiegato delle pompe funebri che non era altro se non il fratello depresso e alcolista di Pequeño (da qui il nome della ditta: Pequeño mas peño). Quel giovedì semi feriale avrebbe potuto far impennare la curva della soddisfazione femminile più di una mela caramellata annusata sugli Champs Elysée innevati. Indiscutibile era il fascino di un consumatore raffinato di Peyote come Carlos Pequeño.
Se solo riuscissi ad essere io, giuro che non comprerò più nulla in saldo” pensava tra sé e sé le Berma. Lei era convinta di farcela. Aveva riletto la lettera di presentazione almeno tre volte, l’aveva guardata in controluce, l’aveva profumata con l’acqua di colonia, l’aveva stirata e le aveva anche comprato l’ultimo mini pony della barbie. Era tutta rosa come le migliori creazioni di Carlos, e per darsi un’aria di creatività atipica aveva anche ritagliato tutti i bordini del foglio con dei decori a forma di gargoyles. Niente più oramai la separava dal suo obiettivo. L’aria mutò in un istante, l’orchestra sinfonica smise di suonare l’inno ceco “Jozin z bazin” e la Berma ricollocò il vagare del suo pensiero all’interno del suo cervello, che seppur datato era assicurato. “Siete pronteee?” urlò lo scoiattolo di Pequeño che teneva il palco con grande maestria. Le gentili dame ipocondriache avevano ormai dimenticato tutte le noie delle loro vite quotidiane, avevano dimenticato di non aver spento il forno prima di uscire e ormai non pensavano più al giardiniere ghanese che si occupava di raccogliere le foglie secche del giardino. Nelle loro teste un unico pensiero: avere Carlos. Divaricarono all’indietro sederi, bastoni, fenicotteri e borsette, creando una linea contigua tra i loro nasi e la fibbia a forma di “C” stagliata sui pantaloni bianchi del loro eroe. Una di loro aveva tirato fuori del profumo e iniziato a spruzzarlo nella sala provocando del vomito nella vicina. Entrambe furono fatte uscire con le liane scortate dal nano. La Berma manteneva le prime file. Carlos, in piedi sopra di uno sgabello fucsia ricoperto di diamanti, disse “Muchas gracias, muchas gracias” facendo degli inchini verso la platea rapita da cotanta magnificenza. “Yo vivo para ti, mie signore. Da quando ho decidido di decicarme al vostro mundo, yo entendido que la gente mal comprende la natura de las mujeres majore de sesenta. Voi siete delle creature magnifico, lleno de magia e sensualidad. Dovete essere libere de manifestar en plenidad su feminidad. Ahora, hoy estamos aqui por demostrar al mundo que la donna non può perdere nunca mas la sua beleza. Nunca mas”. Gli applausi salivano arroganti nella sala che ormai era gremita al punto che finestre e porte traboccavano di sottane e cagnolini. “Ahora, solo uno di voi madame serà la fortunata a posare con migo por la campania pubblicitaria de la nueva collecion de “bragas de Carlos” (ndr. Mutandoni di Carlos). Vi rendete conto de la importancia d’esta posibilidad unica en la vida. La foto con Carlos en mutandoni de griff de Carlos Pequeño”. Applausi. Una virago presa dall’emozione aveva cominciato a strappare i capelli a una poveraccia che le stava vicino, altre flatulenze incontrollate s’insinuavano nell’aria. Un’altra, che si era arrampicata sul lampadario di cristallo, precipitò a terra ma quasi nessuno si accorse, tranne il nano che ne uscì menomato. Dal fondo un coro s’alzò al grido di “Carlos Pequeño es un sueño” e mille voci si unirono e tutte insieme urlavano “Carlos Pequeño es un sueño”. La Berma stava per avere un orgasmo.
Carlos ricevette dai suoi scoiattoli una pergamena in laminato d’oro con su scritti i nomi delle finaliste, dunque quello della vincitrice. Gettò uno sguardo sotto il palco come a sottolineare la sua magnificenza, la sua impalpabile virilità. Lui che, vestito di bianco, sembrava un angelo a una convention di benzinai; lui che, con quei capelli lunghi e corvini, sembrava un corvo in uno stormo di anatidi; lui che raffinato nei modi, sembrava una teiera di porcellana in un servizio di tazzine vinto alla pesca di beneficenza. Molto più che un bizantino, Pequeño sembrava una folata di vento su una parrucca fissata male. Tese la lastra davanti a sé “señores, attencion. Basta flatulencias e basta violencia, noi siamo por la paz en vietnam porque los animales deben porseguir son comunismo en libertad. Ahora, aqui yo el nome della madame fortunata. Es la señora Mediatrice Berma”! Al risuonare del nome “Berma” nella sala attaccò un motivetto celebre negli anni novanta cantato da un gruppo di successo, i vengaboys. Cadevano cosce di cotechino dal soffitto e ciuffi di topinambur spuntavano dal pavimento in legno. Una moltitudine di nani seguiti da struzzi iniziarono a girare per la sala su dei pattini a quattro rotelle con dei vassoi ricolmi di pasticcio. D’alcol ve n’era a volontà. Le luci erano di mille colori, e ricreavano l’immagine del cubo di Rubik sulle pareti. Tutte danzavano in cerchio, creando degli eterni ritorni dell’uguale concentrici. Solo un serpente venne schiacciato inavvertitamente da una maldestra danzatrice. Erano tutti talmente rapiti nel loro impeto di gioia e opulenza che nessuno si accorse che il corpo privo di sensi della Berma riposava asciutto tra bucce di cotechino e pezzi di besciamella. Il suo cuore non aveva retto all’immensa soddisfazione che Carlos Pequeño le aveva procurato quel pomeriggio di un giovedì grasso qualunque. Era spirata così, senza tante pretese, senza tanti se o ma. Era spirata con dignità – anche se lo struzzo di Pequeño continuava a strusciarsi sul suo bastone emettendo piccoli gridolini di piacere. Fu così che Mediatrice Berma, miseramente, cedette al suo sogno di posare nuda con addosso solo i mutandoni di pizzo beige di Carlos Pequeño.
XXX - Vittoria Sgarbo
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Immaginate la sorpresa del commissario Ciucci quando la mattina del 13 settembre alle ore dieci e ventisette minuti, Ugo venne a denunciare un furto.
Ugo era un clochard altrimenti noto come “il barbone in pensione” per via della sua longevità. Aveva sessantotto anni compiuti, una lunga chierica di capelli ingrigiti dallo smog e resi ispidi come code di ratto dall’incuria, occhiali da vista tondi alla Michel Focault, sei incisivi su otto e due scarpe differenti. L’ultimo era un piccolo tocco eccentrico che Ugo si concedeva come tratto distintivo.
- Mi hanno rubato il portafoglio commissario.
- Non dica sciocchezze Ugo, lei non ce l’ha un portafoglio…e anche se lo avesse sarebbe vuoto. Non mi faccia perdere tempo con le scartoffie legali per quattro monetine.
- Ma quali quattro monetine commissario. Avevo dentro la carta d’identità, la tessera della biblioteca, il bancomat e la carta di credito. Inoltre dovrebbe farmi telefonare alla mia banca per bloccare le tessere, mi hanno rubato anche il cellulare. Devo bloccare anche quello ora che ci penso. Se quel farabutto, chiunque lui sia, si collega ad internet dall’estero con il roaming pago uno sfacelo.
Il commissario Ciucci cominciò ad annotare su di un block notes l’elenco dei beni rubati, denunciati da Ugo. Il barbone a sua volta, imprecava contro un operatore bancario che stava dall’altra parte del telefono. Al piede destro indossava una Clark classica mentre il sinistro era avvolto da una Convers blu classico. La camicia lisa era perfettamente aderente al grosso busto di Ugo quasi fosse stata ritoccata da un sarto ed eventualmente consumata ad hoc. Portava dei jeans strappati sul ginocchio destro di almeno una taglia più grandi del suo bisogno di stoffa. Una cintura di cuoio nera liscia con una fibbia povera li reggeva producendo, con la sua pressione, delle pieghe sgraziate lungo il girovita.
Finita la telefonata alla banca Ugo e Ciucci ripresero la gestione degli aspetti burocratici che seguivano il furto.
- Quanto aveva in contanti?
- Avevo prelevato il giorno prima, mi erano rimasti nel portafoglio circa cento euro.
- Cento euro!
- Il punto è che quel criminale ha utilizzato la mia carta di credito per ormai tre o quattro commissioni. Ha fatto fuori quasi seicento euro. Non è molto ma è il principio.
Il commissario era perplesso. La sua idea di “molto” era evidentemente diversa da quella del barbone. Giustificò quella faciloneria immaginando che per un individuo che vive di carità il valore dei soldi fosse lontano da quello che attribuito da chi è costretto a guadagnarli con il lavoro di tutti i giorni.
- Le hanno detto in quali esercizi commerciali è stata utilizzata la sua carta? E come ha fatto con la firma il lestofante?
- Ha pagato in un supermercato, un paio di negozi di vestiti e una libreria. Per quanto riguarda la firma non dovrò mica essere io a spiegarle che nel retro di una carta di credito è obbligatorio firmare.
- Appunto, si firma nel retro perché sia possibile fare un confronto tra la firma originale e quella eseguita al momento dell’acquisto.
- Capirai! Io sono un barbone analfabeta, mai letto e mai scritto modestamente, firmo come un bambino dell’asilo, imitare la mia firma è quanto di più semplice possa esserci.
- Capisco. Quanto possiede nel conto?
- Circa trecentomila euro.
Il commissario Ciucci trasalì. Prima divenne pallido come un cencio poi pensando che il barbone lo prendesse per il naso provò un accesso di collera.
- Non dica fesserie Ugo. Non può avere tutti quei soldi. Lei deve aver aggiunto almeno due o anche tre zeri alla cifra.
- Me lo hanno appena riferito quelli della banca. Cosa vuole che ne sappia di numeri e conti. Io tutte le settimane vado alla banca e deposito là quanto ho guadagnato e non speso per mangiare. Si figuri che ogni giorno almeno un biglietto da venti mi avanza.
- Da quanti anni fa questa vita?
- Signor commissario sa, si inizia giovani, non ero nemmeno maggiorenne che i miei genitori sono morti e io rimasto solo mi sono messo a chiedere soldi nel sagrato della chiesa. Ora, dopo quarant’anni, ho imparato dove sedermi e a che orari. Soprattutto ho imparato a evitare le chiese, quella gente molla i soldi solo ai preti e quando escono da messa non hanno più carità. È un’occupazione onesta e si guadagna bene, pensi che...
Ciucci aveva smesso di ascoltare Ugo perché la sua concentrazione era completamente focalizzata al calcolare quanto facesse venti euro per quarant’anni. Una grossa vena gli pulsava in fronte scendendo verticale verso il naso. Pulsava di ragionamento ma la matematica del commissario non era migliore di quella del clochard.
In preda alla più sincera curiosità Ciucci si assentò un attimo e frenetico si recò verso il computer del suo ufficio. Accessori, calcolatrice e lentamente con meticolosi click del mouse compose il calcolo sul tastierino virtuale. Quarant’anni per trecentosessantacinque giorni per venti euro. Duecentonovantaduemila euro! Attonito ma non ancora rassegnato alla possibilità che un barbone possedesse molto più di quanto lui stesso sognava di avere in banca, il commissario si rivolse sornione al collega che batteva troppo forte sulla tastiera del computer all’altro capo della stanza. Gli chiese, fingendo un tono vagamente disinteressato, quanto facesse venti euro al giorni per vent’anni. Veloce arrivò la risposta: duecentonovantaduemila euro.
Senza arrovellarsi alla ricerca di ulteriori conferme Ciucci decise di dare per assodato l’ammontare e impegnarsi piuttosto a soddisfare le sue curiosità più viscerali.
- Senta Ugo, mi spiega come è possibile che un, mi perdoni, vagabondo abbia tutti i soldi che lei sostiene di avere?
- Io sono un povero ignorante e non so come funziona il mondo…so solo che se mi siedo per terra in certi posti la gente mi riempie il cestino di soldi. Quando fa freddo e si avvicina natale guadagno anche di più. A dicembre è come se guadagnassimo in due.
Un vagabondo con la tredicesima pensava il commissario.
- Ma non ha spese? Mangiare, bere, vestirsi, dormire? –
- Certo che le ho. Bella questa. Ogni domenica mi compro un intero pollo arrosto che mi costa tre euro e cinquanta e una bottiglia di vino rosso da due euro. Il resto della settimana vado alla mensa dei poveri e in estate sfrutto le sagre parrocchiali. Quelli non ti negano mai un pasto caldo pur che tu vada a mangiare altrove. Per bere il centro è pieno di fontane dove all’occorrenza posso anche rinfrescarmi il viso o addirittura darmi una lavata. I vestiti, come ben saprà, quelli della mia razza li prendono alla Caritas e se li fanno bastare per anni. Tanto più di così non cresco. E dormire diceva? Beh per dormire in estate non ci sono problemi, un angolo si trova sempre. In inverno o si sfrutta qualche stazione oppure ci sono dei dormitori dove ci accolgono volentieri. Ma io non li amo molto, sono troppo di moda.
- Ma mi faccia sapere, tutti i barboni sono pieni di soldi come lei?
- Più o meno. Deve considerare che io sono vecchio. Ora guadagno bene ma quando ho iniziato non era così. Ne ho dovuta fare di gavetta. Poi adesso con la crisi è dura. Soprattutto per i giovani. Iniziano a chiedere l’elemosina ma subito vengono presi per drogati. Conosco tanti bravi ragazzi che purtroppo non arrivano a fine mese perché le vecchine non si fidano dei loro sorrisi ancora con troppi denti. Più si invecchia più è facile far soldi. Che poi è sbagliato. Cosa me ne faccio io dei soldi? Sono i giovani che ne avrebbero bisogno, a me ormai non resta che comprare la bara.
Ciucci aveva appena imparato che anche nel mondo dei senza tetto esistevano gli scatti d’anzianità e per i giovani era difficile inserirsi nel mercato del lavoro. O del non lavoro.
Mentre il commissario versava le monetine nella macchinetta del caffè e Ugo si scusava di non avere spiccioli, entrarono nell’atrio due agenti. Entrambi stringevano con presa salda la maglietta spiegazzata di un giovane dalla barba incolta e la pelle grassa. Il ragazzo se ne stava con il capo chino pieno di vergogna e mortificazione. Teneva le mani conserte in grembo chiuse nell’abbraccio delle manette.
- Commissario abbiamo sorpreso questo ragazzo utilizzare la carta di credito del signor Ugo Ricciardi per acquistare del materiale di cancelleria. Precisamente aveva con se: tre quaderni a quadretti, una scatola contenente cinque penne bic di colore nero, un set di tre matite, una gomma da cancellare, un temperamatite, due block notes formato A4, una risma da 50 buste di plastica trasparente formato A4 e le fotocopie del libro “Theoretical assessment in clinical psychology” per un ammontare di centocinquanta pagine.
Il commissario guardò il ragazzo con sguardo severo. Poi si rivolse al vagabondo che stava bevendo il caffè generosamente offertogli.
- Che facciamo con lui signor Ugo?
Ugo si sfilò gli occhiali e li strofinò sulla camicia per pulirli. Li inforcò nuovamente e guardò il giovane con compassione.
- Come ti chiami ragazzo?
- Mi chiamo Marco. – Rispose il giovane ladro trattenendo a stento le lacrime.
- E quanti anni hai Marco?
- Ventisette. – Sensibilmente provato dalla forte emozione, Marco, tirava su la goccia che gli colava dal naso.
- E cosa fai nella vita?
- Ho un dottorato di ricerca all’università.
Tutti nella stanza si guardarono provando una sincera pietà per il giovane ragazzo che mortificato guardava le scarpe del barbone.
Ugo, si rivolse al commissario Ciucci. – Intendo ritirare la denuncia, poveretto.
Il commissario Ciucci, seppur uomo di legge, non ebbe cuore di infierire contro il povero dottorando. Accettò senza commentare la volontà del clochard e straccio l’abbozzo di verbale che aveva stilato fino a quel momento.
- Figliolo, io capisco la fame e la miseria, ma rubare è sbagliato. Sei giovane e forte. Cercati una vera fonte di reddito. Qualcosa che ti permetta di mangiare del pollo la domenica. Non serve che mi restituisci i soldi, solo promettimi che cercherai di fare qualcosa della tua vita.
Il senza tetto Ugo Ricciardi sorrise e diede una paterna pacca sulla spalla al giovane Marco.
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Facebook è ormai diventato necessario come avere il buco del culo. Non ci resta altro che cercare di vivere il nostro tempo limitando i danni alle nostre sinapsi con qualche accorgimento in grado di migliorare il tenore delle nostre inutili vite. La prima regola per fare ciò è curare attentamente la lista delle amicizie sul social network, eliminando tutte quelle superflue. Qui di seguito l'elenco delle persone da cancellare:
  1. LE CICCIONE

  2. I PARENTI

  3. IL/LA FIDANZATO/A

  4. I PR

  5. I MUSICISTI

  6. QUELLI SENZA CAPELLI

  7. QUELLI CHE USANO L'APPLICAZIONE "SI TROVA QUI'"

  8. QUELLI CHE HANNO LA FOTO PROFILO CHE LI RITRAE MENTRE SUONANO UNO STRUMENTO

  9. QUELLI CHE TI SCRIVONO IN CHAT (TRANNE LE FIGHE)

  10. QUELLI CON I CAPELLI ROSSI

  11. LE RAGAZZE DALLA TERZA MISURA IN GIU'

  12. LE CICCIONE

  13. QUELLE CHE RISPONDONO A UNO A UNO AGLI AUGURI IN BACHECA

  14. QUELLI CHE FANNO GLI AUGURI

  15. QUELLI CON IL PIZZETTO

  16. CLIFF SECORD

  17. I FAN DI VASCO

  18. I FAN DI LIGABUE

  19. GLI ANTICATTOLICI

  20. LE RAGAZZE CHE VANNO A CAVALLO

  21. LE CICCIONE

  22. QUELLI CHE USANO FACEBOOK MOBILE

  23. QUELLE CON LE FOTO PROFILO CHE SEMBRANO FIGHE MA SONO DEI COFANI

  24. I COFANI

  25. LE PERSONE BASSE

  26. I TESTIMONI DI GEOVA

  27. STUDENTI ERASMUS

  28. LE RAGAZZE CHE AMANO I CANI

  29. LE RAGAZZE CHE CREANO UN PROFILO DEL LORO CANE

  30. LE RAGAZZE CHE CREANO UN PROFILO DEL LORO CANE E POSTANO STATUS TIPO  "BAU!"

  31. I FRANCESI

  32. QUELLI CON LA CODA

  33. QUELLI CHE USANO L'APPLICAZIONE OROSCOPO DEL GIORNO

  34. GLI STUDENTI DI INGEGNERIA

  35. GLI STUDENTI DI LETTERE

  36. I METALLARI

  37. QUELLI CHE TI TAGGANO IN UN POST

  38. QUELLI CHE TI TAGGANO SUGLI AUGURI DI NATALE

  39. QUELLI CHE TI TAGGANO NELLE FOTO DOVE SOMIGLI A BRUNETTA

  40. BRUNETTA

  41. QUELLI CHE VANNO IN VACANZA A ROMA E PUBBLICANO 60 FOTO DI PIAZZA NAVONA

  42. LE CICCIONE

  43. I VEGANI

  44. QUELLI CHE PUBBLICANO POST SUL CALCIO

  45. QUELLI CHE COMMENTANO I POST SUL CALCIO

  46. QUELLI CHE TI CORREGGONO GLI ERRORI GRAMMATICALI

  47. QUELLI CHE SCRIVONO STATUS SU BERLUSCONI

  48. I NOSTALGICI DELLA MUSICA PROGRESSIVE

  49. LE PARRUCCHIERE

  50. I FAN DI DE ANDRE'

  51. QUELLI CHE POSTANO VIDEO DEI PEARL JAM

  52. QUELLI ISCRITTI A SCIENZE E TECNOLOGIE MULTIMEDIALI

  53. QUELLI CHE PUBBLICANO STATUS IN TEDESCO

  54. QUELLI CHE PUBBLICANO VIDEO DIVERTENTI SCRIVENDO AHAHAHAHAHAH

  55. QUELLI CON LA FOTO PROFILO CON UN PUFFO

  56. I GESUITI

  57. GLI ASTEMI

  58. I SOSTENITORI DEL PENSIERO DEBOLE

  59. QUELLI CON IL CAZZO PICCOLO

  60. QUELLI CHE SCRIVONO ELENCHI

Le ultime due sono a mio sfavore.
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Abbiamo scritto ad Andrea Diprè utilizzando la mail contenuta nel suo sito http://www.andreadipre.it/.

Ha risposto alle nostre domande. Se sia stato lui o qualcuno che si è preso la bega di montare un sito, raccogliere tutto il suo materiale, creare un canale youtube e infine rispondere all'Oltreuomo non ci è dato saperlo. Ne apprezziamo comunque lo sforzo. Come apprezziamo la puntualità di babbo natale. Quello che importa è che dopo questa intervista, fasulla o meno che sia, trovate il vero video dell'intervista che Andrea Diprè ha fatto a Sasha Grey. - MIRACOLOSO -

Andrea Diprè

 

Ecco le nostre domande ad Andrea Diprè.

1- La rivista Wired ha intervistato il grande storico dell'arte Philippe Daverio, ma noi dell'Oltreuomo vogliamo puntare in alto. Lei, Andrea Diprè, critico d'arte, è riuscito a dar voce a quel "non so che" di cui già parlava Kant segnando un'era di cesura nella storia dell'arte e dell'estetica contemporanea. Lei è il simbolo della cultura pop dei nostri giorni, un opinion leader della contemporaneità. Nell'intervista a Daverio hanno chiesto cosa ne pensasse del fenomeno degli hipster, noi vogliamo invece sapere cosa ne pensa lei del fenomeno Sara Tommasi? 1-  Chi cazzo è il tipo che avete citato? Chi cazzo lo conosce? Quanto alla Tommasi, dunque, mi faccia pensare. E’ una domanda difficile. Credo che la migliore risposta sia quella di chiederle se lei se la scoperebbe.

2- Una sua citazione famosa è: "gli artisti generano la sostanza estetica con cui è fatta l’arte, ossia ciò che ci concilia in modo non nichilistico con il fatto evidente che siamo noi stessi a produrre, a creare ciò che chiamiamo essenziale". Ecco, con questa frase lei prende una posizione forte. Se ho capito bene, ciò che gli artisti producono (cioè la sostanza estetica) ci concilia col fatto che siamo noi a produrre (qualcosa di essenziale). Quindi tutti sono artisti quando producono qualcosa o semplicemente l'essenziale deriva dall'amicizia o dalla stima che abbiamo per gli artisti? Inoltre, con questa frase lei vuole avvicinarsi più alla concezione nietzschiana o heideggeriana dell'arte? 2- Guardi, assistiamo alla costruzione di una cultura di individui piagnucolosi, vigliacchi, smidollati e ipocriti che hanno sempre una scusa per tutto e non si prendono la responsabilità di niente. Con quella frase sostanzio la MIA concezione di arte. Nietzsche o Heidegger sono solo obblighi di studio e non provocazioni dell’intelligenza.

3- Mi scuso in anticipo per la questione che vorrei trattare, ma ritengo che sia importante far capire al pubblico cosa c'è di marcio nell'arte contemporanea. Lei ha preso le distanze da un certo modo di fare critica d'arte, ma anche da una sorta di servilismo politico. Edgar Wind nel suo "Arte e Anarchia" ci parla di come il destino dell'arte e della politica siano indissolubilmente legati, ma anche di come l'arte contemporanea acquistando una certa autonomia si sia così relegata ai margini della società perdendo ciò che la rendeva "temibile" agli occhi del potere. Secondo lei, Andrea Diprè, c'è un legame fra queste riflessioni e Achille Bonito Oliva? 3- BEEP! Domanda sbagliata! Non lo conosco. Quindi non si può negare nulla al nulla.

4- Continuando a parlare di engagement, so che lei ha lanciato un progetto politico da lei stesso definito "super partes". Un progetto concreto il cui unico punto in programma è di "trasformare l'utopia in realtà". Cosa vuol significare esattamente con questa affermazione? E ancora, lei pensa che uno qualsiasi dei candidati alla presidenza del consiglio preveda di dare uno spazio e una voce all'arte contemporanea? 4- Ma figuriamoci! Non me ne frega un cazzo della politica “democratica” dei burosauri. Che gran rottura di coglioni!

5- É venuto da poco a mancare una personalità importante del mondo dell'arte, un suo caro collega per cui lei nutriva grande stima ma anche un amico. Stiamo parlando di Osvaldo Paniccia. Cosa ha imparato lei, Andrea Diprè, dall'arte del grande maestro Paniccia? Come lo ricorderà il grande pubblico? 5- Osvaldo Paniccia è un monarca assoluto dell'arte che va accostato, in grandezza e genialità, a Michelangelo, Raffaello e Leonardo.

6- Picasso dice "Il peggior nemico della creatività è il buon gusto". A suo avviso, vi sono limiti al fare artistico? 6- A me interessa solo l’arte che fa eccitare. Quindi non ci sono limiti.

7- La ringrazio della sua disponibilità e le chiederei gentilmente di concludere l'intervista con un simpatico saluto ai lettori dell'Oltreuomo. 7- Voi, lettori dell’Oltreuomo, siete il vento sotto le mie ali e io le batto per voi. Dio vi benedica. Grazie.

  Andrea Diprè intervista Sasha Grey " ["post_title"]=> string(27) "Intervista ad Andrea Diprè" ["post_excerpt"]=> string(0) "" ["post_status"]=> string(7) "publish" ["comment_status"]=> string(6) "closed" ["ping_status"]=> string(6) "closed" ["post_password"]=> string(0) "" ["post_name"]=> string(26) "intervista-ad-andrea-dipre" ["to_ping"]=> string(0) "" ["pinged"]=> string(0) "" ["post_modified"]=> string(19) "2019-11-26 09:57:39" ["post_modified_gmt"]=> string(19) "2019-11-26 09:57:39" ["post_content_filtered"]=> string(0) "" ["post_parent"]=> int(0) ["guid"]=> string(29) "https://oltreuomo.com/?p=2210" ["menu_order"]=> int(0) ["post_type"]=> string(4) "post" ["post_mime_type"]=> string(0) "" ["comment_count"]=> string(1) "0" ["filter"]=> string(3) "raw" } ["comment_count"]=> int(0) ["current_comment"]=> int(-1) ["found_posts"]=> int(209) ["max_num_pages"]=> int(21) ["max_num_comment_pages"]=> int(0) ["is_single"]=> bool(false) ["is_preview"]=> bool(false) ["is_page"]=> bool(false) ["is_archive"]=> bool(false) ["is_date"]=> bool(false) ["is_year"]=> bool(false) ["is_month"]=> bool(false) ["is_day"]=> bool(false) ["is_time"]=> bool(false) ["is_author"]=> bool(false) ["is_category"]=> bool(false) ["is_tag"]=> bool(false) ["is_tax"]=> bool(false) ["is_search"]=> bool(true) ["is_feed"]=> bool(false) ["is_comment_feed"]=> bool(false) ["is_trackback"]=> bool(false) ["is_home"]=> bool(false) ["is_privacy_policy"]=> bool(false) ["is_404"]=> bool(false) ["is_embed"]=> bool(false) ["is_paged"]=> bool(true) ["is_admin"]=> bool(false) ["is_attachment"]=> bool(false) ["is_singular"]=> bool(false) ["is_robots"]=> bool(false) ["is_favicon"]=> bool(false) ["is_posts_page"]=> bool(false) ["is_post_type_archive"]=> bool(false) ["query_vars_hash":"WP_Query":private]=> string(32) "0a1bb5d16204843cbf80dac81d8d0086" ["query_vars_changed":"WP_Query":private]=> bool(false) ["thumbnails_cached"]=> bool(false) ["allow_query_attachment_by_filename":protected]=> bool(false) ["stopwords":"WP_Query":private]=> array(45) { [0]=> string(2) "su" [1]=> string(2) "un" [2]=> string(3) "uno" [3]=> string(3) "una" [4]=> string(4) "sono" [5]=> string(5) "siete" [6]=> string(4) "come" [7]=> string(4) "alle" [8]=> string(4) "allo" [9]=> string(4) "alla" [10]=> string(6) "essere" [11]=> string(2) "di" [12]=> string(2) "da" [13]=> string(3) "per" [14]=> string(2) "in" [15]=> string(3) "con" [16]=> string(3) "per" [17]=> string(3) "tra" [18]=> string(3) "fra" [19]=> string(4) "come" [20]=> string(2) "è" [21]=> string(4) "egli" [22]=> string(4) "ella" [23]=> string(4) "essi" [24]=> string(4) "loro" [25]=> string(2) "il" [26]=> string(2) "al" [27]=> string(2) "le" [28]=> string(2) "lo" [29]=> string(6) "oppure" [30]=> string(6) "questo" [31]=> string(6) "quello" [32]=> string(6) "queste" [33]=> string(6) "questi" [34]=> string(6) "quelli" [35]=> string(6) "quelle" [36]=> string(1) "a" [37]=> string(3) "era" [38]=> string(3) "eri" [39]=> string(5) "erano" [40]=> string(4) "cosa" [41]=> string(6) "quando" [42]=> string(4) "dove" [43]=> string(3) "chi" [44]=> string(3) "www" } ["compat_fields":"WP_Query":private]=> array(2) { [0]=> string(15) "query_vars_hash" [1]=> string(18) "query_vars_changed" } ["compat_methods":"WP_Query":private]=> array(2) { [0]=> string(16) "init_query_flags" [1]=> string(15) "parse_tax_query" } }