Le Oltre favole

Stralci di capitalismo post fordista

Immaginate la sorpresa del commissario Ciucci quando la mattina del 13 settembre alle ore dieci e ventisette minuti, Ugo venne a denunciare un furto.
Ugo era un clochard altrimenti noto come “il barbone in pensione” per via della sua longevità. Aveva sessantotto anni compiuti, una lunga chierica di capelli ingrigiti dallo smog e resi ispidi come code di ratto dall’incuria, occhiali da vista tondi alla Michel Focault, sei incisivi su otto e due scarpe differenti. L’ultimo era un piccolo tocco eccentrico che Ugo si concedeva come tratto distintivo.
– Mi hanno rubato il portafoglio commissario.
– Non dica sciocchezze Ugo, lei non ce l’ha un portafoglio…e anche se lo avesse sarebbe vuoto. Non mi faccia perdere tempo con le scartoffie legali per quattro monetine.

– Ma quali quattro monetine commissario. Avevo dentro la carta d’identità, la tessera della biblioteca, il bancomat e la carta di credito. Inoltre dovrebbe farmi telefonare alla mia banca per bloccare le tessere, mi hanno rubato anche il cellulare. Devo bloccare anche quello ora che ci penso. Se quel farabutto, chiunque lui sia, si collega ad internet dall’estero con il roaming pago uno sfacelo.
Il commissario Ciucci cominciò ad annotare su di un block notes l’elenco dei beni rubati, denunciati da Ugo. Il barbone a sua volta, imprecava contro un operatore bancario che stava dall’altra parte del telefono. Al piede destro indossava una Clark classica mentre il sinistro era avvolto da una Convers blu classico. La camicia lisa era perfettamente aderente al grosso busto di Ugo quasi fosse stata ritoccata da un sarto ed eventualmente consumata ad hoc. Portava dei jeans strappati sul ginocchio destro di almeno una taglia più grandi del suo bisogno di stoffa. Una cintura di cuoio nera liscia con una fibbia povera li reggeva producendo, con la sua pressione, delle pieghe sgraziate lungo il girovita.
Finita la telefonata alla banca Ugo e Ciucci ripresero la gestione degli aspetti burocratici che seguivano il furto.
– Quanto aveva in contanti?
– Avevo prelevato il giorno prima, mi erano rimasti nel portafoglio circa cento euro.
– Cento euro!
– Il punto è che quel criminale ha utilizzato la mia carta di credito per ormai tre o quattro commissioni. Ha fatto fuori quasi seicento euro. Non è molto ma è il principio.
Il commissario era perplesso. La sua idea di “molto” era evidentemente diversa da quella del barbone. Giustificò quella faciloneria immaginando che per un individuo che vive di carità il valore dei soldi fosse lontano da quello che attribuito da chi è costretto a guadagnarli con il lavoro di tutti i giorni.
– Le hanno detto in quali esercizi commerciali è stata utilizzata la sua carta? E come ha fatto con la firma il lestofante?
– Ha pagato in un supermercato, un paio di negozi di vestiti e una libreria. Per quanto riguarda la firma non dovrò mica essere io a spiegarle che nel retro di una carta di credito è obbligatorio firmare.
– Appunto, si firma nel retro perché sia possibile fare un confronto tra la firma originale e quella eseguita al momento dell’acquisto.
– Capirai! Io sono un barbone analfabeta, mai letto e mai scritto modestamente, firmo come un bambino dell’asilo, imitare la mia firma è quanto di più semplice possa esserci.
– Capisco. Quanto possiede nel conto?
– Circa trecentomila euro.
Il commissario Ciucci trasalì. Prima divenne pallido come un cencio poi pensando che il barbone lo prendesse per il naso provò un accesso di collera.
– Non dica fesserie Ugo. Non può avere tutti quei soldi. Lei deve aver aggiunto almeno due o anche tre zeri alla cifra.
– Me lo hanno appena riferito quelli della banca. Cosa vuole che ne sappia di numeri e conti. Io tutte le settimane vado alla banca e deposito là quanto ho guadagnato e non speso per mangiare. Si figuri che ogni giorno almeno un biglietto da venti mi avanza.
– Da quanti anni fa questa vita?
– Signor commissario sa, si inizia giovani, non ero nemmeno maggiorenne che i miei genitori sono morti e io rimasto solo mi sono messo a chiedere soldi nel sagrato della chiesa. Ora, dopo quarant’anni, ho imparato dove sedermi e a che orari. Soprattutto ho imparato a evitare le chiese, quella gente molla i soldi solo ai preti e quando escono da messa non hanno più carità. È un’occupazione onesta e si guadagna bene, pensi che…
Ciucci aveva smesso di ascoltare Ugo perché la sua concentrazione era completamente focalizzata al calcolare quanto facesse venti euro per quarant’anni. Una grossa vena gli pulsava in fronte scendendo verticale verso il naso. Pulsava di ragionamento ma la matematica del commissario non era migliore di quella del clochard.
In preda alla più sincera curiosità Ciucci si assentò un attimo e frenetico si recò verso il computer del suo ufficio. Accessori, calcolatrice e lentamente con meticolosi click del mouse compose il calcolo sul tastierino virtuale. Quarant’anni per trecentosessantacinque giorni per venti euro. Duecentonovantaduemila euro! Attonito ma non ancora rassegnato alla possibilità che un barbone possedesse molto più di quanto lui stesso sognava di avere in banca, il commissario si rivolse sornione al collega che batteva troppo forte sulla tastiera del computer all’altro capo della stanza. Gli chiese, fingendo un tono vagamente disinteressato, quanto facesse venti euro al giorni per vent’anni. Veloce arrivò la risposta: duecentonovantaduemila euro.
Senza arrovellarsi alla ricerca di ulteriori conferme Ciucci decise di dare per assodato l’ammontare e impegnarsi piuttosto a soddisfare le sue curiosità più viscerali.
– Senta Ugo, mi spiega come è possibile che un, mi perdoni, vagabondo abbia tutti i soldi che lei sostiene di avere?
– Io sono un povero ignorante e non so come funziona il mondo…so solo che se mi siedo per terra in certi posti la gente mi riempie il cestino di soldi. Quando fa freddo e si avvicina natale guadagno anche di più. A dicembre è come se guadagnassimo in due.
Un vagabondo con la tredicesima pensava il commissario.
– Ma non ha spese? Mangiare, bere, vestirsi, dormire? –
– Certo che le ho. Bella questa. Ogni domenica mi compro un intero pollo arrosto che mi costa tre euro e cinquanta e una bottiglia di vino rosso da due euro. Il resto della settimana vado alla mensa dei poveri e in estate sfrutto le sagre parrocchiali. Quelli non ti negano mai un pasto caldo pur che tu vada a mangiare altrove. Per bere il centro è pieno di fontane dove all’occorrenza posso anche rinfrescarmi il viso o addirittura darmi una lavata. I vestiti, come ben saprà, quelli della mia razza li prendono alla Caritas e se li fanno bastare per anni. Tanto più di così non cresco. E dormire diceva? Beh per dormire in estate non ci sono problemi, un angolo si trova sempre. In inverno o si sfrutta qualche stazione oppure ci sono dei dormitori dove ci accolgono volentieri. Ma io non li amo molto, sono troppo di moda.
– Ma mi faccia sapere, tutti i barboni sono pieni di soldi come lei?
– Più o meno. Deve considerare che io sono vecchio. Ora guadagno bene ma quando ho iniziato non era così. Ne ho dovuta fare di gavetta. Poi adesso con la crisi è dura. Soprattutto per i giovani. Iniziano a chiedere l’elemosina ma subito vengono presi per drogati. Conosco tanti bravi ragazzi che purtroppo non arrivano a fine mese perché le vecchine non si fidano dei loro sorrisi ancora con troppi denti. Più si invecchia più è facile far soldi. Che poi è sbagliato. Cosa me ne faccio io dei soldi? Sono i giovani che ne avrebbero bisogno, a me ormai non resta che comprare la bara.
Ciucci aveva appena imparato che anche nel mondo dei senza tetto esistevano gli scatti d’anzianità e per i giovani era difficile inserirsi nel mercato del lavoro. O del non lavoro.
Mentre il commissario versava le monetine nella macchinetta del caffè e Ugo si scusava di non avere spiccioli, entrarono nell’atrio due agenti. Entrambi stringevano con presa salda la maglietta spiegazzata di un giovane dalla barba incolta e la pelle grassa. Il ragazzo se ne stava con il capo chino pieno di vergogna e mortificazione. Teneva le mani conserte in grembo chiuse nell’abbraccio delle manette.
– Commissario abbiamo sorpreso questo ragazzo utilizzare la carta di credito del signor Ugo Ricciardi per acquistare del materiale di cancelleria. Precisamente aveva con se: tre quaderni a quadretti, una scatola contenente cinque penne bic di colore nero, un set di tre matite, una gomma da cancellare, un temperamatite, due block notes formato A4, una risma da 50 buste di plastica trasparente formato A4 e le fotocopie del libro “Theoretical assessment in clinical psychology” per un ammontare di centocinquanta pagine.
Il commissario guardò il ragazzo con sguardo severo. Poi si rivolse al vagabondo che stava bevendo il caffè generosamente offertogli.
– Che facciamo con lui signor Ugo?
Ugo si sfilò gli occhiali e li strofinò sulla camicia per pulirli. Li inforcò nuovamente e guardò il giovane con compassione.
– Come ti chiami ragazzo?
– Mi chiamo Marco. – Rispose il giovane ladro trattenendo a stento le lacrime.
– E quanti anni hai Marco?
– Ventisette. – Sensibilmente provato dalla forte emozione, Marco, tirava su la goccia che gli colava dal naso.
– E cosa fai nella vita?
– Ho un dottorato di ricerca all’università.
Tutti nella stanza si guardarono provando una sincera pietà per il giovane ragazzo che mortificato guardava le scarpe del barbone.
Ugo, si rivolse al commissario Ciucci. – Intendo ritirare la denuncia, poveretto.
Il commissario Ciucci, seppur uomo di legge, non ebbe cuore di infierire contro il povero dottorando. Accettò senza commentare la volontà del clochard e straccio l’abbozzo di verbale che aveva stilato fino a quel momento.
– Figliolo, io capisco la fame e la miseria, ma rubare è sbagliato. Sei giovane e forte. Cercati una vera fonte di reddito. Qualcosa che ti permetta di mangiare del pollo la domenica. Non serve che mi restituisci i soldi, solo promettimi che cercherai di fare qualcosa della tua vita.
Il senza tetto Ugo Ricciardi sorrise e diede una paterna pacca sulla spalla al giovane Marco.
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