Sport

Gli 11 giocatori più appassionati d’alcol

“A differenza di molti uomini, non avevo mai bevuto per accrescere audacia, fascino o spirito. Io avevo sempre usato l’alcol proprio per quello che era: un sedativo per controllare l’euforia mentale prodotta dall’eccessiva sobrietà.”

(Frederick Exley, “Appunti di un tifoso”)

Da giovane, come molti altri sconsiderati, ho praticato assieme ad alcuni amici il calcio domenicale. Non parlo di calcetto (con tutte le sue fisime di scarpini firmati, campi sintetici, magliette del campione di turno, allegri post doccia, depilazioni e chi più ne ha più ne metta), bensì di calcio. Calcio vero e proprio. Quello giocato sui campi d’erba parrocchiali, per intenderci. Dove di erba a terra ce n’era ben poca, mentre nei sedili scassati di Pande e Uno Turbo varie se n’è sempre trovata un sacco. Eravamo una “squadra” decisamente anarchica. Tanto che definirci squadra sarebbe, per l’appunto, un eufemismo.

eccoci in una foto di repertorio

eccoci in una foto di repertorio

Gente, per intenderci, più abituata a Tennet’s Super e ad Amari Montenegro che a veroniche, rabone, doppi passi o “sciabolate” mozza campo. Gente senza divisa sociale. Senza arbitri o cartellini. Senza cambi, alberi di natale, segni distintivi, borracce o quant’altro. Per farla breve, eravamo dei cazzoni che giocavano solo per divertirsi! O, al massimo, per far passare il dopo sbronza della sera precedente. Col senno di poi devo dire che sì, che il dopo sbronza del sabato sera passava anche, solo si presentava magicamente quello della domenica pomeriggio. Come un ladro scacciato dalla porta d’ingresso che, furtivo, ti rientra in casa dalla finestra rapinandoti l’argenteria.

Ricordo che, tra di noi, vi era un amico particolarmente negato. Intendiamoci, non che io sia mai stato un genio del calcio, però quest’amico (tutt’ora vivo e combattente) era particolarmente scarso in tutti i fondamentali del gioco più amato del mondo. Controllo stile ferro da stiro. Ciabattata degna del miglior Zebina. Resistenza pari a quella del Ronaldinho di brasiliana memoria. Dribbling auto-ubriacante, fiero precursore del buon trivela-Quaresma. Insomma, il classico compagno di squadra che nessuno di noi vorrebbe mai avere. Tuttavia quest’amico, così poco portato per il giuoco del calcio, custodiva in sé un segreto: con una birra e una sigaretta in mano era in grado di compiere prodezze inimmaginabili. Gesta impensabili sia a livello tecnico che atletico. E mica stiamo parlando del solito bomber da area di rigore con la passione dell’heavy-metal. Quello che si cementava lì e, utilizzando la sua mole fisica, spiazzava avversari a furia di rutti e gomitate; depositando poi il pallone in rete con una violenza degna di Imre Budavari in “Palombella Rossa”.

No, qui parliamo di un attaccante decisamente grunge. Un ragazzo che, birra e sigaretta in mano, si esibiva in rovesciate, sforbiciate, tiri al volo da fuori area, colpi di tacco stile taekwondo e prodezze simili. Inutile dire che le sue abilità duravano il lasso del binomio cicca e birra e che, esaurite queste ultime, l’amico in questione se ne tornava incurante al suo anonimato calcistico. Fantasticando sulla voce di Kurt Cobain in “Something in the Way”, o sulla cassa di birra Hollandia che lo attendeva dietro la panchina di ferro arrugginito del campetto parrocchiale. Così, in onore di quelle assurde domeniche (e degli ancor più assurdi gol che ho visto realizzare al mio vecchio amico), ho deciso di stilare un elenco degli undici calciatori più appassionati d’alcol che abbiano mai solcato gli stadi mondiali. Dire che vederli giocare sia stata un’ebrezza è una battuta tanto facile quanto scontata. Quindi mi esimerò dal farla.

Una Birra Ignorante nel corso della lettura, però, è d’obbligo.

– Lennart “Nacka” Skoglund (1929-1975): ala svedese di rara tecnica e precisione, Skoglund arrivò in Italia nel 1950, tesserato dall’Inter per 12 milioni di lire. Mentre sulla sponda rossonera di Milano impazzava il trio Gre-No-Li, Skoglund, con le sue prodezze, consentì all’Inter di Alfredo Foni e del presidente Carlo Masseroni di vincere due scudetti consecutivi (1952-53 e 1953-54). Arcinota la sua passione per l’alcol, in particolar modo per il whisky. Non a caso teneva sempre una bottiglia di Ballantine’s nell’armadietto dello spogliatoio, così da poter bere durante il giorno. Avuto notizia di certi suoi eccessi, il presidente Masseroni lo convocò in sede assieme al padre, così da rimarcare la necessità di una condotta più adatta a un calciatore professionista. Venuto a conoscenza degli eccessi del figlio, Skoglund senior lo rimproverò e schiaffeggiò davanti al presidente. Quella stessa sera un massaggiatore dell’Inter vide i due Skoglund in Piazza del Duomo. Erano abbracciati e ubriachi come una distilleria. Cuore di papà.

Lennart “Nacka” Skoglund

Skoglund vinse anche un bronzo e un argento mondiale. Fermato, nel 1958, sulla vetta della storia del calcio soltanto dal Brasile di Pelé. Dopo l’esperienza italiana, il ritorno in patria e il lento declino, tra donne e alcolismo. Morì nel 1975, suicida compiuto dopo diversi tentativi andati a vuoto. Nell’accompagnare il feretro, assieme a più di 2000 persone, la madre dichiarò: “il successo lo ha lentamente ucciso”.

Andrea Gratton

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