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I dolori di un Giovane Adulto

Due mesi fa ho tagliato il traguardo dei 25 anni. Lì per lì non mi sembrava un fatto così grave. Finché un’amica ha pensato bene di sottolineare l’evento con un’espressione raggelante: “Eh Luca ormai sei un Giovane Adulto”. In quanto laureata in scienze dell’educazione dovrebbe intendersi di queste etichette dello sviluppo psicofisico. Quindi ho pensato di affidarmi al titolo prima ancora della persona, una volta tanto.

giovane adulto

Ma cosa voleva dire poi quell’espressione che continua a ronzarmi in testa? Un modo sofisticato per collocarmi tra teenager e adulti. Un eufemismo per darmi del “troppo vecchio per i giovani e troppo giovane per i vecchi” e piazzarmi nell’anticamera clinica degli eterni Peter Pan, giusto per precauzione. Così mi vedo costretto a ripercorrere la mia strada, capire che cavolo ho combinato e cosa ho intenzione di fare. Forse è la prima volta che rifletto onestamente su di me. O meglio, che sento di non potermi sottrarre a un’onesta e brutale riflessione su di me. I miei nonni la chiamano “Quarter Life Crisis” (non che siano psicologi, è solo che ne hanno affrontate 4 o 5 a testa).

Avete mai la sensazione di giocare una finale ed essere sotto di un gol già al calcio d’inizio? E quando al 90esimo vi capita in area la palla perfetta, quella che farà di voi degli eroi immortali, riuscite a sbagliare a porta vuota? Ecco, questi 25 anni suonano un po’ come il triplice fischio. Nemmeno stavolta sono riuscito a rimediare qualcosa di più del secondo posto.

Eppure sono all’apice della mia carriera. Superata la turbolenta fase dell’adolescenza, dovrei gettarmi nell’avventura col piglio corsaro di  chi sa cosa può offrire al mondo e che brama di scoprire cosa il mondo può offrirgli. E’ scoccata l’ora di inseguire le mie passioni e vivere senza compromessi, o almeno provarci. Devo agire subito, prima di finire inghiottito nell’esistenza di qualcuno che ho sempre odiato. Prima che dimentichi che la felicità si nasconde fuori dall’azienda di papà, da uno studio notarile o da un posto in banca. Mi trovo qua sulla soglia del mondo dei grandi e al minimo passo scatta un severo giudizio.

Senza rendermene conto, parte il valzer mentale dei dovrei e non dovrei, dell’avrei dovuto e non avrei dovuto. Era meglio scegliere un’altra facoltà, a quest’ora sarei indipendente. Dovevo provarci con quella ragazza conosciuta alla festa. Era meglio seguirle quelle lezioni di chitarra. Temo che tutta la strada che ho fatto finora non mi abbia portato molto lontano. Oddio, ci sono così tante persone migliori di me nelle faccende dei  grandi.  Brave persone della mia età con la testa sulle spalle, coppie che lavorano per pagare il mutuo con un bambino pronto fra 6 mesi. Non appena lo sforneranno, saranno persone pienamente “realizzate”, secondo la legge degli “Adulti Adulti”.  Insomma, esperti naviganti nel mare delle responsabilità che non hanno aspettato 25 anni per rivedere le fondamenta delle loro vite e che rinfacceranno agli altri di aver sbagliato rotta.

Ma penso che pochi di loro abbiano segnato quel gol e vinto la partita. Quasi tutti hanno firmato per il pareggio. Senza nemmeno chiedersi se era lecito pretendere qualcosa di più da loro stessi. Un Giovane Adulto invece non può fare a meno di chiederselo. Teso tra un passato sgualcito con qualche toppa e un futuro nebuloso, affamato di realtà ma senza sapere come “realizzarsi”. Il suo vero scopo, gioia e tormento, è mancarlo continuamente. Fino ai tempi supplementari.

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