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8 cose che ricordo del calcio di provincia

Come il novanta per cento dei maschi italiani da piccolo giocavo a calcio. Dopo due anni di mini-basket – che si conclusero con un bilancio di zero canestri e un auto-canestro – cominciai a giocare con la squadra del mio paese. Avevo più o meno nove anni e dopo un inizio scoppiettante le mie prestazioni calarono fino al giorno del mio ritiro una decina d’anni dopo. Ero un buon giocatore ma terribilmente emotivo, il che significa fare cagare anche se si hanno i piedi di Pirlo, perciò al tempo ero famoso per essere l’attaccante che sbagliava i gol. Poi mi spostarono in fascia e divenni l’ala che non corre.

Bella l’ansia.

Però ogni tanto ripenso a quella decade tutt’altro che spensierata e alla frase che continuavano a ripeterci, ovvero che il calcio fosse una scuola di vita. Se è così non ho mai preso il diploma, ma sono molte le cose romantiche che si possono trovare nei campi di provincia.

Partiamo con l’amarcord.

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# Il Gelo

La prima cosa che mi ritorna alla mente riguardo gli allenamenti era il freddo, il terribile freddo guidato dal generale inverno. Trovarsi al campo di allenamento da novembre a febbraio era sempre un incubo, un’eterna lotta contro i geloni. Le punte dei piedi mi si congelavano ogni volta, perciò ero costretto ad attuare un’inutile espediente consigliatomi dal padre di un mio compagno di squadra che prevedeva l’insaccamento dei piedi con della carta da forno. Persino nel medioevo la medicina era più affidabile. Il giorno della partita invece speravo che il mister mi mettesse in panchina per starmene rannicchiato sotto la copertina di lana della società. I prodromi di una personalità vincente insomma.

# Le Casacche

Dal momento che l’olfatto è il senso più legato alla memoria, la cosa che ricordo di più in assoluto è la puzza devastante delle casacche della società. Venivano lavate una volta ogni sei mesi ed utilizzate da almeno una decina di squadre giovanili, il che significa che ognuna di esse era impregnata del sudore di diversi adolescenti in fase ormonale. Il mix con il tessuto sintetico era qualcosa di difficilmente spiegabile a parole. Se potessi lobotomizzarmi eliminerei per sempre quell’odore dal mio registro sinaptico.

# Il Tè caldo

Il Tè caldo durante la pausa primo tempo è una delle rimembranze più piacevoli. Era davvero rigenerante e buonissimo, forse perché ci versavano dentro diversi barili di zucchero. La cosa bella è che girava voce in spogliatoio che gli accompagnatori ci mescolassero delle imprecisate sostanze dopanti, anche perché a volte si scatenavano dei veri e propri pestaggi per avere il bis.

# I Provini

Spesso alle partite c’era tra il pubblico qualche osservatore di una squadra di serie A alla ricerca di giovani talenti, che si segnava sull’immancabile taccuino i giocatori più interessanti da convocare ad un eventuale provino. Una volta convocarono anche me. Andai al provino, che non era altro che una partita tra i ragazzini più interessanti della regione. Non capivo perché c’ero anche io, ma mi ero illuso che forse avevano visto in me delle potenzialità inespresse. Sta di fatto che dopo il riscaldamento ci affidarono il ruolo da ricoprire e l’osservatore mi ordinò di piazzarmi a centrocampo, il mio ruolo di sempre. Io non avevo mai fatto il centrocampista e quando glielo dissi il talent scout si accorse che c’era stato un errore. Sostanzialmente mi avevano scambiato per un altro. Ci rimasi malissimo ma caricato dalla rabbia scatenata dall’onta subita giocai probabilmente la miglior partita della mia vita. Segnai un eurogol da cineteca, servii due assist al bacio e morsi le caviglie degli avversari per tutti i novanta minuti. Gliela avevo fatta vedere. Non mi presero.

# Gli Allenatori

Gli allenatori delle squadre giovanili di provincia sono tra i tipi umani più romantici che esistano. Al giorno d’oggi siamo abituati alla figura incravattata dell’allenatore-manager, ma nei piccoli paesi sopravvive ancora la categoria alla Carletto Mazzone. I miei allenatori erano tutti così: anzianotti, irascibili, panzuti, sempre in tuta e con un cuore grande. Il problema era la totale incapacità di gestire un gruppo di adolescenti furbi di mente, svelti di corpo e con la vocazione alla presa per il culo. Perché il divertimento vero era farli incazzare per sentirli smoccolare al vento o vederli inseguire affannati un compagno di squadra che gli aveva tirato furtivamente un calcio nel culo.

# La Doccia in Spogliatoio

Lo spogliatoio di una squadra giovanile di provincia potrebbe essere il set perfetto per ambientare i due episodi mancanti della trilogia della morte di Pasolini. È un vero e proprio postribolo costellato da sfide a chi eiacula prima, secchiate di urina, gare di sputi e altre simili nefandezze. Molti non ci credono ma è esattamente quello che accade. Una volta, durante la doccia, un mio compagno decise di fare un simpatico scherzo al terzino destro della squadra e gli tirò una violenta frustata con l’indice della mano sul pene. Al povero difensore il pisello diventò viola per più di un mese. Potete ben capire come sia difficile per una persona con una goccia di sensibilità crescere in certi ambienti.

# Genitori

I genitori di alcuni ragazzini erano la vera tragedia: litigavano tra di loro, con i genitori degli avversari, con gli allenatori che facevano giocare poco i figli, con gli arbitri, con i bambini delle altre squadre; insomma, mancava poco si menassero con le bandierine del calcio d’angolo. Tutto questo accadeva perché probabilmente sfogavano le frustrazioni del lavoro attraverso il desiderio di veder vincere il figlio. Ma ogni domenica perdevano inesorabilmente. Non la partita, la dignità.

# Bestemmie

Le bestemmie erano una parte molto rilevante nelle giovanili di provincia. La società e tutti i suoi rappresentanti ci vietavano di pronunciarle, minacciando provvedimenti disciplinari e pecuniari. Il problema è che erano gli stessi dirigenti, allenatori e accompagnatori a smoccolare al cielo una volta entrati in trance da partita, perciò non erano molto autorevoli come figure istituzionali. Io non ero un ragazzino che bestemmiava: ero timido, educato, insomma un vero sfigato. Una volta durante l’intervallo un accompagnatore mi disse che la mia poca grinta in campo fosse da attribuirsi al fatto che non imprecavo mai, e mi suggerì di tirare giù qualche madonna ogni tanto per darmi la carica. Non so perché ma a quell’età tendevo a sopravvalutare gli adulti. Al rientro in campo decisi di seguire il consiglio e al primo fallo subito tirai giù non solo qualche madonna ma l’intera trinità e qualche cerchio angelico. Mia mamma, che era sugli spalti, mi sgridò immediatamente davanti a tutti, promettendomi di fare i conti a casa. Tutti i miei compagni scoppiarono a ridere indicandomi, così come gli avversari. Persino l’arbitro sghignazzava.

Sono sempre più convinto che adesso sarei una persona più equilibrata se avessi giocato a freccette.

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