Perché Paperopoli è una perfetta scuola di vita
La vita, si sa, e’ come quella benedetta scatola di biscotti danesi: ha un’ estetica accattivante, promette di soddisfare tutte le nostre mire, di saziare il nostro appetito, esaltare le nostre papille gustative, e finisce col lasciarci il nostro bel carico di aghi, fili e delusioni.
Tuttavia il segreto rimane sempre lo stesso, antico come il mondo: correggere al ribasso le nostre aspettative. Strategia apparentemente molto semplice.
C’è un “ma”, ingombrante come il suv del nostro collega narciso e con l’ iphone, sommerso da debiti: questa brillante perla di escapologia dal disincanto funziona solo superato un carico ventennale di pregressi calci nel deretano.
Il concetto è che al bambino di cinque anni con le caccole nel naso non puoi dire che la vita fa più schifo di una stagione di Peppa Pig.
Eppure ci fu un uomo che sapeva. Conosceva il nostro Puer Aeternus, era consapevole della sua preponderanza nella nostra condotta di vita, ne esaltava la forma di conduttore del nostro naturale Es senziente (quello stesso istinto che ci segnala la scelta giusta tra il passare la notte sui libri prima dell’ ultimo esame della nostra vita o l’ uscire con la nostra compagna di corso tettona). Quest’ uomo era Walter Disney, l’ uomo che ha saziato generazioni di fanciulli interiori.
Ed esiste un luogo immaginario (ma neanche tanto) in particolare in cui tutte le verità pedagogicamente rilevanti vengono a galla. La vita vera prende forma a Paperopoli, nelle cui strade si corre e si starnazza senza curarsi del fatto che l’esistenza ci abbia letteralmente lasciati senza mutande.
Inutile dire che, per quanto il bimbo sognatore ambisca ad una posizione sociale come quella di zio Paperone, troverà la sua dimensione nell’esistenza di Paperino. E lo farà senza troppe domande perché il lettore di qualsiasi età si identifica nell’antieroe goffo ma simpatico, nello zio single con tre nipoti a carico, in quello col mutuo da saldare e la macchina euro 1 che fa la muffa nei giorni delle targhe alterne.
“Je suis Paperino” potrebbe essere lo slogan dell’uomo medio, un tempo fanciullo disilluso nei riguardi della vita. Siamo tutti Paperino, campiamo lucidando le monete del nostro zio imprenditore, e se non ce l’abbiamo siamo disoccupati, esodati, disperati. Facciamo piani di vita con la nostra ragazza finchè non passa il cugino figo, pieno di quattrini, e pure un po’ tamarro. Lui non conosce la sfiga, non l’ ha mai neppure pensata.
E poi conosciamo l’amico nerd ma simpatico, pure lui più figo di noi, il nostro Archimede Pitagorico di fiducia. E ci convince a metterci una maschera e cacciare il crimine, a rivendicare il nostro diritto ad essere cool. Riscattiamo di notte i nostri fallimenti alla luce del sole salvo poi accorgerci che siamo solo ubriachi.