Lo spazio dei lettori / Musica

Il brucaliffo

Ciao. Io sono te. O meglio, io sono la coscienza musicale che tu hai represso per venti, trenta o ant’ anni. Sì, io sono quello che sta seduto sul divano dentro il tuo cervello e non ha niente da fare. Beve birra, fuma da una mela e ascolta roba anni settanta, che al massimo tu puoi aver sentito di sfuggita dentro alla pubblicità dei cereali, dato che fai di tutto per non cagarmi.

Essendo comunque una parte di te, ho l’obbligo morale di dirti che sei fondamentalmente un coglione. Sì, hai capito bene. Perché non basta guardarsi tutte le puntate di X-Factor per sentirsi un intenditore di musica, anzi, semmai tutto l’opposto. A questo proposito vorrei consigliarti di liberarti di quel disco che non fai vedere a nessuno perché ti vergogni anche tu di averlo comprato. Parlo di quello delle Lollipop, sono pronto ad aiutarti indicandoti un antico rituale sciamanico che prevede di bruciarlo e disperdere le ceneri all’interno di un vulcano in eruzione. Fu così che ci disfammo dell’album “Sbucciami” di Malgiolio nel 79′. E tutto questo, solo perché fin da quando eri bambino, hai sempre ascoltato la radiolina di minchia che avevi nella tua cameretta e ora che sei un ometto fischietti ancora i pezzi di Ivana Spagna!!!!? Sappi che solo i cani possono percepire tali frequenze. E sappi altresì, che ogni volta che ascolti i Finley, un diplomato al conservatorio muore. Pensaci. Anche uno di quelli che ha scelto uno strumento che conosce solo lui e che arriva da una remota area del Serengeti.

Ma se hai un attimo tra il multiplayer di COD e il sito di Youjizz vorrei tentare di erudirti. O almeno bruciare dalla tua testa quelli del piano di sopra, che cantano le canzoni di Gigi D’Alessio. Da dove cominciare? Mi sembra leggermente esagerato partire dal primo rumore volontario prodotto dall’uomo mediante percussione, sfregamento o fagiolata. Andiamo dunque a casaccio in lungo e in largo nella storia della musica, pescando casualmente personaggi più o meno importanti per capire meglio perché c’è qualcuno oggi disposto ad ascoltare il neomelodico napoletano.

Quest’uomo dallo sguardo acuto e attento, vestito come una sessantenne new age è Jack Casady, un fottuto genio. Bassista di quelli seri. Se ti sembra, dalla foto, che abbia visto la Madonna, sappi che probabilmente è così. Un giorno nel 65′ un tizio di San Francisco che si chiamava Jorma Kaukonen lo chiamò al telefono e gli chiese se aveva voglia di farsi un giretto. Alla parola farsi Jack era già suo. Così cominciò a suonare con un’orchestrina di paese chiamata Jefferson Airplane, che divenne mega-super-famosissima a fine anni 60. Nel 66′ Casady convinse una delle più belle donne mai esistite sulla faccia della terra, Grace Slick, a entrare nel gruppo.

Lei faceva parte dei Great Society, dei quali ti consiglio vivamente di ascoltare tutto l’album Sally, Go ‘Round Roses e da quel momento, con la sua voce e la sua presenza, tutto cambiò. E se qualcuno ti dice che adesso è diventata una megattera del mar dei Sargassi, tu non gli credere, mettiti in posizione fetale e piangi.

Con successi come Somebody to love o White Rabbit diventarono l’icona di un momento storico carico di grande fermento, in costante mutamento sociopolitico. Si pensava che la sperimentazione artistica fosse il mezzo con il quale conoscere se stessi, la propria società e curarla, progredire, migliorare, prendere coscienza. L’assunzione massiccia di droghe non rispondeva tanto a una necessità ludica, quanto ad una precisa e metodica ricerca. Dicono. “Voglio solo disegnarti una Z sulla fronte!” Cit. Paura e delirio a Las Vegas. Vedi Greasy Heart, manifesto hippy sulla cultura del sesso droga e rock’n’roll.

E allora tutti si bruciarono il cervello per vedere i colori dell’arcobaleno tutto l’anno e cantavano tutti assieme giungendo le mani. Un po’ come a un raduno di Comunione e Liberazione, con l’unica differenza che loro scopavano come ricci incazzati.

San Francisco era diventata uno stenoscòpio all’interno del quale si muovevano e si sviluppavano grandi energie e tumulti, forti scontri e proteste che sfociarono a fine anni sessanta – inizi settanta. Molte le canzoni che rimasero legate alla tristemente famosa guerra del Vietnam, i Jeffersons Airplane con l’album Volunteer, si unirono a tanti altri artisti come i Doors, Buffalo Springfield, Clearence Clearwater Revival, Marvin Gaye, i Rolling Stones, Jimi Hendrix, Crosby, Stills, Nash & Young che ricordiamo con una strabordante Four Dead in Ohio, e via dicendo. Il movimento Hippy non era, in fondo, tutto da buttare.

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Conosciuti anche grazie al famosissimo Woodstock, ma, a mio parere, enormi in un concerto precedente: il Monterey pop festival del 67′. Tenuto nell’omonima cittadina nel sud della California del quale si trovano ancora le registrazioni on-line e probabilmente qualche vecchio capellone ancora in cerca di parcheggio. Finiti gli anni d’oro dell’ammmore, tutti sono precipitati nel terrore di Nixon, dell’Aids, della morte. Esattamente in quest’ordine. Hanno dovuto rimettere assieme i cocci di una guerra insensata, irrazionale e completamente fallimentare. Si sono ritrovati una generazione di giovani virgulti falciati da uno stile di vita che non gli avrebbe permesso di vivere a lungo. “Is better to burn out than to fade away” Cit My my hey hey, Neil Young. In parole povere, vivi poco ma ti diverti un casino. Tanti altri, invece, partiti soldati non sono più ritornati a casa. Tanti ancora, i veterani che sfilarono per i loro diritti, contro il loro stesso governo. Vedi Nato il 4 Luglio, forse il film che meglio di altri ha saputo esplorare le zone d’ombra di quel momento estremamente importante della storia americana.

Se smetti di scavarti nel naso, avrei forse qualche altra cosetta da raccontarti… tipo due o trecento anni di musica, raccontati più o meno verosimilmente. L’ultima volta che ti ho avvertito stavi guardando il tempo delle mele… e anche se non lo dici a nessuno, piangevi come un pirla. Io lo so.

Il Brucaliffo

P.s. se vi sembro sgrammaticato è perché vivo nella testa di un coglione e fumo da una mela.

 

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