Vorrei uno smartphone, ma ho paura di dover dare in cambio la mia vita
Non ho molti amici. Non si può dire neppure che abbia uno smartphone.
Dei primi sono comunque soddisfatto e non credo che il loro numero potrà crescere esponenzialmente negli anni. Il secondo invece un po’ mi manca. Sia per whatsapp (con cui potrei dare molti meno soldi ad Aldo, Giovanni e Giacomo) sia po’ per la videocamera. Da quando mi sono reso conto di non avere sempre a portata di mano una piccola macchina fotografica, mi sembra sempre di perdere dei momenti preziosi. Ad esempio, ieri mi sono accorto che sul culo del barattolo della mia schiuma da barba c’è scritto: “Nati per crearti uno stile”.
Io uno stile in effetti non ce l’ho e mi fa piacere che qualcuno se ne preoccupi. Vorrei condividere sulla mia home le attenzioni che ha per me la mia schiuma da barba.
Lo ritenete stupido? Sì, anche io. E’ un esibizionismo stupido, lo stesso che misura l’autostima in ‘like’. Tuttavia Facebook ha spento il mio cervello al punto che neppure un ristorante cinese lo vorrebbe come ripieno a buon mercato per i suoi involtini primavera. Sono fottuto e non credo di essere l’unico.
Comunque mi piacerebbe archiviare il mio Nokia modello ‘tempi in cui ci facevamo gli squilli’ e salire a bordo di una di quelle astronavi piene di giochini divertenti per quando si va in bagno. E lo potrei fare. Natale si avvicina e i miei amici sono pochi, ma non così pochi da non potersi permettere una colletta per un telefono nuovo. Però l’idea mi lascia immobile come certi padri di famiglia di fronte a un travione: vorrei, ma non ne ho il coraggio (rileggete bene: non ho detto che sono io a volere un trans).
La metà delle volte in cui esco per vedere qualcuno, mi annoio. Non sbuffo tutta la sera, ma capita – come a chiunque, immagino – di preferire una replica di Uno Mattina alla conversazione in corso. In questi casi, il mio fastidio si concentra su chi inizia a giochicchiare con lo smartphone. Un po’ per invidia sociale (“Tu ti puoi rifugiare su Whatsapp, io al massimo nell’applicazione Calcolatrice“). Ma soprattutto mi sembra sgradevole, poco gentile da parte del whatsapparo lasciarmi solo mentre la noia mi prende da dietro.
Quindi non compro uno smartphone per non fare agli altri ciò che non voglio venga fatto a me.
Non è vero. Questa è la giustificazione che mi do i giorni in cui lancio mattoni alle finestre delle case di chi mi sta sulle palle. In quelle occasioni mi sento cattivo e, per controbilanciare, mi dico che in fondo sono buono perché non tradirei mai un amico per un iPhone.
La mia paura è un’altra ed è quella di non divertirmi più.
L’altra sera ho assistito ad un concerto patetico. Sul palco c’erano dei 17enni che pretendevano mi mettessi a ballare mentre cantavano “La tua pelleeeeee-eh / sulle le mie spalleeee-eee-eh!”. Io rimanevo in fondo alla sala, incastrato tra i genitori della band e la porta d’uscita. Volevo tornare a casa. Ma ogni volta in cui l’uscio si apriva, mi ricordavo quanto fredda fosse l’atmosfera esterna. Ero in bicicletta e mi sembrava abbastanza stupido incontrare volontariamente l’assideramento.
Perciò sono rimasto nel mio angolo a invidiare quelli che potevano distrarsi con uno smartphone. Cioè quasi tutti.
La serata ha svoltato quando il padre del batterista (che di solito è quello triste, perché suo figlio è l’ultimo stronzo della band) ha iniziato a tirare su con il naso. A me fa schifo sentire quel suono. Soprattutto se è l’anticamera del far ballare il catarro in gola.
A quel punto mi sono risolto ad andare verso il palco. Mi sembrava carino anche nei confronti della band. Quel giorno, come sempre, volevo sentirmi buono.
E proprio lì ho visto una ragazza. Una ragazza molto bella, che aveva almeno tre pregi. Era figa. La conoscevo (ci sono rimasto un po’ sotto con la storia dello stalking. Sono terrorizzato da una denuncia per quello, più che per la storia delle finestre). Era abbastanza ubriaca da divertirsi con i “E’ la prima volta che rimaniamo fuori fino alle due” o come diavolo si chiamava il gruppo.
Insomma, il classico caso in cui non portare a casa il punto significa fare coming out.
Il giorno dopo l’ho speso pensando a come ringraziare la band per la bella occasione senza comprare il loro cd di merda. E solo più tardi, quando ormai ero incartato nei miei ragionamenti, ho realizzato che, avessi avuto uno smartphone, avrei passato la serata con una app su come combattere il gelo in bicicletta. Quindi non con la ragazza figa. E forse anche questo equivale, almeno un po’, a fare coming out.