Rocco Hunt – il poeta urbano che parcheggerà abusivamente i vostri cuori
Siamo franchi, che la musica italiana sia scivolata in un’inesauribile spirale di declino è ormai sotto gli occhi di tutti. Arrivarono le prime avvisaglie quando i libretti di Puccini hanno iniziato a diventare commerciali e da allora musica di qualità nel nostro paese non se n’è più sentita.
Abbiamo subito generazioni di artisti una peggiore dell’altra, al punto che molti di noi per ascoltare qualcosa di decente vanno in stazione a sentire i treni regionali che frenano.
Testi mediocri, temi mediocri, musiche mediocri, interpretazioni mediocri. Insomma, va tutto a puttante.
Solo l’ultimo baluardo a difesa della buona musica, l’artista, l’intellettuale, Jovanotti, resiste sotto i colpi dell’incedere di gente sempre peggiore, ma qui non stiamo parlando di musica colta, che in un modo o nell’altro riesce sempre a tenersi stretta la propria nicchia di palati sofisticati, qui parliamo di musica popolare, quella che ci gira costantemente nelle orecchie, stuprandocele.
Contrariamente a quanto sostiene il divino Giovanni Allevi, avere ritmo non basta a fare buona musica (ma la BMW non ha mai usato un mio pezzo per lo spot di una sua macchina, quindi che ne capisco?), e infatti ho notato un tragico tentativo generalizzato di molte case discografiche di mettere basi d’effetto per coprire i testi vuoti dell’artista di turno, ma questo fallace barbatrucco funziona solo col rap, e anche in quel caso se un testo fa troppo cagare te ne accorgi comunque, rap futurisco, A-B, rap futuristico, A-B A-B A-B A-B…
Eviterò di tornare indietro anche solo di qualche anno, a quando Vasco Rossi non aveva ancora bisogno di qualcuno che gli sbucciasse i piselli per mangiarli. In fondo tra un millennio e l’altro c’è poca differenza. Affondi nel divano e accendi la televisione: la stessa merda ovunque. Poco dopo è arrivatodritto per dritto d’importazione il fenomeno “Talent”, e allora la mediocrità è letteralmente esplosa. Ci siamo dovuti sorbire i vari Marco Carta, Valerio Scanu, Emma Marrone, Moreno e chi più ne ha per favore li ometta. Questa gente fa un sacco di soldi spacciando banalità e rumori accostati a cazzo. Vomitevole. Se avessi voluto una cosa del genere, me ne sarei andato a qualche mostra di arte moderna dove la gente fissa i quadri di artisti cerebrolesi e dice “questo avrei potuto farlo anch’io”. Ed è vero, cazzo. Certe cose avrei potuto scriverle anch’io infilandomi una stilografica tra le chiappe e facendo Twerking su un foglio A4. A parte Emma Marrone. Anche lei è pessima, beninteso, comunque una botta gliela darei, quindi tendo ad essere più indulgente nei suoi confronti. Ma torniamo a noi.
Molta gente con ancora a cuore i propri padiglioni auricolari ha riparato sugli artisti stranieri. Sono pronto a scommettere che nessuno lettore dell’Oltreuomo abbia nella propria Top 5 un artista italiano (e chi sennò? Alex Britti? Max Ghazzè? Jake La Furia?). Viceversa, abbiamo band lapponi dai nomi impronunciabili e che suonano tutti pezzi di generi a cui in un modo o nell’altro qualcuno ci attacca la parola “Indie”. Il che è comprensibile. Come se lo scempio del panorama musicale italiano non fosse abbastanza deprimente, la musica straniera esercita da sempre su di noi un fascino unico. Io, ad esempio, non so come vivrei senza i riff di chitarra elettrica, tratto forte del Rock, e il Rock è un fenomeno puramente esotico, angloamericano. Se un artista italiano mettesse un riff di chitarra elettrica in una sua canzone mi si attorciglierebbe il duodeno tipo palloncino da clown. Per dire che non possiamo farci più niente; ormai adorare la musica straniera è più forte di noi. Se volessero appassionarci alla musica italiana dovrebbero fare il doppio di quello che già non fanno per renderla decente, il che è doppiamente impossibile. Amen.
Comunque, non tutto è perduto. Non siamo condannati definitivamente ad ascoltare solo roba d’oltre frontiera. Grattando il fondo del barile qualcosa è venuto fuori.
Rocco Hunt – anche noto come Hunt Mc – al secolo Rocco Pagliarulo, è un frizzante cassonetto per la raccolta differenziata avvolto in un bomber blu classe 1994. Salerntano doc, inizia fin dal sorgere della pubertà a sfoderare le proprie velleità artistiche cimentandosi nell’unico genere dove puoi non sapere nulla ma proprio nulla di musica e farcela alla grande: il Rap.
È tutto un susseguirsi di Jam, battaglie Freestyle e altre cose che se non vedi Mtv Spit con Marracash e J-Ax non ci capisci molto (e J-Ax ne capisce a pacchi, fidati), con cui Rocco nostro mette in mostra il suo talento e si ritaglia una posizione di rilievo nel panorama rap italiano.
Siamo appena nel 2010 quando incide il suo primo EP, dal titolo forte, sferzante, ‘A music’ è speranz’.
Il suo successo è dovuto ad una formula vincente fatta di bella presenza mista ad una poetica matura e affascinante. Una macchina da disco di platino.
Tra il 2011 e il 2013 ha registrato parecchi singoli, di cui il più famoso è ‘O mar e ‘o sole, che su YouTube ha fatto qualcosa come 6 milioni di visualizzazioni (praticamente un pelo sotto agli elettori del PDL). Vi consiglio vivamente di iniziare dall’EP per assimilare la metrica barocca e il timbro virile (se ascoltate attentamente sentirete che la sua voce diventa straordinariamente simile a quella di una cicciona sulla cinquantina, provare per credere). Lo stile è diretto, spietato. Tocca le corde dell’animo terrone, denuncia i problemi sociali che affliggono la sua regione e ci fa su un sacco di soldi – tipo Saviano – ma con un bel sottofondo beat.
Wikipedia dice che fa “Conscious Rap”. Non so cosa voglia dire ma se lo dice Wikipedia dev’essere roba seria. Vanta collaborazioni con i più noti veterani del genere, come ‘Nto, Clementino, Enigma, Bassi Maestro, O’iank e altri nomi che tanto nella barra ricerca di YouTube non metterete. Fonda un duo con l’amico di sempre ZOA MC, “Raw Concepts”, che porta con se ad ogni live. Nel 2013, con alle spalle un successo ormai consolidato, inizia a lavorare ad un nuovo album con i pezzi grossi della Sony BMG, Poeta urbano, che si annuncia esplosivo. Già prevista per il 2014 la stesura del nuovo inno del PD.
La metrica elaborata ma mai eccessivamente sfarzosa fa da cornice al messaggio di fondo dell’autore: credere in sé stessi e andare avanti nonostante le difficoltà della nostra generazione, nonostante il mondo e trovare nella musica quella forza che ci ridà speranza. Racconta la contemporaneità con sguardo lucido – seppur non disilluso – soffermandosi sulle disuguaglianze perpetrate da un sistema corrotto e ribellandosi ad esso attraverso l’arte, eterno strumento critico. Roba inedita, insomma. Pasolini formato extralarge.
Questo connubio di impegno sociale, bellezza da togliere il fiato e buona musica è il motivo per cui tutti noi dovremmo buttare nel caminetto l’ultimo album dei Sigur Rós e tornare ad amare i talenti nostrani. Oggi o forse domani questo simpatico paffutello con le sue rime audaci potrebbe pestare i piedi al cugino del fratello del cognato del boss di un clan rivale e che immensa occasione ci saremmo persi di apprezzarne le doti artistiche quando ancora non era stato calato con le scarpe di cemento in una pittoresca baia fuori Salerno.
Luca L. Morelli