I più bugiardi bugiardi della storia
Una delle locuzioni più malvagie (e anni ’80) della lingua italiana è indubbiamente “stai sereno”. Malvagia non tanto per l’allitterazione iniziale, quanto più per il valore recondito che porta con sé. Ovvero la negazione stessa del suo significato letterale. “Stai sereno”, infatti, dovrebbe essere un invito alla calma. Una rivendicazione di tranquillità che una persona terza augura/consiglia a un soggetto in apparente stato di difficoltà o confusione. Peccato però che, come ci ha insegnato illo tempore la legge di Murphy, se qualcosa può andare storto allora lo farà. Ecco, quindi, che con il passare del tempo l’invito a stare sereno ha assunto un significato completamente diverso. Non più un’esortazione al raggiungimento del Nirvana, bensì un invito ad accettare serenamente che le cose stanno andando a schifio. E che, con ogni probabilità, colui che ha pronunciato l’invito medesimo ne è fortemente responsabile.
Infatti, guardandoci attorno, potremo scoprire come la vita di ognuno di noi sia inevitabilmente costellata da qualche “stai sereno” di troppo.
In ambito lavorativo:
– Mi richiamerete per quel posto di lavoro?
– Stai sereno… (che con la disoccupazione giovanile al 42% sei in buona compagnia!)
In ambito sentimentale:
– Non è che quel tipo che ti mette tutti quegli i like ci sta provando con te?
– Stai sereno… (che sì!)
In ambito estetico:
– Amore, ma ti sembro ingrassata?
– Stai serena… (e magari dacci un taglio con le patatine fritte a colazione!)
In ambito politico:
– Non è che va a finire che vi voto, mi spillate due euro e poi vi alleate pure ‘sto giro col centro destra?
– Stai sereno… (che tanto con due euro non ti compri più manco le sigarette!)
In ambito sessuale:
– Non è che fai il furbo e mi vieni in bocca senza avvisarmi?
– Stai serena… (che poi ti racconto la barzelletta sulle tre grandi bugie del genere maschile…)
Insomma, così come ogni grande uomo ha alle spalle una grande donna, ogni grande bugia ha alle spalle un rassicurante “stai sereno”. Perché, in ultima analisi, ognuno di noi vuole credere alle bugie che si sente raccontare. Dato che scoprirle comporterebbe una completa revisione del reale, ben più dolorosa di quanto non lo sia la placida e sonnacchiosa realtà che, come un cibo preconfezionato, ci siamo abituati a “gustare” quotidianamente. In fin dei conti l’Italia, prima che del Beccaria e delle sue dotte dissertazioni sui delitti e sulle pene, è il paese del “Principe” e di Machiavelli. Il quale osservava, anticipando il suo futuro sindaco Renzie, come:
«Sono tanto semplici gli uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare.»
Il caro vecchio Niccolò ci tiene quindi a sottolineare come una bugia (e, di conseguenza, un bugiardo) abbia necessariamente bisogno di un pubblico. Ovvero di qualcuno predisposto ad accogliere la menzogna, così da renderla più reale del vero. Dopotutto, chi sono i primi bugiardi se non propriamente noi stessi? Noi, in costante ricerca di un pubblico disposto a credere alle nostre bugie. Noi, pronti a mentire al più prossimo dei nostri amici per molto meno del biblico piatto di lenticchie. Come stupirci, dunque, che qualcun altro ci voglia a sua volta parte della sua bugia? Che voglia consolarci e tranquillizzarci con il più malvagio e agghiacciante degli “stai sereno”?
Ciò è ovviamente impossibile. Ecco perché, cari bugiardissimi amici, voglio introdurvi alcune figure di famosi bugiardi. Persone che hanno costruito e coltivato un pubblico di boccaloni disposti a credere alle loro rassicurazioni, ben più vasto di quello a cui il nostro futuro presidente del consiglio si rivolgeva. Invitando il suo amico Enrico alla serenità. Caro Enrico, hai tanto predicato la flessibilità che, in ultima flessione, te lo sei ritrovato nel sottocoda. Serenamente, però. Con calma zen. D’altronde se Veltroni aveva promesso che, alla fine del suo mandato, sarebbe andato in Africa a portare aiuto e sollievo (e chi lo ha visto?), tu ti sei proposto di andare a insegnare la meditazione zen in qualche monastero.
Va’, Enrico, e insegna ai monaci tibetani a meditare! Ne hanno bisogno, Enrico, contano su di te! Stai sereno!
Ora, dopo questo breve excursus zen, bando alle ciance. Scopriamo otto tra i personaggi più bugiardi della storia:
– Ulisse (circa IX secolo a.c.): Ulisse è, con ogni probabilità, il bugiardo più famoso di tutta la letteratura epica; tanto da guadagnarsi l’appellativo di uomo “dal multiforme ingegno”. Omero, infatti, si rivolge spesso a lui utilizzando tale epiteto che vuole sottolineare la capacità di Ulisse di dissimulare tanto sentimenti quanto situazioni. Così da trarre i maggiori vantaggi personali dalle sue azioni e dalle sue parole. Non a caso una delle etimologie del suo nome greco (Odisseo) è proprio “colui che è odiato”. E come non odiare (soprattutto in caso di beffa) un “cacciapalle” della risma di Ulisse? L’esordio di Ulisse con il magico mondo della bugia avviene da giovanissimo, quando si finse folle per non partire alla volta di Troia. Ricevuta una delegazione di re greci in cerca di sostegno bellico, Ulisse si vestì da contadino e finse di non riconoscere Agamennone, Menelao e Palamede, salvo venir smascherato da quest’ultimo e costretto a fare le valigie in direzione Troia. Da buon “infamone”, però, Ulisse tornò lo scherzetto ad Achille, il quale, vestitosi da donna per sfuggire alla guerra (e alla morte predettagli dalla madre Teti), venne smascherato dal furbo Odisseo. Chi la fa, l’aspetti! Citare, poi, il trucco del cavallo di Troia sarebbe ridondante. Mi limito a segnalare, tra tutte le bugie e inganni che costellano l’esistenza del re di Itaca, come la prima cosa che Ulisse fece appena ritornato all’isola natia fu quella di raccontare a un ignaro pastorello un’assurda e lunghissima storia sulle sue origini cretesi, così da mascherare la sua vera identità. Peccato che quel pastorello fosse in realtà Atena, la dea protettrice di Ulisse medesimo. La quale, ascoltata l’ennesima balla spaziale del suo protetto, lo accarezzò e, sorridendo, gli disse “Sei davvero un meraviglioso bugiardo!”. Ulisse, riconosciuta la dea, rispose al sorriso con una grassa e sonora risata. Poi si fece aiutare per migliorare il suo travestimento da mendicante, così da ingannare i Proci e giustiziarli. Anti-sgamo.
– La papessa Giovanna (circa IX secolo d.c.): nonostante molti screditino questa vicenda riconducendola a una satira antipapale nata in ambiente ortodosso, vi sono molti storici che affermano come il papato romano, tra l’853 e l’855, sia stato retto non da un papa, bensì da una papessa. Quello che fu noto con il nome di papa Giovanni VIII, infatti, sarebbe stata una donna inglese nata a Magonza. Personaggio abile nell’arte della bugia e del travestimento che, per ambizione personale, si fece eleggere papa nell’853 dopo aver celato la sua identità sotto lo pseudonimo di Johannes Anglicus, monaco inglese di provata virtù. La papessa Giovanna, quindi, una volta sedutasi sul trono di Pietro, continuò nell’arte dell’inganno, coniugando tutto ciò con una spiccata propensione al libertinaggio. Inevitabilmente, causa foga sessuale troppo a lungo repressa, la cara Giovanna incappò in una gravidanza non desiderata. A differenza di Maria, però, il padre non era lo Spirto Santo, bensì uno dei suoi numerosi amanti. Visto che la gravidanza rischiava di metterla in serio pericolo, la papessa decise di occultarla il più a lungo possibile, così da non dover rinunciare a tutti i vantaggi che il soglio di Pietro poteva garantirle. Sfortuna volle, però, che durante una processione il cavallo su cui viaggiava la fece sobbalzare, provocandole un travaglio prematuro. Scoperto l’inghippo, la folla di fedeli da festante si fece furiosa, legando la papessa al cavallo medesimo e, una volta verificatane la morte, seppellendola in una via di Roma che, da quel momento, venne vietata alle processioni papali. I papi successivi fecero quanto più in loro potere per eliminare il ricordo della papessa Giovanna e, soprattutto, per evitare che si verificassero nuovi casi similari. Venne così introdotta la pratica del controllo del sesso del papa, da praticarsi per mezzo di una sedia di porfido rosso con un foro in posizione di seduta. Ecco che il noto poeta dialettale Giuseppe Gioacchino Belli ci spiega il funzionamento di suddetta sedia: “D’allora st’antra ssedia sce fu mmessa / pe ttastà ssotto ar zito de le vojje / si er pontefisce sii Papa o Ppapessa”. Non tutti i papi riescono col buco.
(- Virgam et testicuols habet! -, – Deo Gratias! -)
– Louis de Rougemont (1847-1921): nato Henri Louis Grin, colui che si sarebbe fatto conoscere in tutto il mondo come l’esploratore Louis de Rougemont era in realtà un “avventuriero” svizzero senza una reale occupazione continuativa. Facchino per un’attrice, assistente di un banchiere svizzero, macellaio per il governatore dell’Australia Orientale, marito di una donna australiana abbandonata dall’oggi al domani, Grin, giunto all’età di cinquant’anni, si inventò il personaggio dell’esploratore de Rougemont. Con quest’identità fittizia iniziò a scrivere per il periodico britannico “World Wide Magazine” resoconti delle sue supposte esplorazioni nel continente australe. I suoi resoconti narravano di permanenze decennali presso popolazioni indigene che lo avevano adorato come una divinità, incontri con famosi avventurieri, cavalcate di tartarughe giganti. Dopo alcuni mesi di tali clamorose balle, però, la Royal Geographical Society volle vederci chiaro, invitando Grin / de Rougemont a contestualizzare geograficamente le sue spedizioni, nonché a fornire prove in merito. Inutile dire che lo svizzero si arrampicò sugli specchi più che poté, sfruttando un personaggio immaginario che faceva vendere al periodico numerose copie. Nel 1898, però, un tale F. W. Salomon lo riconobbe come Henri Louis Grin, il quale si era presentato a lui come supposto “imprenditore”. Da buon bugiardo, Grin prima negò, poi ammise ogni cosa cercando di trarne vantaggio. Iniziò quindi a proporsi come attrazione vivente, portando in tour uno spettacolo biografico dal titolo “Il più grande bugiardo del mondo” in Australia e Sud Africa. Dopo questa fallimentare esperienza, come moto d’orgoglio, dimostrò all’ippodromo di Londra di saper cavalcare una tartaruga gigante (1906); infine, durante la prima guerra mondiale, inventò un inutile surrogato della carne. Morì a Londra, in miseria, il 9 giugno del 1921. Di lui il “World Wide Magazine” aveva scritto: “La verità è più strana della finzione, ma de Rougemont è più strano di entrambe”. Aforismatico.
– Rasputin (1869-1916): dire che il monaco siberiano Grigorij Efimovič Rasputin fosse un bugiardo patentato non sarebbe propriamente corretto dato che numerose persone della sua cerchia, tra cui la zarina Aleksandra Romanova, lo ritenevano un mistico saggio e potente. Tuttavia, dato che le prove delle sue azioni taumaturgiche sono tutt’altro che dimostrate (mentre le sue bugie lo sono ampiamente), ci atterremo a dare una versione quanto più neutra della sua vita, così da concentrarci maggiormente sui suoi miracoli e sulle sue “passioni”. Rasputin nacque in una povera famiglia siberiana e, fin da giovane, si appassionò di religione e misticismo. Dotato di una salute proverbiale (fu l’unico tra i suoi fratelli e sorelle a raggiungere l’età adulta), si guadagnò fama di mistico e guaritore. Fama che incrementò con numerosi pellegrinaggi e con la frequentazione di noti starec (mistici ortodossi). Giunto a Mosca all’età di trentasei anni, Rasputin intrecciò conoscenze molto prossime alla corte dello zar Nicola II (eventualità quasi impensabile per il figlio di due poveri contadini siberiani), giungendo addirittura a diventare confidente della zarina Romanova, la quale riteneva che i suoi poteri taumaturgici avessero curato l’emofilia del figlio Alekseij. Nulla di più improbabile, visto che i miglioramenti di salute erano dovuti principalmente alla cessazione della terapia farmacologica a base di aspirine, le quali acuivano le emorragie causate dall’emofilia di Alekseij. Tuttavia, tale amicizia consentì a Rasputin di guadagnare potere e fiducia presso la corte dello Zar ma, allo stesso tempo, di aumentare l’odio dei suoi detrattori. Dal canto suo Rasputin utilizzava le sue reti clientelari per guadagnare denaro e per appagare i suoi istinti sessuali che, stando alle cronache, erano tanto vasti quanto le dimensioni del suo membro. Con l’entrata in guerra della Russia nel corso della prima guerra mondiale, Rasputin cercò di far valere tutto il suo potere per influenzare gli Zar a desistere, ma ciò non venne apprezzato dal principe Feliks Jusupov, il quale decise di assassinarlo. Invitato per una cena a casa Jusupov, Rasputin venne avvelenato col cianuro e, dato che la morte non voleva saperne di prenderselo, venne colpito con delle pistolettate al fianco, alla schiena e alla fronte, per poi essere gettato (ancora agonizzante) sul fiume Moika. Il cadavere riapparve il giorno dopo, così da consentire la tumulazione; tumulazione che non durò molto, visto che il suo corpo venne poi dissotterrato dai congiurati e bruciato ai bordi di una strada in segno di spregio. Paradossalmente di Rasputin non rimase nulla se non il suo leggendario pene, il quale venne asportato dal cadavere e messo sotto formalina. Bugiardo su tutto, ma non sulle dimensioni.
– Han van Meegeren (1889-1947): considerato un artista fallito dalla maggior parte dei critici d’arte olandesi, van Meegeren decise di investire tutte le sue abilità nel campo della falsificazione e della truffa. Iniziò quindi a dipingere falsi quadri di artisti olandesi del ‘600, avvalendosi di tecniche vecchie di tre secoli, nonché di materiali (tele e pennelli) e pigmenti coevi. Meticoloso nel documentarsi sugli artisti che andava a falsificare, van Meegeren si dedicò alla pittura di falsi Vermeer, creando nuove opere e mai cercando di riprodurre quelle già esistenti. Era così abile nell’arte della falsificazione che riuscì a ingannare famosi critici e curatori di musei, arricchendosi alle loro spalle e vendicandosi di tutti coloro i quali lo avevano sempre considerato un fallito e un artista da quattro soldi. L’apice, però, lo raggiunse quando riuscì a vendere per delle cifre altissime alcuni presunti quadri di Vermeer ai gerarchi nazisti Himmler e Göring, i quali non sospettarono minimamente di essere stati truffati da uno scaltro falsario olandese. L’aver venduto opere d’arte ai nazisti, però, fece sì che alla fine della guerra van Meegeren venisse accusato di collaborazionismo (la cui pena era l’ergastolo), accusa che il egli mutò in falsificazione d’opere d’arte (un anno di galera) dipingendo davanti alla corte un “Gesù nel tempio”, il quale lasciava poco adito a dubbi sulle sue qualità di falsario. Nonostante avesse ottenuto una discreta fama, van Meegeren non poté sfruttarla a lungo: l’abuso di alcol e droghe aveva seriamente minato il suo corpo, così che dopo pochi mesi dall’uscita di galera si spense. Ancora oggi, nel valutare un dipinto olandese del ‘600, gli studiosi pensano a van Meegeren e incrociano le dita, sperando di non spacciare per capolavoro uno dei suoi numerosi falsi tutt’ora in circolazione. Pataccaro doc.
– Ferdinand Waldo Demara (1921-1982): conosciuto dai media come “il grande impostore”, l’americano Ferdinand Demara assunse nel corso della sua vita tanti pseudonimi quante occupazioni. Fu, infatti, medico di bordo, ingegnere civile, assistente di uno sceriffo, assistente carcerario, dottore di psicologia applicata, medico ospedaliero, avvocato, esperto di puericultura, monaco benedettino, monaco trappista, editore, ricercatore per cure contro il cancro e insegnante. Fuggito da casa all’età di sedici anni, Demara, si unì a un’abazia cistercense del Rhode Island, per poi entrare nell’esercito americano nel 1941. Assunse numerose identità (che, spesso, abbandonava con suicidi fittizi) al solo scopo di guadagnare rispettabilità. Una delle cose più singolari della sua vicenda umana, infatti, era che Demara non cercava assolutamente di guadagnare denaro dalle sue bugie, bensì lo faceva per puro spirito di sfida. I capisaldi della sua “teoria sull’impostura” erano essenzialmente due: “la controprova è a carico dell’accusatore” e “in caso di pericolo, attacca”. A ciò Demara aggiungeva un QI superiore alla media, il quale gli dava la possibilità di apprendere in poco tempo i rudimenti di numerose professioni, anche estremamente difficili e settoriali. Quello che fu, forse, il suo capolavoro avvenne durante la guerra di Korea quando, assunta l’identità del chirurgo Joseph C. Cyr, fu costretto a operare sedici feriti gravi caricati a bordo dell’incrociatore americano Cayuga. Nonostante non avesse alba della pratica chirurgica, Demara consultò nel corso delle operazioni alcuni testi specialistici, apprendendo le tecniche sul posto. Tra i sedici feriti operati da Demara non vi fu alcun decesso, e la notizia venne pubblicata da numerosi giornali, tra cui uno californiano letto dalla madre del vero dottor Cyr. La quale denunciò alle autorità che il figlio non si trovava affatto sull’incrociatore Cayuga, bensì stava terminando i suoi corsi presso un ospedale canadese. Qui iniziò la fama di Demara, la cui vicenda divenne di pubblico dominio e attenzione. Numerosi psicologi si interessarono alla vicenda del grande impostore, il quale non si sottraeva a spiegare le sue ragioni e le modalità delle sue “impersonificazioni”. Diventato tanto famoso da stringere amicizia con l’attore Steve McQueen, Demara si ritirò a “vita spirituale”, assistendo i malati dell’ospedale di Orange County, in California. Morì in quel medesimo ospedale (dove viveva da diverso tempo a causa delle precarie condizioni economiche) nel 1982, a causa di un attacco di cuore cui si sommarono le complicazioni causate dal diabete. Fino a che la malattia glielo permise, svolse il ruolo di cappellano e, nonostante tutti i pazienti dell’ospedale fossero a conoscenza del suo curioso passato (nonché del fatto che non fosse affatto un religioso), nessuno rifiutò le sue cure e attenzioni. Più vero del vero.
– Bernard Madoff (1938-…): avete presente Jordan Belfort, il broker americano interpretato da Di Caprio in “The Wolf of Wall Street” di Scorsese (a proposito, Leo, sarà per il prossimo Oscar…)? Ecco, prima di venir beccato dall’FBI, Belfort truffò i suoi clienti per alcune centinaia di milioni di dollari, garantendosi una vita lussuosa, belle donne, alcol a fiumi, cocaina e chi più ne ha più ne metta. Bene, Bernard Madoff (Bernie per gli amici), prima di venir beccato nel 2008 dagli agenti federali riuscì a causare in alcuni decenni di “onorata” carriera un ammanco pari a 50 miliardi di dollari. Altro che lupo di Wall Street, qui parliamo di un T-Rex! Madoff, infatti, non ingannò sprovveduti investitori, bensì banche e finanziarie di prima grandezza, quali la Royal Bank of Scotland (445 milioni di euro di esposizione), la spagnola BBVA (300 milioni) e la britannica HSBC, cui spetta la palma di banca maggiormente esposta con circa un miliardo di dollari di “buco”. Nonostante non si fosse mai laureato, Madoff iniziò la sua carriera di broker negli anni sessanta, reinvestendo gli utili della sua attività di bagnino (come insegna De André in “Rimini”, vatti a fidare dei bagnini…). Creatosi una discreta fama presso la comunità ebraica newyorkese, Madoff decse di applicare su vasta scala lo “schema Ponzi”, uno schema truffaldino inventato dall’immigrato italiano Charles Ponzi nei primi anni del ‘900, il quale consiste in una sorta di marketing piramidale in cui l’ingresso di nuovi investitori finanzia gli interessi degli investitori precedenti. In sostanza, affinché lo schema Ponzi funzioni, è necessario trovare costantemente nuovi “allocchi”, ragion per cui il buon Ponzi venne beccato in breve tempo. La truffa di Madoff, invece, durò diversi decenni e, a differenza delle basi dello schema Ponzi (rivolgersi solo a persone non pratiche di economia), si rivolse a persone ferrate in materia. Aspetto che sottolinea ulteriormente la sua capacità di raccontare balle e buggerare non soltanto semplici sprovveduti. Condannato a 150 anni di carcere nel 2008, appena un anno dopo Bernie tentò l’ennesima balla per uscire di galera. Fece circolare la voce di essere affetto da una malattia terminale, così da passare gli ultimi mesi di vita in famiglia. Peccato che tale malattia non risultasse in nessuna cartella clinica e che, ad oggi, il buon Bernie sia ancora vivo e vegeto. Continuavano a chiamarlo “Il Bomba”.
– Bill Clinton (1946-…): sulle “balle spaziali” dei presidenti americani si potrebbero scrivere volumi e volumi di trattati geo-politici. Dal Watergate al Vietnam, dalle armi di distruzione di massa di Saddam all’undici settembre. Da Nixon a Bush, da Carter a Obama, da Kennedy a Lyndon Johnson, la bugia è spesso stata la cifra dell’imperialismo politico americano. Per non urtare nessuna sensibilità mi concentrerei sulla bugia più salace dell’ultimo decennio, ovvero quella del caro vecchio Bill “hot-sax” Clinton e dell’affaire Lewinsky. In sostanza durante il corso dell’anno 1995 il presidente degli Stati Uniti si fece praticare in diverse occasioni sesso orale da Monica Lewinsky, una ventiduenne stagista (nemmeno troppo avvenente) presso la Casa Bianca. Incredula per aver succhiato il pene del presidente, la Lewinsky confidò questo segreto a un’amica la quale, saggiamente, la convinse a non lavar via dal suo vestito il “seme presidenziale”, così da avere testimonianza dell’avvenuta eiaculazione. Nel 1998, però, la giornalista Paula Jones rivelò suddette notizie facendo scoppiare il sexgate. Bill Clinton negò categoricamente di aver avuto rapporti sessuali con la Lewinsky, giurando di fronte alla nazione che si trattava di una vergognosa montatura. Tuttavia quando la Lewinsky ripropose il vestito dello scandalo (le cui macchie spermatiche erano state gelosamente custodite per diversi anni), il buon Bill non poté esimersi dal confessare. Rivelando a tutta la nazione che sì, che qualcosa c’era stato, ma che non si trattava di un rapporto sessuale, bensì di una “improper physical relationship”. Detto in parole povere: un pompino. Le accuse di spergiuro caddero gradualmente, anche perché far crollare una presidenza per un pompino di troppo sembrava un po’ assurdo anche per gli americani più moralizzatori. Clinton venne rieletto nel 2000, senza troppi patemi d’animo.
Morale della favola? Se volete inguaiare un politico, evitate di ingoiare.
Andrea Gratton