Perché siamo così ossessionati dai Social Network?
Anni fa avevo un profilo Myspace. Me l’ero fatto perché un mio amico mi aveva detto che era l’ideale per cuccare: “Tu chiedi l’amicizia a una tipa vecchio, poi le scrivi, dopo un po’ le chiedi il contatto Msn, poi il cellulare, e vecchio la scopata è garantita”. Con il mio amico funzionava, con me no. Forse perché lui aveva un sacco di foto a bordo della sua Ferrari, o forse semplicemente perché io ero sfigato, sta di fatto che già al tempo capii le potenzialità di questi nuovi social network. Poi arrivò Facebook, e la cosa prese una piega totalizzante. Ma perché questo nuovo mezzo di comunicazione ha avuto così tanto successo da poter permettere a Marco Zuccamberga di spendere diciannove miliardi per comprarsi WhatsApp? Perché ne siamo così ossessionati? E poi, perché Zuccamberga non ha usato quei soldi per comprarsi una portaerei? Vediamo di cercare una risposta a tutte queste domande.
#Condivisione
Si dice sempre che non vi può essere felicità se non è condivisa con qualcuno. Mai frase fu più vera, ma non nell’interpretazione buonista che gli viene normalmente attribuita, bensì in quella hobbesiana più attinente alla psicologia dell’uomo. Ora, se per condivisione intendiamo, che ne so, che un mio amico ha vinto venti milioni di euro al superenalotto e me ne regala dieci, probabilmente lo farebbe semplicemente perché gli darebbe noia avere un amico povero, oppure perché guidato da un insensato slancio di generosità. La cosa certa è che non sarebbe più felice, anzi, sarebbe felice esattamente la metà. In tutti i casi tutto ciò non avverrebbe mai.
Se invece per condivisione intendiamo che il mio amico ha vinto venti milioni alla lotteria e condivide con me la notizia ostentando la sua nuova Bugatti Veyron, la sua nuova magione in toscana, la sua nuova fidanzata modella – facendomi sentire uno straccione ammorbato dalla miseria – beh, a quel punto sì che sarà veramente felice. Solo così la massima sopracitata acquista senso, ed è esattamente quello che capita con facebook e gli altri social. Vengono condivise le foto che ci ritraggono in momenti vincenti della vita, come un mega-viaggio alle Hawaii, una festa tra amici in cui sembriamo veramente popolari, un momento magico con la nostra fidanzata, tutti momenti che di per sé sarebbero mediamente appaganti e che lo diventano molto di più se riusciamo ad attirare l’invidia di qualcuno.
Così se mi ritrovo a prendere il sole in una spiaggia esotica, sono più felice se riesco a farlo sapere a qualcuno che è appena uscito dall’ufficio in una giornata di merda senza ombrello; se mi sto divertendo con i miei amici sono più felice se lo faccio sapere a chi passa la serata a scorrere la rubrica in cerca di qualcuno con cui uscire; se sto cenando con la mia ragazza sono più felice se lo faccio sapere a qualcuno che è in astinenza da due anni (non ai single attivi, quelli sono i più felici di tutti).
Perciò quando sono in una situazione felice, o che perlomeno potrebbe sembrarlo, scatto una foto e la condivido su Facebook, sperando che qualcuno desideri essere me, sperando che allora il mio narcisismo, unico depositario della gioia in quest’epoca, mi rilasci un po’ di felicità, giusto un pochino. D’altronde non ho mai visto nessuno condividere una foto che lo ritrae mentre il suo capo lo licenzia, mentre riceve l’ennesimo due di picche o mentre va dormire con la mamma perché ha paura del buio.
Sarebbe bellissimo.
Questo è il grande potere dei social network: dare la possibilità di essere invidiati. Questo è condividere la felicità al giorno nostri. Non ci sono scuse, se condividere foto non ci rilasciasse un piacere narcisistico semplicemente non esisterebbe Facebook, non ci sarebbero motivi per usarlo.
#Creare un’immagine di sé
L’altro grande potere dei social network è che permettono di costruirsi un’immagine di sé a piacimento.
Facciamo un esempio.
Incontro una ragazza nella vita vera, una ragazza con un viso splendido e con un corpo da paura. Però è senza denti. I suoi pregi e i suoi difetti mi appaiono immediati, come le appaiono immediati i miei difetti e i miei ulteriori difetti. Ma se vado a spulciare il suo profilo Facebook non troverò mai una foto di lei che sorride, troverò probabilmente album pieni di inquadrature americane, di primi piani dei suoi occhi, delle sue labbra, del suo culo, del suo seno – tutte cose molto utili quando il server di YouPorn è in down -, ma non troverò mai la sua bocca aperta.
Ma questa ragazza dovrà fare i conti con la realtà, col fatto che è senza denti e che probabilmente non può permettersi un dentista (a meno che non sia stata una scelta per migliorare le prestazioni orali). Perciò i social network ci permettono di costruire un’immagine di noi stessi che non comprenda i nostri difetti, e mandano un messaggio chiaro al nostro piccolo cervello: “La realtà è una merda”.
È lo stesso motivo per cui è esploso Instagram. Il successo di questo social è dettato evidentemente dai filtri. La realtà è una merda, ma con i filtri migliora. Qualsiasi cazzata assume un’atmosfera poetica con gli effetti di Instagram, perfino un’unghia incarnita, qualsiasi persona sembra più bella su Instagram, persino le fashion blogger.
La verità è che la realtà è davvero una merda, ma lo è solo rispetto agli ideali che ci creiamo. Il problema di fondo sta nel fatto che un tempo dovevamo confrontarci con i modelli idealizzati di attrici, attori, soubrette, vallette – tutti bellissimi e sensuali bagnati dalle luci delle telecamere -, mentre adesso dobbiamo confrontarci con l’immagine idealizzata virtuale di noi stessi, il che rende tutto più complicato. Perciò se sul mio profilo appaio bello, simpatico, sociale, brillante e colto arriverà il giorno in cui non uscirò più di casa perché il dato reale è che sono bruttino, musone, piuttosto ignorante senza google, e probabilmente privo di dentatura.
Per carità, forse inventeranno un giorno un sistema per trasferire la coscienza in un corpo artificiale modellato a nostro piacimento, ma a quel punto non vorrei degli addominali perfetti ma un lanciafiamme nell’avambraccio.
# Esprimere opinioni
I social network ci permettono inoltre di esprimere qualsiasi opinione ci passa per la testa. È una cosa che si è sempre fatta, ma un tempo la risonanza dei nostri commenti si riduceva alle persone con cui in quel momento avevamo un’interazione. Ora invece il pubblico si è decisamente allargato. Il terreno ideale per questa necessità è sicuramente rappresentato da Twitter. Twitter sembra essere il salotto snob del web, e infatti è molto frequentato dalle categorie più colte della società, come i politici e le fan dei One Direction.
Non facendo parte di nessuno di questi due gruppi non lo frequento molto, ma ho seguito con interesse l’hashtag sanremo 2014 qualche mese fa. Sono rimasto davvero impressionato dalla quantità di tweet scritti ogni secondo sull’argomento. Una tale mole di opinioni, di battute brillanti e di banalità da far venire l’emicrania. Era impossibile leggere tutto, ma durante la diretta mi accorgevo che le frasi erano tutte più o meno uguali: usciva la Litizzetto e tutti i tweet riguardavano il suo vestito, usciva Ron e tutti a parlare del gatto morto che aveva in testa.
La cosa interessante è che erano molto pochi i messaggi condivisi da altri utenti, la maggior parte erano destinati a non essere letti e a crepare nel crudele oceano del web.
Ma allora che cazzo di senso ha se nessuno ti legge? A questo punto mi conviene parlare del parrucchino di Ron con mia zia che almeno lei mi ascolta, nonostante la semi-sordità e quella puntina di sindrome di Asperger.
Il tutto acquista senso perché la speranza che si cela sotto il live twitting è quella di riuscire ad emergere dal mare di sterco ed essere condiviso. Non si parla più del quarto d’ora di celebrità, ma dei cinque minuti di like. Che poi, e se chi ti condivide lo facesse solo sperando che tu condivida lui e non perché ha trovato brillante la tua opinione? C’è da uscirne pazzi.
Stessa cosa vale per gli status di Facebook, dove però l’elemento prorompente è ancora una volta il narcisismo. Fenomenali coloro che scrivono aggiornamenti attaccando qualche persona imprecisata nella speranza che questa la legga e si senta presa in causa. Non riesco veramente a capirne la motivazione, se non quella di fare sentire in imbarazzo tutti quelli che leggono.
#Conclusioni
Riassumendo: i social ci permettono di diventare i registi della nostra vita virtuale. Usare le luci che ci rendono più attraenti, condividere solo i momenti belli, le frasi più interessanti, e il lato che più ci piace di noi (non il più bello).
Tutte le cose positive, come il fatto di poter comunicare più facilmente, o il poter trasmettere informazioni a più persone, potevamo già farle prima. Esistevano i cellulari ed esistevano i giornali, le riviste e i romanzi.
La tragedia è che ognuno dirige il film di se stesso ma non ci sono più spettatori che guardano.