Lo spazio dei lettori

Ma chi cazzo siete: esegesi

Noi compagni di Fantacalcio abbiamo messo inserito per errore nel nostro giro di email un indirizzo sbagliato e costui è rimasto in copia di nostri scambi per qualche giorno. La sua esistenza si è palesata a noi attraverso il seguente messaggio:

MA CHI CAZZO SIETE? IO SO FROCIO, DEL CALCIO ME NE FOTTO, TOGLIETETMI DAI VOSTRI INDIRIZZARI, NON SO NEMMENO DI CHE CAZZO STIATE PARLANDO!!!!!!!!!!!!!

Noi ci siamo dispiaciuti sulle prime ma sulle seconde come immagini ci siamo anche un po’ risentiti che egli avesse reagito così male ad un nostro involontario errore. E siccome c’era qualche riferimento alla omosessualità nei messaggi che tra noi ci scambiavamo, tipo l’hai preso nel culo stronzo, ma detto tra amici, abbiamo pensato che egli ci prendesse per il deretano. Invece esso è critico cinematografico ricchione per cinema ricchione e organizza festival del cinema ricchione a Venezia a nel veneto. Avendo lui minacciato noi altri così brutalmente e gratuitamente, un giorno ho scritto la seguente esegesi della sua email precedente:

Analizzando sinteticamente la prosa del Cinema è bene ricordare come il suo stile sia decisamente icastico, basato sulla forza delle frasi semplici, dure a volte, dove dei segni di interpunzione viene fatto uso scientifico a dividere ma allo stesso tempo legare.

Col suo potente

MA CHI CAZZO SIETE?

inizia ponendo se stesso dalla parte del giusto, così a segnalare l’altrui insipienza. L’ardito uso delle maiuscole ci suggerisce un tono leggermente piccato, che terrà per tutta l’opera. La dura realtà di un uomo tirato in mezzo a faccende che non gli competono ma che lo mettono in gravi ambasce, un novello K. kafkiano che non ha tuttavia più intenzione di subire processi.

Questo introduce al passo decisamente più noto e sorprendente della missiva, uno dei momenti più alti delle letteratura moderna.

IO SO FROCIO,

Ed è in quel SO, che sta tutta la differenza tra un genio e un imbrattatore di carta. In tre parole Cinema prende le distanze dai suoi interlocutori e da tutto ciò che essi rappresentano. Lo fa usando il tono di chi non vuole essere più vittima, ma anche di chi ben conosce certa sottocultura che gioca col romanesco. I sui interlocutori altissimi sono Pasolini ed il Belli. Possiede quella irraggiungibile capacità di apparire scanzonato e pur serio fino quasi alla violenza. La sua definizione di sé come omosessuale viene rivendicata con la più semplice delle costruzioni sintattiche, senza astio, senza polemiche, senza contrapposizioni, solo per affermazione. Ed è in quel “Ich bin” heideggeriano in salsa di Spinaceto che Cinema si dimostra un gigante.

La virgola, tratto da Egli amato, chiude questo passo e riapre alla stanza successiva come una porta girevole.

DEL CALCIO ME NE FOTTO

Che delizia la semplicità con la quale descrive se stesso attraverso il proprio piacere. Questa citazione dannunziana racconta di letture fatte sul divano sorseggiando un liquore ed ascoltando Mahler, nelle domeniche pomeriggio vissute dall’inutile massa negli stadi oppure attaccati alle radio. Un immagine che riporta all’Arcadia, che suggerisce un modo di vivere forse ancora oggi possibile, una luce di speranza.

Ma eccoci in discesa verso il sorprendente finale

TOGLIETETMI DAI VOSTRI INDIRIZZARI

Può sembrare un passaggio interlocutorio, un cedimento all’utilitarismo troppo facile mescolato ad una forma barocca (che invece si paleserà come un’ombra nell’ultimo passaggio). In quella T di TOGLIETETMI sta tutta l’intensità di un uomo che vuole essere con così tanta forza da non rinnegare il piccolo errore di battitura commesso. Immaginiamo il tempo passato leggendo e rileggendo, l’anima tragicamente spezzata tra il desiderio di purezza (togliere la T) ed il bisogno, la fame di Verità. Ha vinto la seconda, ed è uno dei motivi che rendono quest’invettiva immortale.

NON SO NEMMENO DI CHE CAZZO STIATE PARLANDO!!!!!!!!!!!!!

Ed ecco la sorpresa. Quella che sembrava un’opera perfettamente conclusa, ungarettiana se vogliamo, ha una coda che distanzia Cinema da qualsiasi poetucolo novecentesco avvicinandolo ai nostri monumentali maestri tardomedievali. L’uso di otto parole, un’infinità per il Nostro, nella chiusura dell’opra, si rende necessaria per sciogliere in qualche modo la tensione e per addolcire la meravigliosa brutalità del resto. L’uso di CAZZO smitizza la questione dell’omosessualità tappando la bocca a chiunque avesse voglia di proporre scherzi villani, con la tecnica dell’anticipo, tanto cara a Wilde. In questa dolente cantata che conclude il poema sta tutto l’amore per l’Alfieri che Cinema non ha mai nascosto, una specie di omaggio. Una specie di riconciliazione con i Suoi lettori, poi, che ha così duramente maltrattato, si può leggere in tre particolari dolcissimi, se mi permettete:

– il NEMMENO, che apre una porta alla speranza, come se “se sapessi di cosa parlate, se mi aveste reso partecipe invece di umiliarmi mostrandomi la vostra amicizia ma solo da lontano, forse …”

– l’uso del congiuntivo STIATE che descrive un rispetto verso l’alieno fino ad oggi ignoto

– e poi quei punti esclamativi!!!!!!!!!!!!! La forza della prosa del Cinema non abbisogna di questi mezzucci, ed a lungo tempo i critici si sono scervellati per comprenderne il senso. La nostra proposta è nel numero. I punti esclamativi sono 13 come gli astanti all’Ultima Cena, nella quale Egli si sente non invitato, ma soprattutto come i risultati sulla schedina. E con quanta forza e garbo si può raccontare di un’anima che si sente ingiustamente esclusa, di un uomo tanto grande da essere, alla bisogna, pronto a cambiare idea? Con tredici punti esclamativi.

Io vi odio andate via, ci dice, ma portatemi con voi se potete, sottovoce.

Non sappiamo a chi si riferisse il Maestro, come sappiamo ogni artista si rivolge sempre ai propri fantasmi, ma noi esegeti e filologi di nulle pretese, abbiamo imparato ancora qualcosa che non conoscevamo e che ci migliora, giacché è solo attraverso l’interpretazione partecipante ed appassionata che il mondo disvela la sua magnificenza, donando senso pieno alla nostra esistenza.”

ELBARDO

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