Arte

La quiete dopo Pordenonelegge

La fine di Pordenonelegge (intesa come fine temporale, beninteso) fa sì che la città possa finalmente tornare alle sue attività preferite: ovvero l’alcolismo e la noia. In realtà, oltre alle due attività sopracitate, ve n’è un’altra che, strettamente legata a Pordenonelegge, sancisce la vita sociale e culturale della ridente cittadina sulle rive del Noncello: parlare (nel bene e nel male) di Pordenonelegge. Ebbene sì, perché Pordenonelegge (e quattro! Dovrò trovare un acronimo prima della fine dell’articolo) è una sorta di evento spartiacque per tutti i polemisti (e non sono pochi) pordenonesi e non. Con dibattiti sui social network, diatribe via Twitter, confessioni scandalose su Insegreto, boicottaggi su Anobii, lettere anonime al Gazzettino e via discorrendo.

Va detto subito che il vespaio di commenti che scatena Pordenonelegge è inversamente proporzionale al numero di libri letti dal pordenonese medio alla fine della manifestazione (non parliamo nemmeno del prima), nonché abbastanza vicino al numero di libri comprati nel corso della manifestazione stessa. Libri che, nel migliore dei casi, serviranno a sostituire le foto di famiglia nei salotti borghesi (vuoi mettere la copertina dell’ultimo libro di Saviano, piuttosto che la foto del nonno che, al suo ottantasettesimo compleanno, taglia la torta con il coltello tremante?). Oppure, nel peggiore dei casi, utilizzati come soprammobili cattura polvere, con buona pace delle infinite sfumature (non di grigio) dello Swiffer Duster.

(in questo video possiamo vedere una MILF spolverare l’ultimo volume della saga di Twilight soltanto per il gusto di gettarlo via pulito)

Quel che penso io di Pordenonelegge, in fondo, non è poi così importante. Per i diversi tipi umani della manifestazione rimando al fondamentale articolo dell’Oltreuomo (eccolo qui: https://oltreuomo.com/tipi-umani-di-pordenone-legge/), nel quale si trovano ben riassunte tutte le declinazioni umane e disumane di Pordenonelegge. Resta che, nel corso degli anni, là dove la manifestazione si è arricchita di sempre nuove e inusitate regole tipo partita di calcetto all’oratorio (biglietti sì, biglietti no; code sì, code no; Mauro Corona sì, Mauro Corona no), tanto i tipi umani che la frequentano quanto le situazioni che si verificano sono sempre le stesse. Va da sé che tali situazioni sono prettamente di carattere letterario e che, nonostante il disinteresse medio dei frequentatori di Pordenonelegge nei confronti della letteratura (d’altronde Pordenonelegge è la “festa del libro con gli autori”: né nel nome né nella ragione sociale si fa il seppur minimo accenno al concetto di “letteratura”), è sempre meglio avere qualche nozione di base o qualche aneddoto che, in presenza di un’ipotetica conversazione erudita, faccia svettare un interlocutore sull’altro. Rendendolo vincitore come quell’intellettuale persiano di Serse alle Termopili, alla faccia del rozzo Leonida e di tutti e trecento gli spartani che, ci giurerei, nemmeno sapevano chi diavolo fosse Omero. Quindi, in previsione di PNLegge2K14 (ecco qui l’acronimo perfetto!), ho pensato di stilare un breve riassunto dei maggiori romanzi della letteratura mondiale, così da permettere a tutti i futuri frequentatori di Pordenonelegge di risparmiare tempo e fatica su Wikipedia (e che credevate, che si sgobbasse sui libri?). Nonché di bollare il presunto interlocutore intento ad armeggiare sullo smartphone in cerca della trama dell’ultimo romanzo di Martin Amis (Carneade, chi era costui?) come nerd insensibile e “lettore della domenica”. Insulto che, nel pacifico clima di Pordenonelegge, potrebbe comportare duelli all’arma bianca di kubrickiana memoria.

(in questa clip il buon Stanley ci insegna che, per partecipare a un duello, è indispensabile avere un corpetto da ex-maitresse)
Faccio notare che l’ordine e la scelta dei romanzi sono puramente indicativi. Nel senso che non portano in sé nessuna tipologia di riflessione sociologica o di critica letteraria. Semplicemente, si tratta di romanzi che fa sempre “figo” citare. Soprattutto se il tuo interlocutore stringe tra le mani una copia dell’ultimo libro della Littizzetto o se sta ancora piangendo per la defezione di Carlo Cracco a PNLegge2K13. Detto questo, diamo il via ai riassunti:

– Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare (1952): un vecchio pescatore di nome Santiago passa il tempo a bere rum di pessima qualità in una capanna abusiva per dimenticare il fatto che, da quasi tre mesi, non piglia un solo pesce. Un giorno s’imbarca con lui un ragazzino con la passione per le carte dei Pokemon di nome Manolo, il quale non ha la più pallida idea di come si vada a pesca. Confortato da questa nuova sicurezza, il vecchio cattura un marlin gigante. Ma gigante proprio. Legatolo alla barca, inverte la rotta per tornare al villaggio pregustando l’invidia degli amici che l’hanno sempre deriso e schernito (spesso allungandogli il rum con liquidi corporei di colore simile). Peccato, però, che il mar dei Caraibi (lo stesso dei pirati della Disney, per intenderci) sia popolato da famelici pescecani i quali, mozzico su mozzico, si pappano il marlin di Santiago, costringendolo a tornare alla sua capanna a mani vuote. Il romanzo si conclude con Manolo che regala a Santiago una rarissima card di Bulbasaur.

– Italo Calvino, Il barone rampante (1957): il viziato barone dodicenne Cosimo Piovasco di Rondò decide di ribellarsi all’autorità dei genitori che, per sommo sfregio, volevano fargli mangiare un piatto di lumache alla Bourguignonne. Cosimo, garibaldino ante litteram, sfancula i genitori e sale su un albero del giardino, deciso a non scendere mai più. Fosse sceso (o se, nella migliore delle ipotesi, come con i gatti, i genitori avessero chiamato i Vigili del Fuoco) il romanzo non avrebbe avuto senso di esistere. Ecco perché, per il bene della letteratura italiana, Cosimo non è mai sceso dagli alberi, viaggiando low cost di foresta in foresta (reale e figurata) per tutta Europa. Dimostrando come, alla fine del settecento, fosse possibile spostarsi senza spendere denari facendo couchsurfing sugli alberi. Alla faccia di Ryanair e delle sue “condizioni di viaggio” capestro. Nel corso degli anni Cosimo conosce personaggi di ogni calibro, tra cui Viola, la classica figa di legno che promette promette e mai la da. Sempre per il bene della letteratura italiana, beninteso. Il romanzo finisce con un Cosimo vecchio e stanco che, nello stupore generale, si aggrappa a una mongolfiera pubblicitaria inneggiante all’indulto per Berlusconi con il preciso intento di farla esplodere.

– Thomas Mann, La morte a Venezia (1912): lo scrittore Gustav Von Aschenbach decide di andare al Lido di Venezia per la mostra del cinema, allo scopo di farsi fare un autografo da Brad Pitt. Prende una stanza all’Hotel des Baines ma, invece del buon Brad, trova un giovane minorenne di nome Tadzio. Con la scusa della ricerca estetica dell’ideale della bellezza greca, Von Aschenbach nega la sua palese attrazione per i ragazzini fino a che, bruciata la gigantografia di Brad Pitt, decide di dedicarsi al corteggiamento di Tadzio. Tadzio, però, non è un ragazzino qualsiasi, bensì la reincarnazione allucinata di Narciso e, tanto più Von Aschenbach gli gira attorno, tanto più il giovane Tadzio glielo fa sudare. Obnubilato dall’attrazione, Von Aschenbach se ne frega della peste che ha colto Venezia e, come un vecchio sconsiderato, fa di tutto per pigliarsi il morbo che sconvolge la città. Cosa che accade regolarmente, mentre regolarmente non accade che il bel Tadzio gli si conceda. Anzi, infastidito dall’insistenza di Von Aschenbach, Tadzio lo denuncia per stalking alla polizia postale di Mestre, la quale si mette immediatamente sulle tracce del vecchio sporcaccione. Il romanzo termina con Von Aschenbach che muore di peste osservando sul suo Ipad, mani in tasca, foto di Tadzio che emerge dalla battigia tipo Venere del Botticelli.

– Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (1913-1927): dopo decenni passati a sperperare gli averi di famiglia, a partecipare a feste tanto snob quanto noiose, a mangiare pasticcini e a chiamare con nomi femminili il suo autista, Marcel decide di andare a dormire presto e di diventare uno scrittore (come se le due cose fossero connaturate). Alla faccia dei maligni e dei superbi, come la donna cannone, ce la farà.

– Lev Tolstoj, Anna Karenina (1877): Anna, da buona russa, ha due passioni: la vodka e l’adulterio. Giunta a Mosca per convincere la cognata cornuta a non abbandonare il fratello fedifrago (buon sangue non mente) finisce con l’innamorarsi di un ufficiale sciupafemmine dal nome simile a quello di una pop band inglese degli anni ‘80: Vronskij. Dopo aver tranquillizzato il marito che con Vronskij c’è solo amicizia, Anna resta incinta di quest’ultimo. Il marito decide così di allontanarla da casa, riaccogliendola soltanto in punto di morte. Anna, occhi lucidi, promette allora fedeltà eterna al marito e maledice Vronskij, causa di tutti i suoi mali. Il buon dio, però, non aveva ancora voglia di riprendere Anna con sé. Così, rimessasi, Anna manda a quel paese marito e buoni propositi e inizia un lungo tour in Europa assieme a Vronskij, di cui è la groupie più o meno ufficiale. L’Europa, però, annoia Anna, mentre Anna annoia il marito il quale, ottenebrato dalla religione e dalla vendetta si rifiuta di concederle il divorzio. Alla fine del romanzo vissero tutti felici e contenti (chi riappacificato con la moglie, chi riappacificato con dio, chi figliante, chi in procinto di avventurose campagne militari). Tutti tranne Anna, la quale, inebriata dai sensi di colpa (e dalla vodka) decide di buttarsi sotto il diretto Vladivostok-Pordenone delle 10:30.

– Gabriel Garcia Márquez, Cent’anni di solitudine (1967): «Lo sai che ho letto su Tuttolibri che Garcia Márquez ha la demenza senile quindi non scriverà più libri?», è sufficiente citare questo macabro gossip per zittire l’interlocutore, risparmiandovi così il riassunto di Cent’anni di solitudine. Poca spesa, tanta resa.

Come potete vedere, la carne al fuoco per PNLegge2K14 è molta. E molta di più potrebbe essere, come ci insegna François Truffaut:

(qui possiamo vedere un membro del Ku Klux Klan intento a dare fuoco alla prima edizione de La capanna dello Zio Tom)

Mi auguro, quindi, che questi mini-riassunti che ho deciso di donarvi dal profondo del mio cuore garantiscano a tutti voi se non propriamente scopate adulterine alla Anna Karenina, quanto meno fruttuose e profittevoli conversazioni letterarie durante la prossima edizione di Pordenonelegge. Se ciò non fosse sufficiente, la densità di bar presenti in città potrebbe venirvi in aiuto. I pordenonesi non frequentatori di Pordenonelegge, infatti, insegnano che non c’è conversazione letteraria che non possa essere (abbondantemente) sostituita da una buona birra da mezzo.

Perché vale la penna ricordarlo: la letteratura è una brutta bestia e chi se ne occupa, di solito, è una brutta persona.

Andrea Gratton

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