Il nuovo reato di campanilismo
Colpevole di perculare con linguaggio violento ed offensivo la provenienza dei tifosi avversari. «Al settimo minuto del secondo tempo, la curva B innalzava cori contro i tifosi ospiti, rei a loro dire di essere nati in una zona ad alto rischio sismico (o di aver subito un’esondazione del locale fiume, o di vivere all’ombra di un vulcano)». Potrebbe essere ciò che si legge nei nuovi verbali di Gianpaolo Tosel che, dal 2007, ogni anno tira tardi di lunedì in ufficio, tra i probabili rimproveri della sua moglie, per comminare squalifiche, denunce, relazioni et similia.
Del duello Stato-Ultrà si parla molto. Delle decisioni aberranti prese per contrastare la violenza negli stadi, anche. Dal daspo, sempiterno oggetto di dibattito tra le parti in causa, alle squalifiche per i buu, veri o presunti (Sassuolo-Milan: il coro razzista a Constant era in realtà un dialettalissimo “movet salam”).
Diciamolo: uno spettro si aggira per l’Italia calcistica ed è lo spettro della partita a porte chiuse. Spettro che non aggrada nessuno: i tifosi, che si vedono tolto il diritto fondamentale del loro, appunto, esser tifosi (e a volte si uniscono in class actions, come recentemente i milanisti).
Le pay-tv: la partita è, volenti o nolenti, un bene materiale, merce di scambio, un prodotto che viene venduto singolarmente o a pacchetto. Non consiste solo nel gioco in campo, ormai relegato a mero orpello, ma anche nello spettacolo sugli spalti, di cui si cerca, di cogliere la bizzarria, il particolare simpatico, l’elemento folcloristico, per arricchire il prodotto stesso. Gli spalti vuoti ed il pesante silenzio che ne consegue rovinano fanno male agli affari. Di conseguenza lo spettatore, già provato dal pranzo domenicale, se la partita è oltremodo statica, e gli spalti son deserti, rischia seriamente di addormentarsi all’ennesima consonante esasperata di Compagnoni o alle innumerevoli fanfaronate di Pardo.
Ma l’Uefa esige un calcio bello, disneyano, per famiglie. Nel congresso di maggio ha inasprito pene e sanzioni per chi oltraggia l’altrui dignità ed ogni federazione, da par suo, si è regolata: la FIGC, per farsi bella agli occhi del sempre meno Roi Platini, ha esteso tale decreto. Nel calcio italiano «costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale e/o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori».
Eccesso d’entusiasmo o censura morbosa? Sta di fatto che, caso unico nel Vecchio Calcistico Continente, in Italia esiste la discriminazione territoriale, figlia di quel campanilismo che, si può dire?, un po’ dispiace lasciar perdere. Bersaglio prediletto di ogni curva, a tal proposito, sono i napoletani, che giochino o no.
Nelle ultime settimane sono fioccate dunque sanzioni e sono state lucchettate le curve di Milan, Juve, Torino e Roma: tutta brutta gente che non si sente abbastanza italiana.
Ma la novità non piace a nessuno, ovviamente. Non piace alle società, che facevan già fatica a districarsi tra conti in rosso e tifosi “violenti””; non piace a, surprise!, Maurizio Beretta, che, dall’alto del suo scranno da Presidente di Lega, tuona: «In questo modo, stiamo consegnando il destino delle squadre nelle mani di pochi irresponsabili».
Chiosa Giancarlo Abete, riconosciuto universalmente come una delle sette piaghe (le altre sei, in ordine sparso, sono Marco Mazzocchi, il giuramento solenne di lealtà, Stefano Palazzi, i turni infrasettimanali, le interviste nell’intervallo e la scomparsa del Mai dire Goal prima maniera) del calcio: «l’Uefa racchiude anche questa eccezione nelle parole «qualsiasi modo».
Non piace ai tifosi, ça va sans dire: si sono mobilitati in tutta Italia, probabilmente per la prima volta, uniti contro l’ennesima ridicolaggine burocratica sgonfia-pallone. Tutti vogliono cantare “Napoli colera” o “Avete solo la nebbia” per far chiudere tutte le curve di Serie A e vedere come va a finire. Dal canto loro napoletani, checché se ne dica sempre dotati di una certa beffarda creatività, hanno esposto giorni fa uno striscione durante il match casalingo con il Livorno: Napoli colera: e adesso chiudeteci la curva.
Jacopo Rossi