Filosofi e donne
Dalla notte dei tempi i motti e gli aforismi sulle donne e sul loro rapporto con l’uomo si sprecano come coriandoli a carnevale. E, parimenti ai coriandoli, risultano di dubbia utilità e piacere estetico, riuscendo a far sorridere solamente i più piccoli. In questo caso, gli uomini. Di tutti i luoghi comuni sul gentil sesso, però, ve n’è uno che, oltre a divertirmi, mi ha sempre fatto riflettere. Si tratta di una frase che recita pressappoco così: «non cercare di capire le donne: soltanto le donne capiscono le donne e, non a caso, si odiano tra loro». Non so chi sia l’artefice di questo motto di spirito, né una breve ricerca online ha chiarito i miei dubbi in merito. Tuttavia, dopo aver declinato tale aforisma ad alcune amiche, conoscenti, colleghe e consanguinee varie ho riscontrato come la maggior parte di esse (oggettivamente parlando, la totalità…) lo abbia trovato calzante e rispondente alla realtà.
Personalmente ritengo che la parte più interessante di quest’aforisma non sia la seconda (sul rapporto donna-donna sono stati sprecati oceani d’inchiostro, e i risultati sembrano continuare a essere decisamente lontani da una visione univoca), bensì la prima. Cioè l’evidenza secondo cui cercare di capire le donne, lungi dall’essere difficile, sarebbe impossibile. In sostanza qui si parla della condanna eterna all’incomprensione tra generi, qualcosa di molto più vicino all’assoluto di quanto possa sembrare. Credo che, a tale proposito, ognuno di noi abbia delle esperienze individuali capaci di avvalorare suddetta tesi. In ogni caso, tali esperienze individuali sarebbero ben poca cosa se rapportate alle riflessioni delle menti più somme del genere umano. Menti abituate a discutere di ogni argomento, a riflettere su ogni minimo particolare della vita dell’uomo e, dopo attente analisi, a delineare un tentativo razionale di comprendere la natura stessa della condizione umana. Le menti somme di cui sto parlando sono, ovviamente, quelle dei filosofi.
Fin dalla notte dei tempi, infatti, i filosofi si sono sperticati per comprendere la natura del rapporto uomo-donna, letto non semplicemente in chiave relazionale, bensì etica, estetica, sessuale e via discorrendo. Perché limitarsi a una semplice analisi superficiale non sarebbe affatto stato possibile. E, così come andava scardinata e analizzata la vita sociale dell’uomo oppure andavano investigati i meandri della metafisica, ugualmente l’indagine sul rapporto tra i sessi andava a ricoprire un ruolo fondamentale nelle elucubrazioni e nelle ricerche filosofiche. Il monito evangelico medice, cura te ipsum, però, è sempre in agguato. Così che, a un’analisi più accurata, lo scoprire che i rapporti dei filosofi con l’altro sesso erano tutt’altro che razionali e pacificati lascia non tanto sorpresi, quanto più incuriositi. Se delle menti così eccelse non erano in grado di trattare le donne, come potremmo noi, poveri e limitati esseri semi-senzienti, riuscirci? Noi, il cui massimo grado di riflessione filosofica è raggiunto dal domandarci se la ministra Boschi si fosse o meno presentata in tanga da Napolitano?
(No, non lo ha fatto. Però, secondo me, avrebbe dovuto. Rottamare per rottamare, meglio rottamare i mutandoni della nonna…)
La risposta, care lettrici e cari lettori, è scontata. E passa attraverso l’accettazione che se alcune tra le migliori menti prodotte dall’umanità sono finite con l’arenarsi di fronte al “pianeta donna”, difficilmente a noi toccherà sorte migliore. Così, per rinfrancarci lo spirito da questa dolorosa presa di coscienza, ecco a voi alcuni tra i rapporti filosofo-donna più astrusi e complicati della Storia. Perché, alla luce dei loro fallimenti, i nostri possano assumere contorni ben più lievi. Dandoci la speranza che, là dove non poté la mente e la comprensione razionale, potrà l’insipienza e una discreta dose di alcolici. Il primo, ovviamente, è il protagonista di quello che è forse il più famoso dialogo filosofico sul rapporto tra sessi: cioè il “Simposio” di Platone.
Perché se a ogni Mauro Icardi corrisponde una Wanda Nara, a ogni Socrate corrisponde una Santippe.
– Socrate e Santippe (IV secolo a.c.):
Santippe fu la moglie di Socrate, che sposò in età avanzata quando il filosofo aveva ormai superato il mezzo secolo. Nonostante di lei si sappia ben poco in termini biografici (la notizia più rilevante è certamente il fatto di essere stata la madre dei tre figli di Socrate: Lamprocle, Sofronisco e Menesseno) è ben nota la vulgata secondo cui fosse una donna dal carattere bisbetico e intrattabile. Si dice che fosse la sola persona che Socrate non fosse in grado di far ragionare, ma alcuni commentatori ben più maligni si spingono a postulare che Socrate avesse iniziato la ricerca filosofica nel precipuo tentativo di comprendere una donna tanto intrattabile. Di lei si ricordano bizze e sfuriate, spesso conclusesi con le mani alzate nei confronti del sommo pensatore. Il buon Socrate, però, dal canto suo la prese sempre “con filosofia”, rispondendo con motti di spirito agli inviti degli amici i quali non si capacitavano di come riuscisse a sopportare una simile tortura. Tra i commentatori che più si interessarono al rapporto Socrate-Santippe vi fu certamente Diogene Laerzio, il quale narrò di come una delle solite sfuriate di casa Socrate finì con Santippe intenta a rovesciare una brocca d’acqua (altri, però, parlano di un vaso da notte) in testa al marito. Di lei Socrate ebbe a dire che «come quelli che dopo aver domato i cavalli furiosi la spuntano facilmente sugli altri, così anch’io abituato a convivere con Santippe mi troverò a mio agio con tutti gli altri uomini». La storia, purtroppo, ci insegna che alla fine scelse la cicuta.
(Ecco il classico esempio di una golden shower alla rovescia…)
– Aristotele e Filide (III secolo a.c.):
Il filosofo di Stagira fu certamente noto per un’etica e per una morale tanto encomiabili quanto rare. Non a caso, anzi in virtù di ciò, fu scelto da Filippo di Macedonia come precettore del figlio: il futuro Alessandro Magno. Già vedovo e padre, Aristotele accettò l’incarico, conscio che i suoi insegnamenti filosofici e intellettuali avrebbero formato il futuro Re dei Re. Uno dei primi precetti che lo Stagirita inculcò ad Alessandro fu proprio quello di tenersi lontano dalle donzelle che lo insidiavano e che, secondo l’opinione del maestro, lo distraevano dai suoi insegnamenti. Così Alessandro troncò i suoi amorazzi, concentrandosi sullo studio e sui precetti aristotelici come uno studente secchione e brufoloso in terza liceo. L’ultima donzella scaricata, però, non vedeva di buon occhio questa sua decisione, così decise in un colpo solo di vendicarsi dell’amante e dell’uomo che, a suo avviso, l’aveva spinto ad abbandonarla. Fillide (questo era il nome della fanciulla vendicativa) mise quindi in azione tutto il suo potere femminile per far innamorare Aristotele, il quale, gettate alle ortiche etica e morale, iniziò a sbavarle dietro come un normalissimo Presidente del Consiglio affetto da satiriasi. Iniziarono quindi a susseguirsi avances e regali di ogni genere, che minarono le sicurezze economiche dello Stagirita. Tuttavia, il piano di Fillide era solamente all’inizio: spinto Aristotele verso il baratro della sbandata irrecuperabile, la donzella gli propose di mettersi a quattro zampe e farsi cavalcare. Aristotele, fritto d’amore per la bella Fillide, acconsentì. Nel bel mezzo dell’esibizione “equina”, però, secondo quanto orchestrato dalla fanciulla, entrò nella sala Alessandro. Il quale vide così l’amante abbandonata cavalcare il suo saggio precettore. O, in senso figurato, la bellezza sensuale cavalcare l’arido filosofeggiare. Non ci è dato sapere la reazione di Aristotele a tale umiliazione. Dal canto suo, gonfio di rabbia e gelosia, Alessandro mise a ferro e fuoco mezzo universo conosciuto. Solo uno stolto crederebbe che le due cose non fossero correlate.
(- Trotta, cavallino! -)
– Abelardo e Eloisa (XII secolo):
Pietro Abelardo era un brillante e stimato chierico nella Francia del XII secolo. Si dice fosse stato uno dei primi a proporre lo studio della teologia, e le sue lezioni di suddetta materia (difficile a credersi nel XXI secolo) facevano il pienone, manco si trattasse delle finali dei mondiali di calcio. All’età di 37 anni conosce Eloisa, una ragazzina sedicenne le cui doti intellettuali e spirituali erano note anche al di fuori dei confini francesi. Fu proprio lo zio di Eloisa, Fulberto, a propiziare l’incontro. Desideroso di accrescere la cultura e la morale della nipote, assunse Abelardo come precettore e, per rendergli la vita meno dura, si propose di ospitarlo in casa sua. Mai scelta fu meno azzeccata. La bellezza e la purezza della giovane fecero letteralmente perdere la testa ad Abelardo, il quale, reduce da quattro decenni di supposto celibato, iniziò a esplorare ogni pertugio dello scibile sensuale per mezzo dell’allieva. Tuttavia, un giorno il buon Fulberto beccò Abelardo con le mani nella “marmellata”, intimando così al chierico di andarsene da casa sua. Purtroppo la frittata era fatta: Eloisa era rimasta incinta e, per evitare lo scandalo, l’unica soluzione era quella di un matrimonio riparatore. Inizialmente Abelardo non acconsentì, conscio che ciò avrebbe compromesso la sua autorevolezza di teologo. In seguito, però, spinto dalle pressioni e dai sensi di colpa, si risolse a ingoiare l’amaro calice, confidando che l’evento rimanesse segreto. Povero stolto! La famiglia di Eloisa mise in giro la voce di quella parentela tanto illustre, così lo scandalo si abbatté su Abelardo il quale convinse la moglie a rifugiarsi in un monastero per placare le malelingue. Fulberto, però, vide in quest’azione un tentativo di sbarazzarsi della moglie da parte di Abelardo (e come dargli loro torto) e, per vendicarsi di ciò, assoldò degli scagnozzi che catturarono Abelardo e, per punizione, lo castrarono. La castrazione di Abelardo fu la chiave di volta del rapporto amoroso con la moglie. Privato della sua mascolinità il chierico si rivolse alla religione, che lo riaccolse a braccia aperte, restituendogli fama e prestigio. Eloisa, invece, si tuffò nella grigia vita monacale, dapprima intervallandola con qualche infruttuoso tentativo di riconciliazione sentimentale (ora si chiamerebbe stalking) con l’amato. poi dedicandosi anima e corpo alla volontà divina. Alla sua morte, Eloisa venne tumulata assieme al marito: non essendoci più “impedimenti” tra loro, la ricongiunzione poteva essere religiosamente “accettata”. Un po’ come la virilità di Abelardo.
(Vatti a fidare dei preti…)
– Nietzsche e Lou Andreas-Salomé (fine XIX secolo):
Durante la Pasqua del 1882 il grande filosofo tedesco conosce una giovane studentessa tedesca di origine russa. Il suo nome è Lou von Salomé e Nietzsche, dall’alto della sua intelligenza e dei suoi quasi quarant’anni è convinto di avere gioco facile con quella graziosa ventunenne. Non poteva certamente immaginare che lei sarebbe stata all’origine della sua leggenda e, allo stesso tempo, della sua follia. Inizia così a dedicarle poesie d’amore, complimenti sperticati e un po’ adolescenziali che non fanno molta presa sulla bellissima Lou. Tra i due si intromette anche Paul Rée, amico di Nietzsche e parimenti pretendente alle grazie della fanciulla (vatti a fidare degli amici). Se l’obbiettivo di Nietzsche e Rée è decisamente fisico, quello di Lou è prettamente platonico. Alla proposta da parte di Nietzsche di un ménage à trois con l’amico Paul, Lou risponde di sì di buon grado, a patto che si risolva in una relazione prettamente platonica e intellettuale. Il buon Nietzsche acconsente a malincuore, sperando, come chiunque navighi nella friendzone, che tra un discorso e l’altro partisse quanto meno un po’ di petting spinto. La regola dell’amico, però, non sbaglia mai. Così Lou, stanca dei tentativi di abbordaggio da parte di Nietzsche, decide di piantarlo in asso e di andare a vivere con Paul Rée (a cui, va detto per dovere di cronaca, non concederà mai le sue grazie, arrivando a soprannominarlo “cacchina”). Nietzsche la prende bene: nonostante ne avesse elogiato le fantastiche doti spirituali e intellettuali, dopo il rifiuto parlerà di lei in questi termini: «(Lou) ha i seni falsi» e una «moralità effettuale» per cui «il carcere e il manicomio potrebbero essere i luoghi più adatti a lei». Ancora: è «l’animale umano più repellente che ho trovato, l’ho battezzato parassita: non voleva amare e voleva tuttavia vivere d’amore». L’abbandono della bella Lou porterà il vecchio Friedrich sull’orlo di una grave depressione, la quale sfocerà nella scrittura di “Così parlò Zarathustra”. Mai una scopata negata fu tanto funzionale allo sviluppo della cultura filosofica occidentale.
(Pensate di essere stati maltrattati da una donna? Consolatevi: a Nietzsche e a Paul Rée è andata ben peggio!)
– Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir (XX secolo):
Cercare di spiegare il carattere della relazione sentimentale tra i due scrittori/filosofi francesi, più che difficile, è impossibile. Ecco perché il loro caso ben si presta alla descrizione di una follia relazionale che, non appena si congiunge alla filosofia, amplifica le sue già vistose insicurezze. Ma andiamo nel dettaglio, così da raccapezzarci un po’. Sartre (soprannominato da Simone, “il Cobra”) era un uomo tutt’altro che piacevole fisicamente: basso, miope, affetto da strabismo, aveva labbra tumide, era pieno di macchie e odiava il sapone. A letto, stando a quanto raccontano tanto le sue (numerose) amanti quanto la de Beauvoir stessa, era tutt’altro che un fenomeno: pigro sessualmente, aveva soprannominato i suoi incontri erotici “il giro di visite del dottore”. Di sé disse di sentirsi «uno sporco bastardo. Un bastardo davvero insignificante, una sorta di universitario sadico, un Don Giovanni ministeriale e disgustoso». Attratto dalle donne tanto quanto dagli uomini, desideroso di primizie più che di possessi, era solito deflorare le allieve della compagna (la quale ne avrebbe approfittato a sua volta), sfruttando il suo fascino intellettuale piuttosto che le restanti doti (non) dategli dalla natura. Anche Simone (detta “il Castoro”) era tutt’altro che una Venere: brutta, mascolina e foruncolosa, ma dotata di un’intelligenza pari (se non superiore) a quella del compagno. Per contro, Simone si descrisse come «una pazza, una mezza pazza, un’eccentrica. Ho abitudini dissolute e ho praticato con assiduità tutti i vizi: la mia vita è un continuo carnevale». Stregò a sua volta uomini e donne, ragazzi e ragazze. Rifiutò la proposta di matrimonio di Sartre, preferendo vivere con lui una relazione sentimentalmente aperta e non esclusiva. Il filosofo non la prese troppo male. Le memorie di Simone sono piene di passaggi su Sartre, quelle di Sartre la citano a malapena. Tuttavia la loro relazione fu meno tortuosa di quanto si pensi, e il loro rapporto (seppur una sorta di unicum sentimentale) resse a prove molto dure. Anche l’assenza di vincoli può diventare un vincolo a sua volta e l’amore sembra inevitabilmente passare attraverso l’esistenzialismo. Ciò non toglie che il buon Jean Paul morì alcolizzato e che, pochi mesi prima di morire, potesse contare su nove, contemporanei/e, amanti. Ogni relazione ha le sue costanti.
(- Ernesto, dovresti proprio vedere che bella biondina mi ha presentato Simone la scorsa settimana! Un bijoux, proprio! -)
– Arthur Schopenhauer (1788-1860):
Chiudiamo questa carrellata sul rapporto filosofi-donne con il filosofo che, forse più di ogni altro, ha trattato in chiave pessimistica il rapporto con il gentil sesso: Arthur Schopenhauer. Figlio di un ricco commerciante avanti con l’età e di una giovane donna dalla passione per i salotti culturali e dalle velleità letterarie, il giovane Arthur apprende all’età di 17 anni del suicidio del padre. La causa, a suo avviso, è da ricondursi alla freddezza e al disinteresse della madre, la quale non perderà troppo tempo a piangere il marito preferendo trasferirsi a Weimar e aprendo il suo salotto (e non solo) ai maggiori intellettuali dell’epoca. La spregiudicatezza della madre e la perdita dell’esclusività su di essa (qui un bel complesso di Edipo ci sta tutto) porteranno Schopenhauer a esprimersi in temi tutt’altro che lusinghieri nei confronti tanto di essa quanto delle donne in generale. Del sesso femminile dirà: «è di statura bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte, può essere stato chiamato il bel sesso soltanto dall’intelletto maschile, obnubilato dall’istinto sessuale: in altre parole, tutta la bellezza femminile risiede in quell’istinto». Da qui al formulare la procreazione come persistenza della “malvagità” naturale il passo è chiaramente breve. Tuttavia, a discapito di affermazioni del calibro di «come la seppia, la donna si avviluppa nella dissimulazione e nuota a suo agio nella menzogna», il buon Arthur sarà tutt’altro che insensibile al genti sesso. Superati i platonici amori per Caroline Jagemann e quelli tutt’altro che platonici per una cameriera di Dresda, nel 1818 Schopenhauer diede buca a Lord Byron (breve nota storica: nel 1818 in Italia si trovavano Schopenhauer, Lord Byron e Leopardi: il pessimismo cosmico racchiuso in poche centinaia di chilometri quadrati) per una dama di facili costumi rispondente al nome di Teresa Fuga, salvo poi invaghirsi di una nobile inglese in quel di Firenze. Il suo grande amore (corrisposto), però, fu una corista del Nationaltheater, Caroline Medon, la quale decise di ricambiare il focoso amante con il regalo di una gravidanza indesiderata. Da notare che Arthur era in Italia da quasi un annetto. Il commento di Schopenhauer sull’accaduto non lascia adito a dubbi: «gli uomini per metà della loro vita sono puttanieri, mentre per l’altra metà sono cornuti». I fallimenti amorosi si susseguirono costanti, intervallati da proposte di matrimonio rifiutate, lesioni più o meno volontarie, aforismi tanto insultanti quanto infantili. Giunto ormai al termine della sua vita, Schopenhauer accolse in casa per un mese la giovanissima scultrice Elisabeth Ney, desiderosa di fare un busto del noto filosofo. Le lettere di Schopenhauer raccontano di come il vecchio pensatore fosse tutt’altro che immune al fascino della Ney, rivendicando il piacere di averla vicina in quei suoi ultimi spiragli di felicità. L’ennesimo convertito sulla via di Damasco.
(D’altronde, caro Arthur, con quel taglio di capelli così hipster è dura aver successo con le donne…)
E così, care lettrici e cari lettori, eccoci giunti alla fine di questa nostra carrellata. Mi piacerebbe concludere dicendo che il mal comune è, dopotutto, mezzo gaudio. E che se la comprensione del genere femminile è stata fallimentare per fior fiore di pensatori, le possibilità per noi mediocri cerebro-dotati sono davvero infinitesimali. Tuttavia non credo assolutamente che ciò sia rispondente alla realtà. Perché la somma che mi sento di tirare alla fine di quest’analisi è precisamente parallela alla considerazione che il vecchio Schopenhauer si ritrovò a formulare dopo aver conosciuto la sua bella e giovane scultrice. Cioè che «più guardo gli uomini, meno mi piacciono. Se soltanto potessi dire la stessa cosa delle donne, tutto sarebbe a posto».
Everything in its right place.
Ora uscite e moltiplicatevi.
Possibilmente senza comprendervi.
O viceversa.
Andrea Gratton