I troll (o rompicoglioni 2.0)
Il mondo, si sa, è pieno di rompicoglioni (faccio notare che il correttore ortografico non mi ha sottolineato in rosso la parola: think about). La meravigliosa lingua italiana ci offre infiniti sinonimi di questo termine, che possono variare e colorirsi a seconda dell’ambiente sociale, del luogo di provenienza, della raffinatezza dell’occultamento volgare. Abbiamo così gli scassa-minchia, i frantumatori-gonadici, i caga-cazzi e via discorrendo. In molteplici e divertite declinazioni che, in fin dei conti, vogliono comunicare sempre il medesimo concetto, ovvero la descrizione di un essere umano dedito all’interazione principalmente per il gusto malato di infastidire qualcuno, e non per apportare alla comunicazione in sé nuovi elementi di critica o riflessione. Nei bar di paese in cui ci siamo formati in gioventù, i rompicoglioni erano semplicemente “rompicoglioni”.
Nel mondo del web 2.0 e dei social network/media, sono diventati “troll”.
Si chiamino come si chiamino, i rompicoglioni esistono dalla notte dei tempi. Un mio amico archeologo con la passione del crack, mi ha detto che già nel codice di Hammurabi (XVII secolo a.c., per i troll-pignoli) erano previste particolari punizioni per coloro che si macchiavano di tale “reato”. Considerato ai tempi con molta meno indulgenza rispetto ai giorni nostri. In ogni caso, non rimpiango le leggi del vecchio Hammurabi perché, in fin dei conti, con i rompicoglioni accanto ci siamo cresciuti tutti e, forse nemmeno troppo nascostamente, un po’ rompicoglioni lo siamo a nostra volta. Rimpiango, tuttavia, il vecchio background sociale del “rompicoglionismo”, ovvero quello dei luoghi di incontro fisici, delle “immense compagnie”, dei luoghi di socializzazione concreta. Insomma, rimpiango i tempi in cui ai rompicoglioni si poteva anche porre un freno, attuando diverse tattiche di interazione (il classico “oh, hai rotto il cazzo!” mai troppo a lungo rimpianto), oppure sottili giochi psicologici o abbandoni etilici, capaci di anestetizzare il tutto. Intendiamoci, io credo che il rompicoglioni abbia anche un suo ruolo sociale, quanto meno in un background concreto. Chi di noi non ha mai avuto un amico rompicoglioni in compagnia? Uno di quelli cui si concedeva esserlo, proprio perché si era in grado di “tenergli testa” e/o di ignorare le sue assurde e inutili invettive. Puntando poi all’abbraccio finale, alla risata catartica o, nel peggiore dei casi, allo schiaffetto (virtuale o fisico) correttivo.
Questo, però, non accade nel mondo del web 2.0, dove il troll non ha più alcun tipo possibile di catarsi o di argine. Con una tastiera in mano e con l’anonimato dei gesti (virtuali) e del pensiero (lobotomizzato), chiunque può pontificare su ogni cosa, senza però dimostrare concretamente delle competenze o delle capacità. Se davvero nel web “1 vale 1”, un commento alla validità scientifica del metodo Stamina di una “scimmia instancabile” (Emile Borel cit.) capace di premere all’infinito i tasti della tastiera, non avrà più valore di quello di un ricercatore che ha passato l’ultimo decennio della sua vita a studiare le cellule staminali. Paradossi e rischi del web, si dirà, occorre essere attenti, vaccinati e, possibilmente, distaccarsi il più possibile dalle scimmie di Borel. Tuttavia, questo articolo non vuole analizzare la valenza del troll e le possibilità di porre argine/discredito alla sua azione, bensì sottolineare gli argomenti in cui, sul web, è più facile imbattersi in suddetti rompicoglioni.
Se non vi riconoscete in queste categorie e se iniziate ad arricciare il naso, le possibilità che voi stessi siate dei troll diventano altissime.
Quindi, citando i Cypress Hill, “Troll your hands in the air!”
– Cibo: una delle categorie più “trollate” è senza dubbio quella inerente la sfera del cibo e della cucina. Negli ultimi anni, infatti, food-blogger, foodies, appassionati di TripAdvisor, frequentatori di chat e forum a sfondo culinario hanno invaso il mondo del web 2.0 trasformandolo in un calderone di commenti su cupcake, impiattamento, tempi di cottura, accostamenti enogastronomici, mappazzonate varie. Persone che a fatica avrebbero compreso la differenza tra una frittatona di cipolle e una carbonara ora, con l’anonimato del web, pontificano sul colore dell’asparago inserito a guarnizione nell’ultimo risotto di un famoso chef-star. Oppure criticano il vino dell’ultimo locale frequentato perché, a detta loro, “la componente tanninica copriva decisamente il bouquet floreale d’insieme”. I food-troll sono ovunque e, sostanzialmente, si dividono in due categorie: criticoni assurdi che quasi godono nel poter stroncare un piatto o un locale; oppure cuochi dilettanti che, con l’aiuto di Instagram e ammennicoli vari pretendono di trasformare un panino del McDonald in un piatto di haute-cousine. Controllando costantemente il computo dei “like” ricevuti per potersi convincere che sì, che la lavanda gastrica è stata soltanto un incidente di percorso, e che quel panino era quanto di più “gourmant” si potesse desiderare.
(Prima dell’avvento di TripAdvisor, i food-troll si sistemavano così)
– Calcio: in un paese dove il quotidiano più letto è la Gazzetta dello Sport e dove, a torto (molto) o ragione (pochissima), tutti si sentono c.t. della nazionale, era pressoché inevitabile che il calcio fosse una delle categorie più trollate. E, si badi bene, sottolineo “il calcio”, perché negli altri sport questo non succede. Come controprova fatevi un giro nei forum di appassionati di basket o di pallavolo femminile (sì, lo ammetto, frequento i forum di pallavolo femminile…). Il calcio, infatti, è uno dei catalizzatori degli umori più bassi e beceri della maggior parte della popolazione italiota. Così che la sostituzione al 93° minuto dell’ultimo calciatore del pianeta (Vratislav Greško, chi era costui?) diventa pretesto per scagliarsi contro l’allenatore, i dirigenti, i commentatori che ne sottolineavano la sostanziale inutilità. L’importante non è considerare l’evento, bensì rompere i coglioni. Perché sì, perché un troll-calcistico troverà sempre un motivo valido per attaccar briga (virtualmente) contro qualcun altro, perpetrando i comportamenti che molti troll non virtuali attuano settimanalmente negli stadi di mezza Italia. Come nel caso dei food-troll, anche i troll-calcistici si dividono in due categorie: tifosi sfegatati incapaci di un commento critico e razionale su qualsivoglia evento inerente la propria squadra del cuore, tendenti a risolvere le diatribe calcistiche con filosofiche frasi ad effetto (“Nu mme toccà la Mmagica che sennò te meno!”); indie-snob calcistici con la puzza sotto il naso che, dopo aver passato due decenni in cameretta a sfogliare tutti gli almanacchi di calcio possibile, correggono ogni (infinitesimale) errore di altri utenti con un’elevata dose di saccenza e puzza sotto il naso.
– Hater: quella degli “hater” è una categoria a se stante e trasversale. Gli hater, infatti, sono gli odiatori che, nella maggior parte dei casi, trollano per invidia. Se a primo acchito li si immaginerebbe intenti a riversare le loro dosi di fastidio sul personaggio famoso di turno (fedeli a quell’insano principio secondo cui si odia chi, sotto sotto, si ama), va altresì detto che la maggior parte degli hater attacca briga con persone sostanzialmente sconosciute. O meglio, conosciute soltanto nella propria cerchia di amici. L’hater, infatti, vede nei social network (ancor meglio se completamente anonimi come Ask) la possibilità di una rivalsa virtuale nei confronti di qualcuno che ha ottenuto, nel concreto, qualcosa di positivo dalla vita. Non importa se poi, incrociando suddetta persona nel mondo reale, l’hater non avrebbe nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi. I social network bypassano tutto ciò! Bastano una tastiera, un po’ di sana invettiva, e una discreta dose di distacco/anonimato capace di rendere l’ultimo scemo sulla terra il Cuor di Leone delle rivendicazioni mai richieste. Gli hater combattono una battaglia contro tutto e tutti. Si coalizzano. Attuano pratiche di bombing massivo. Insultano. Intimidiscono. Spesso spingono a gesti inconsulti. Il loro profilo può sfociare nel mobbing o nel bullismo da social network, dettato dall’incapacità di rendersi conto che, seppur virtuale, anche tale tipo di interazione può provocare ripercussioni emotive non indifferenti. Non ci credete? Provate a scrivere su twitter che avete vinto un biglietto per l’ultimo concerto degli One Direction. Buona fortuna!
– Musica: collegandoci agli One Direction e a “indie” Civati, un altro degli argomenti più forieri di troll è proprio quello musicale (ammesso che litigare a causa di Gigi D’Alessio o Marco Carta possa essere ascrivibile al concetto “litigare a causa della musica”). Così come per il calcio e il cibo, infatti, la tipica passione italica per la musica fa sì che le discussioni sul web 2.0 siano all’ordine del giorno. E, spesso, degenerino in sessioni di insulti e violenze verbali varie. Pensavate che le lotte tra diverse fazioni calcistiche fossero violente? Bene, le diatribe tra fan di questo o quest’altro cantante di Amici, X-Factor e via discorrendo lo sono molto di più. A ciò si aggiungono, poi, quelle tra fan di cantanti pop dell’ultima ora, con utenti pronti a trollarsi per un “like” non richiesto sull’ultimo video del cantante prediletto. Bei tempi quelli in cui erano le rockstar a darsele di santa ragione, e non i loro troll virtuali cagacazzi. Almeno ne saltavano fuori delle partecipazioni storiche.
– Grammar-nazi: esiste una sciagura peggiore delle cavallette? Ok, le cavallette-zombie. Tuttavia, fino al rinvenimento di queste ultime, la peggior sciagura dell’universo mondo sono i grammar-nazi. I grammar-nazi sono quegli utenti che godono nel sottolineare gli errori grammaticali e di ortografia di chiunque passi loro a tiro. E, badate bene, non stiamo parlando di professoroni laureati a Oxford o di linguisti incartapecoriti tra il dizionario Devoto-Oli e la grammatica del Bembo, bensì di persone che spesso padroneggiano soltanto l’italiano standard del Processo di Biscardi. I grammar-nazi vivisezionano ogni post o articolo su cui posano lo sguardo, evidenziando la mancanza di concordanze, l’assenza di accenti o apostrofi, l’utilizzo scorretto di maiuscole o minuscole, l’improprio utilizzo dei congiuntivi. Solitamente non lo fanno per interesse nei confronti delle “genti del bel paese là dove ‘l sì suona”, piuttosto per poter accrescere il loro ego. Bacchettando grammaticalmente coloro i quali non si limitano a disquisire sull’ultimo smartphone, piuttosto che sulla soluzione dell’ultimo gioco di ruolo. Perché sì, perché il grammar-nazi è un po’ nerd inside, non a caso la sua competenza nasce dalla combo di infiniti correttori automatici e google-search, non da una precisa conoscenza della materia. C’è un grammar-nazi dentro ognuno di noi. Odiarlo è un dovere morale.
– Politica: così come la cucina, il calcio e la musica, anche la politica (rinomata passione italiota) è terreno fertile per troll di ogni genere. Mentirei se dicessi che tutti i troll politici sono uguali, perché no, non è così. Potrei dividere i troll politici in diverse tipologie e sezioni, ma finirei per venire trollato a mia volta all’infinito (e, dopotutto, qual è lo scopo di quest’articolo se non di raccogliere nuovi e numerosi troll caga-cazzi?), quindi mi limiterò a illustrare genericamente tale categoria che, senz’ombra di dubbio, è una delle più becere e fastidiose. Parimenti alle categorie sopracitate, il troll politico di politica ne sa ben poco. Tant’è che, se i troll politici venissero scremati automaticamente da qualsivoglia social-network in base a una banalissima domanda (ad esempio, “chi è il presidente del consiglio vigente?”), credo che la loro popolazione quanto meno si dimezzerebbe. Il troll politico, infatti, è figlio della fine delle ideologie. Non ha alcuna competenza in materia e, soprattutto, ritiene che il fatto stesso di non averla sia una sorta di medaglia da esibire. Come se, per parlare di letteratura, sia un vanto dire di non avere mai letto un libro, salvo sottolineare, però, che si seguono tutti i tweet di Fabio Volo. Il troll politico è talmente contro il sistema da esserne parte fondante. Non ha nessuna alba delle rivendicazioni che sbandiera a piè sospinto, infatti si limita a una generica protesta del tutti contro tutti, volta a trollare chiunque osi uscire dal qualunquismo del “sono tutti uguali”. Per il troll, i politici e le loro idee devono essere tutte uguali! Altresì dovrebbe scendere nella mischia e riflettere. Informarsi. Studiare. Confrontarsi. Ma, si sa, queste sono operazioni che costano impegno e fatica. Molto meglio cazzeggiare sul web in attesa del prossimo Vaffa Day o dell’ennesimo, immondo, raduno di Forconi o CasaPoundisti. Perché, come diceva il buon vecchio Karlitos Kraus, “quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti”. Soprattutto se l’altezza non si misura più in centimetri, ma in decibel virtuali propagandati dalla rete.
Andrea Gratton