5 traumi infantili che le nuove generazioni non sperimenteranno mai
L’altra sera sono stato invitato ad una cena di gala.
No va beh, ero a cena al ristorante.
Ok ero dal Buzzicone sulla via Emilia, bello tranquillo con amici a mangiare i meglio strozzapreti della bassa quando nella stessa sala arriva una tavolata di tre coppie con pargoli a seguito.
Per farla breve, premettendo che per il quieto vivere il periodo di gestazione dovrebbe durare dai 15 ai 17 anni, a questi hooligans formato Kinder sorpresa, dopo venti minuti di urla indemoniate nel tentativo di acchiappare non so quale ca**o di personaggio in quale ca**o di gioco, viene ritirato l’ipad oggetto della contesa e finalmente.. ogni ragazzetto tira fuori un iphone.. e inizia a giocare per i ca**i suoi.
In quel preciso istante ho sentito le guance scaldarsi, ma non era rabbia, non era neanche il vino.. era il ricordo delle pizze che il mio babbo mi avrebbe tirato in un’occasione simile.. e preso da una dolce malinconia mi sono tornati alla mente tutti quei traumi vissuti durante l’infanzia e che le nuove generazioni faranno fatica a provare, per sfortuna.
Ecco i traumi che le nuove generazioni, purtroppo non sperimenteranno mai:
#1 La deportazione in collegio
Non avevi fatto i compiti? Avevi risposto male alla maestra? Avevi usato troppo bianchetto?
Solo un posto avrebbe potuto eliminare il germe della delinquenza che quelle azioni avevano piantato dentro di te: IL COLLEGIO.
Ragazzi io mi cagavo in mano davvero dalla paura. Ricordo ancora che come mio padre faceva il gesto di alzare la cornetta e comporre il numero, davanti ai miei occhi scorreva come in un film (in quel caso un cortometraggio poco articolato) la mia vita fatta di scambi di figurine, corse di macchinine, merende, fumetti.. no, non ero disposto a rinunciare a tutto quello, così soffocavo il pianto, prendevo la rincorsa e mi lanciavo verso il telefono per schiacciare compulsivamente la levetta che avrebbe messo fine alla telefonata.
Ok, probabilmente col senno di poi avrei dovuto trovare assurdo o quanto meno preoccupante che mio papà conoscesse a memoria il numero di una trentina di collegi sparsi per il territorio nazionale, fatto sta che oggi quella del collegio più che come una minaccia suonerebbe come un importante investimento sul futuro del proprio pargolo, nei casi in cui la prima retta dell’istituto non sia stata pagata durante la gravidanza alla scoperta del sesso del nascituro.
#2 Il fuoricampo della nonna
Tua nonna abitava in campagna e tu la seguivi mentre innafiava l’orto e pucciavi le mani nel fango come fosse un vasetto di marmellata? Bene.
Tua nonna abitava in citta e tu la seguivi mentre cucinava e pucciavi le mani in quello che era effettivamente un vasetto di marmellata? Bene.
Tanto la morale era sempre la stessa. La nonna, che fino a quel momento si era mascherata della vista di Bocelli e dell’agilità di Clara di Heidi per farsi credere innocua ai tuoi occhi, con un tempo record di 0,3 secondi si sfilava lo zoccolo, prendeva la mira e.. IL BUIO. Ti risvegliavi stordito dopo 45 minuti nel letto, con già infilato il pigiamino e la nonna di fianco che ti teneva la mano. Credo di non avere mai più sentito un dolore così atroce e dolce allo stesso momento.
#3 Il pallone nella porta accanto
Si sa, il rispetto per poterti presentare al campetto dell’oratorio e pretendere di giocare te lo dovevi guadagnare.
E così tutta la fase di addestramento si è disputata su quel morbido tappeto di cemento e carta vetrata che era il cortile del tuo palazzo. E che addestramento! Il terreno di gioco era disseminato di ostacoli che neanche una partita a prato fiorito: per i giocatori più discreti i pericoli maggiori erano le macchine, i vasi, le biciclette.. per i piedi “non compresi” come i miei: IL BALCONE DELLA VICINA.
Certo, la prima volta avrebbe sentito il rumore del pallone sul suo balcone, si sarebbe affacciata e me lo avrebbe ridato.
Alla seconda avrei potuto urlare il suo nome direttamente dal cortile, lei si sarebbe affacciata solo un tantino preoccupata per il sugo che intanto cominciava a borbottare, mi avrebbe guardato con sguardo dolce ma severo, e me lo avrebbe ridato.
Ma alla terza proprio non c’erano più cazzi. I primi 40 minuti erano densi di strategia paramilitare su come raggiungere il balcone sfruttando la Fiat Uno parcheggiata in cortile e la siepe, ma per me che ero una sega anche ai giochi della gioventù l’unica soluzione era risalire il cortile, suonare il campanello, salire al primo piano, bussare alla porta.. e prima ancora che potesse dire qualcosa chiamarla “mamma2” e attaccarmi al grembiule facendo gli occhioni come il gatto di Shreck.
Prima imparavi ad essere paraculo e meglio era.
#4 La messa in riga.. da 60 cm
No, il trauma non era girare con la riga da 60 cm che spuntava dallo zaino come una spada dal fodero, anzi quella era una figata. Cioè poi a casa un sacco di botte perchè ne rompevi una alla settimana, ma vuoi mettere i duelli all’intervallo immaginando di essere Hercules o altri magnifici personaggi mitologici.. o la sfiga di essere Iolao?
No no, il trauma era quando la riga passava dall’altra parte della cattedra, e allora perdeva tutto il suo fascino epico per trasformarsi in un terribile, spaventoso e poco flessibile strumento di morte.. per le tue nocche. Altro che servizio militare.
#5 La zonamici
Ragazzi, se la friendzone è diventata di moda in tempi recenti è solo perchè non potevamo fare gli screenshot dei bigliettini con cui ci dichiaravamo alla più bella della classe. Infatti la difficoltà non stava tanto nel dichiararsi: addirittura i monellacci più lungimiranti si mettevano all’opera già ai primi di settembre per preparare un ottimistico quantitativo di bigliettini tutti uguali riportanti la fatidica domanda “ti vuoi mettere con me”?
Il vero trauma era nella risposta, o meglio, nell’attesa della risposta.
Infatti, nonostante la chiarezza del quesito, i minuti successivi dividevano la classe in due comitati nella migliore tradizione referendaria, e gli scenari possibili erano unicamente due: o al suono della campanella uscivi mano nella mano con la tua nuova fidanzatina, o rimanevi in classe.. a farle i compiti.