Musica

Una metallara presso la prestigiosa megaredazione musicale

Il titolo ha in sé le premesse necessarie di cui tener conto nella lettura: donna, metallara, di Roma. No, ok, quest’ultima non si capiva, ma dire Roma e Metal è un po’ come dire Roma e Neve: succede, ma è raro.

Si dice che i giornalisti che scrivono di musica siano musicisti mancati che rosicano. E che chi scrive di musica in internet sia un giornalista musicale mancato che rosica.

E poi ovviamente ci sono i giornalisti da Prestigiosa MegaRedazione Musicale.

Io non lo sono, precisiamo. Ma ho avuto la ventura di prendere servizio per un periodo in una di queste. Grazie a un po’ di scrittura e a un colloquio, ho avuto accesso alla MegaCentrale Operativa, un appartamento diviso in tre locali, comprendenti:

Il Bagno, decorato con poster di varia epoca. Sono certa vi sia una metafora dietro, ma non la colgo.

L’Ufficio della Mega Direttrice Galattica della Prestigiosa MegaRedazione Musicale;

Uno Stanzone Bianco, comprendente due librerie, una scrivania, quattro cassettiere di plastica, ventordici poster e un lungo tavolo ingombro di carte, portapenne e almeno una mezza dozzina di Mac così pro da far snob.

In realtà la Mega Direttrice Galattica della Prestigiosa MegaRedazione Musicale mi è capitato di vederla, più che nel suo ufficio, nello stanzone, a lavorare con noi.

Difatti c’è crisi. Molta crisi.

E poco di cui sentirsi colpiti, almeno nel mio caso. O meglio, non avevo quel sentimento reverenziale di fedele ammesso in un Sancta Sanctorum, quanto piuttosto la curiosità del novizio al quale, dopo anni di addestramento, è permesso accedere ai quartieri alti e apprendere nuovi incantesimi con cui riempire il grimorio. *Nerd Alert*

Il tutto come adepto di un dio minore, qual è il metal nella capitale italiana. Quel genere che dicono sia ascoltato da quelli intelligenti (quelli che bevono anche tanto), così tanto da ghettizzarsi consapevolmente in location da paura lontano dalla civiltà, ripiegarsi in siti/fanzine dalla grafica artigianale (leggi i miei occhi sanguinano) e dipendenza strutturale da Napster nei tempi che furono e da Spotify oggi. E so che questo soppianto di culto è dovuto anche alle Prestigiose MegaRedazioni Musicali, la cui divinità maggiore, implorante e generosa riempie le loro cassettiere di plastica con demo racchiuse in buste marroni dal timbro postale e il cognome del recensore siglato a pennarello.

Una riserva sempre attiva di nomi poco spiegabili per la decenza umana, apparenze da garage o stanzetta nostalgica, edonismo della giusta età e soprattutto una profusione di suggestioni lisergiche, affreschi sonori di sublime, visionaria evocatività, architetture di chitarre sgrattuggiate, ritmiche sintetiche a singhiozzo, Stili da Sixties con occhiali post punk, ecc.ecc.

Il tutto servito ovviamente negli appositi formati da 800, 1000, 2000 caratteri, in ordinati flussi di coscienza giudicatrice che confluiscono nel computer della Mega Caporedattrice Clamorosa, depositaria finale di una catena di montaggio per ottenere il prodotto finale: Cosa vale la pena di essere ascoltato. E io lì, ultima ruota del carro, armata di istinto da ascoltatrice ed head-bagger professionista, nonché della penna rossa per correggere le bozze. Figo.

Appena entrata, comprendo due cose fondamentali. Anzi, tre:

  1. 1.       Mettiti lì. Oppure “Il computer lo scegliamo noi.” Che per carità, io odio i Mac e non saranno le tastiere e i monitor flat a farmi cambiare idea. Però il cavo dietro fa uno strano rumore. E no, nessuno si sta ascoltando i Daft Punk.
  2. 2.       Qui si lavora quando c’è il lavoro. Oppure “Siamo un mensile e siamo usciti ieri.” Benissimo, c’è il tempo per riflettere. E imparare.
  3. 3.       Questo non l’ha detto nessuno, ma era suggerito tra le righe: La musica la mettiamo noi.

Eccola la prova. Il level-up. La bevuta del Lete, prima di assaggiare l’Eunoè.

Perché la Prestigiosa MegaRedazione Musicale è un prezioso microcosmo di gusti musicali. Dove un giorno puoi sentire due redattori litigare per un’anteprima dell’ultimo album dei The National, quello che sembra avere qualcosa degli ultimi Velvet Underground.

E sì, son quelli di Lou Reed e parlare in questi giorni di lui è necessario. Attira i likes. Sì, sì, è per quello, non certo perché qualcuno piange in un angolino, dondolandosi e cantando Satellite’s gone up to the skies

In questi casi l’anima metal dentro di te sopporta. Non appare Yngwie von Malmsteen vestiti da padre di Don Giovanni a chiederti di pentirti tre volte. In fondo, hai sopportato di peggio, con il rap buttato in caciara dell’alternative metal, l’ambient nel post metal o l’ultimo album dei Melvins, la prova che dio ha un senso dell’umorismo molto malato.

Poi però qualcuno alla Prestigiosa MegaRedazione Musicale decide di passare in loop, per tre giorni di fila, Calcutta. O quale sia il suo nome.

Base semplice e melodica, testi parlati su un ritmo lento, a base di quotidianità e piglio non-sense, il tutto ripetuto dalle 15 alle 18. Memorabile il pezzo in cui lui dice di no a una tipa per uscire, perché deve portare a spasso il cane, anche se lui non c’è più, ribadito ogni due minuti e quaranta secondi. Pregnante ermetismo metropolitano, accompagnato da un certo nichilismo autolesionista…Come quello che prende me, mentre all’improvviso Alex Staropoli mi pare un angelo. Ed è tutto dire.

Divertente quando, durante questo waterboarding, entrò la grafica della Prestigiosa MegaRedazione Musicale: una speranza, nella comunanza data dalle ovaie.

E’ interessante!

In quel momento, capisci che c’è qualcosa a separarti dagli altri. Sarà che per te interessante è un aggettivo da applicare ai Myrath e alla Near Oriental Wave, oppure all’uso dei violini su partiture elettroniche. Ma si sa, son gusti, pur se accolti con lieve risolino. E io non scrivo pezzi. Anche perché nessuno manda niente sugli Orphaned Land, arrivano solo minacce di morte per chi ha parlato male degli Stato Sociale. E questo mi dà qualche speranza per un mondo migliore, come sentire qualcuno, al ritiro di Dave Groove parlare di prostata. Seems legit.

Possono permetterselo, hanno visto i Led Zeppelin nel ’72, che influenzarono tanto il metal, chi dice di no. Noi invece scriviamo in internet e abbiamo imparato su libri, sentendo dischi e siamo freddi, come dice qualcuno. Ma abbiamo un sottogenere che si chiama Avant-garde. Avanguardia. Fate voi.

Il pezzo è dedicato al calore intimistico e introspettivo-minimalista dei nostri maestri passati, da cui abbiamo da imparare. E chissà che non ricambino la cortesia.

Flavia Sciolette

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