Tipi umani

I tipi umani di Pordenone Legge

Pordenone legge soprattutto il programma di Pordenone Legge, tuttavia, ormai da tredici anni si rinnova l’appuntamento con gli autori. Le strade si colorano di giallo e i pordenonesi si riversano lungo le vie del centro. La letargia estiva è definitivamente annientata e la vita esplode come allo sbocciare delle violette a primavera. Se la cultura si misurasse a badili di merda, durante il festival la città ne sarebbe sommersa.

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Pordenone legge è la rivalsa del provincialismo. Esalta la cultura per contrasto. Come quei piccoli imprenditori che fanno laureare il figlio nonostante abbia un futuro segnato nell’impresa immobiliare di famiglia. Oppure come quando Bonolis a Ciao Darwin utilizza la parola ‘parossismo’.

Fatto sta che la Pordenone di ‘rutti e scorese’ si tappa i buchi e per un weekend fa interminabili code per ascoltare Giacomo Rizzolatti.

Vediamo di analizzare più nel dettaglio le persone che ci precedono nella fila.

Il professore

Negli anni settanta sognava un futuro da scrittore mentre leggeva Petrolio di Pasolini. Oggi ringrazia Dio di essersi laureato più di trent’anni fa e di avere il privilegio di insegnare alle matricole del classico il significato di ‘sineddoche’. Escluso qualche libretto del cazzo pubblicato dalla Biblioteca dell’Immagine la sua vita ruota attorno a Pordenone Legge. Durante il festival ha la missione di consigliare ai suoi alunni quale autore seguire. Sceglie accuratamente le conferenze a cui partecipare perché il momento delle domande rappresenta la sua unica possibilità di redenzione da una vita mediocre. Elabora quesiti complicatissimi unti di citazioni improbabili. Riceve dall’autore una risposta sbrigativa ma la interpreta come una prova definitiva della sua superiorità culturale. Trascorre il primo quadrimestre ad ammorbare i suoi studenti con i retroscena di quell’istante e il secondo quadrimestre a preparare le domande per l’anno prossimo.

Il mainstream

Partendo dal presupposto per cui sollazzarsi è più facile che nutrire la propria mente potremo facilmente prevedere che Vergassola avrà più ascoltatori di Dragan Velikić. Per anni questa logica è servita da alibi a tutti gli scribacchini che non vedevano decollare le vendite dei propri libri mentre la Rowling diventava ufficiale dell’ordine dell’impero britannico. “Scrivo cose troppo di nicchia”.

Il mainstream è agli antipodi del pensiero “meno lo leggono meglio è”. Di vedute più democratiche ama tutto ciò che gli viene sbattuto in faccia dai media e che può ricondurre a un programma in prima serata. Il suo scopo e procacciarsi autografi e foto con gli autori da mostrare agli amici che non c’erano perché palesando maggiore onestà intellettuale hanno preferito andare a mangiare cozze. Non resiste alla tentazione di commentare in maniera caustica i nomi di punta del festival. Lo sentirete dire che Giobbe Covatta non è più quello di Pancreas.

Esiste anche una variante subdola del mainstream che andrà a vedere Ammanniti, Wu Ming 2, Corrado Augias, Philippe Daverio e Marc Augé pensando in questo modo di appartenere all’elite culturale. Quest’ultimo potrebbe anche chiedere all’autore di farsi filmare mentre dice che il blog dell’oltreuomo è una grandissima figata.

La massaia

Quest’anno è triste perché nel programma non ha trovato la Littizzetto. Passerà l’intero periodo di  Pordenone Legge a raccontare a ogni malcapitato che Luciana è stata fantastica e che le ha pure autografato il libro La Jolanda furiosa.

Il dottorando

Il dottorando non si aggira quasi mai da solo, soprattutto ai festival culturali. Egli ha bisogno dei suoi simili per sentirsi meno isolato in questa società tutta dedita all’opulenza e al capitalismo, rifiutando parole come weltanschauung o Paolo Diacono.
Ovviamente per partecipare al festival il dottorando deve rispettare un codice estetico: sandali socratici e tunica dionisiaca, talvolta barba incolta e molto spesso borsetta di tela dell’università o del precedente festival (per esempio quello a cui è andato per non ascoltare Fabio Volo). Tutto ciò non per ostentare una mancanza di fondi alla ricerca, quanto piuttosto per dimostrare che la sua vita è fatta di sacrifici, o forse ancora per perpetuare uno stato di eterna giovinezza e creatività del pensiero.
Il dottorando, generalmente, segue il festival perché il suo professore è stato chiamato a parlare di “forza dell’addio” o di “letteratura nell’età globale”. Ci tiene a sottolinearlo recandosi al suo cospetto alla fine della lectio o semplicemente ponendo una questio su come il feticismo in Freud possa spiegare il significato del plusvalore così come ne parla Marx ne Il Capitale, d’altronde viviamo tutti nel post-umanesimo.
Disinteressato alla maggior parte degli incontri, finirà la giornata coi suoi amici dottorandi a piangere su se stesso e a sognare un posto da visiting professor presso l’università di Cambridge, anche se un po’ d’invidia per Fabio Volo la conserva.

L’accompagnatore

La parola accompagnatore è oggi sinonimo di escort. l’accompagnatore è dunque la puttana della cultura.
Se siete in fila per ascoltare Todorov Tzvetan, Aleš Šteger o Miroslav Kosut e non sapete chi sono allora siete una puttana. L’accompagnatore, infatti, non conosce gli autori dell’est europeo.
Di animo gentile e di professione assicuratore, egli ha deciso di sacrificarsi per una causa più alta. La letteratura per lui è come uno spritz aperol: non sa da niente ma tutti lo bevono. É così che il pulzello baldanzoso, ignaro di ciò che l’aspetta (ovvero una smaronata indescrivibile di paroloni ridondanti e di accento tutt’altro che barocco cionondimeno fruibili come il burro d’arachidi sul pan bauletto), si appresta a fare il gioco dell’oca col professore sovreccitato e i dottorandi che parlano in lingua semitica.
L’accompagnatore è lì come noi siamo nell’universo: per caso. E trova il suo scopo come noi lo troviamo nell’universo: scopare. Maschio o femmina che sia, quando il compagno gli ha chiesto di accompagnarlo ad ascoltare la lectio magistralis di Tzvetan Todorov, ha risposto “ma certo. Sono suo amico di facebook”. Se gli andrà bene a fine serata avrà ‘Dnevi poezije in vina’ autografato da Šteger. Se gli andrà male, avrà quantomeno bevuto uno spritz aperol.

Il curioso

Come in ogni contesto della vita c’è quello che passa per caso. Attratto dalle bandiere gialle e dal movimento cade in una sorta ebetismo paragonabile a quello di un tredicenne nella disco domenicale. Essendo l’unica persona che non corre da un evento all’altro verrà intervistato dalle televisioni nazionali e sarà preso da esempio di Pordenonese medio al Tg delle venti. Alla domanda “cosa pensi di Pordenone Legge?” risponderà che l’edizione di quest’anno gli è sembrata ancora meglio delle precedenti e che è bello che una città piccola come Pordenone inviti scrittori famosi come Valeria Golino.

Gli angeli

Gli angeli “son quelli là tra palco e realtà”. Per dirla con le parole di un noto cantautore che ironia della sorte è da sempre rivale di quell’altro che ha scritto “gli angeli”. Seppur ancora schiavi dell’acne, questi giovanissimi tuttofare devono tenere a bada le proteste dei fruitori del festival, il cui comportamento durante le code ricorda da vicino quello dei cosacchi del Volga.

Detto ciò, Pordenone Legge resta il fiore all’occhiello di una città morta.

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