Le Oltre favole

La sanguinosa sera del dì di festa

Appunti per un romanzo storico che affronta il tema della calvizie attraverso lo sguardo disincantato di Giacomo Leopardi.

La sanguinosa sera del dì di festa

Sanguinosa sera

Il conte Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi nasce in una delle più nobili famiglie di Recanati.
La madre, Virginia Mosca, è una donna molto religiosa. Infatti, fin dalla più tenera età Giacomo viene costretto a partecipare alla messa domenicale. Nel romanzo si racconta di come questo abuso lo porterà ad odiare l’ultimo giorno della settimana e preferire, ad esempio, il sabato.

“Questo di sette è il più gradito giorno
pien di speme e di gioia
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato”

Il padre, Conte Monaldo, è un uomo buono la cui autostima è stata, però, distrutta da una calvizie incipiente. Questo dramma riverbera sull’intera famiglia che viene costretta ad ascoltare interminabili aneddoti tesi a commemorare la folta chioma del capofamiglia. Presto Giacomo apprende il carattere ereditario della malattia e scrive delle poesie molto sentite sul tema. In “Rimembranze” racconta dell’angoscia che gli provoca guardare le stelle dell’orsa riflettersi sul lucido cranio paterno.

“Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti”

Giunto all’età della masturbazione, 22 anni per via dell’educazione cattolica, Giacomo si innamora perdutamente della figlia del cocchiere, Silvia. Silvia è una bellissima bambina affetta da strabismo di venere (“Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi”) che viene costretta dal padre a compiere dei servizietti a pagamento proprio sotto casa del poeta (“D’in su i veroni del paterno ostello/ Porgea gli orecchi al suon della tua voce/ Ed alla man veloce “).

Trama.
Giacomo Leopardi, durante una delle sue personali sedute contemplative della siepe sotto casa, sente delle grida che provengono da oltre l’arbusto. Vincendo la sua naturale reticenza, decide di guardare attraverso le frasche e accidentalmente assiste all’omicidio di Silvia. Purtroppo a causa della sua miopia non riesce a identificare l’assassino. L’unico indizio è la calvizie dell’uomo che l’ha uccisa. Lo shock provocato dalla scena causa una vistosa stempiatura sulla fronte del poeta.
In paese il dottore accerta che Silvia è morta di tisi. Giacomo prova a far valere le sue ragioni con l’unico mezzo comunicativo in suo possesso, gli endecasillabi misti ai settenari. Ma a Recanati non viene ascoltato e il caso viene archiviato nonostante le sue dolorose proteste. A seguito della vicenda il protagonista cade in depressione e paventa il suicidio mentre i maldicenti lo tacciano di essere un nichilista, un paranoico e di essere affetto da vittimismo cosmico. La sua calvizie si fa più grave, oltre alla stempiatura gli si allarga una piazzetta sulla nuca.
Quando tutto sembra perduto arrivano in paese “gli amici di Toscana”, una gang di ribelli affiliati all’accademia della Crusca. Con il loro aiuto, Giacomo riprende le indagini. Gradualmente il cerchio dei sospettati si stringe attorno a Padre Hart Lee Sykes, un prelato americano. Tutto sembra combaciare ad esclusione di un unico particolare: Padre Hart non è calvo.
Di fronte a questo impasse, Giacomo si trova abbattuto, senza speranza, senza forze e senza più nemmeno un capello in testa. L’ultima immagine coerente del giovane, lo ritrae nudo davanti a un grande specchio mentre cerca di pettinarsi il cranio glabro. Da questo punto in poi la trama diventa quella di “Shutter Island” e tutti i lettori capiscono con trecento pagine d’anticipo che l’assassino è Giacomo Leopardi.

N.B. Ricordarsi di rendere Giacomo simpatico e spiritoso.

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