Scuola

Classifica dei redditi universitari

L’università italiana è l’isola che non c’è del lavoro. Non perché è un luogo che non esiste, o perché l’idea di poter lavorare in università è puramente fantasiosa, o perché la canta Bennato. Il motivo è un altro. L’università è il luogo dove tutti restano bambini.

Se ci fate caso, chi lavora in università rimane fermo ad un età mentale compresa tra i quindici e i vent’anni. Invecchia, certo. Ma non matura mai.

In questo magico mondo potete imbattervi in donne che hanno superato i 35 anni che ancora fantasticano di avere un figlio. Certo, prima devono ‘sistemarsi’. Oppure vecchi di 50 anni che tradiscono la moglie con studentesse ventiduenni come fossero teenager alla sagra di paese. Single, zitelle, secchioni, amori inconfessati per i compagni di laboratorio e innocenti scappatelle ai congressi. Sostanzialmente rimane tutto come lo trovate in una qualsiasi scuola superiore.

Per tutti  questi motivi, i giovani italiani, celebri per non voler crescere, sbavano per riuscire a ottenere un posto in università.

Ma come tutte le utopie, c’è il rovescio della moneta. La moneta stessa.

Benché sia vero che l’università è un’oasi felice in cui si resta eterni adolescenti, è anche vero che lo stato se n’è accorto e ha tagliato i fondi. Come farebbe qualsiasi genitore coscienzioso con il figlio degenerato. Volete cazzeggiare tutta la vita nascondendovi dietro l’alibi di una decina di pubblicazioni l’anno costruite modificando una virgola nei parametri degli stessi dati che il vostro laboratorio si tramanda da generazioni? Va bene. Però vi paghiamo poco.

Lo so, lo so, la ricerca è la base del rilancio di qualsiasi economia. Infatti bisognerebbe chiudere il 90% delle ricerche in atto e dirottare ogni investimento insensato verso studi veramente utili. Ma a quel punto non sarebbe più divertente. Fare ricerca diventerebbe un lavoro.

Quindi vediamo come se la passa chi lavora in università.

La classifica delle figure professionali universitarie in base al reddito annuo

(viene considerato il reddito maturato in università non quanto percepito da eventuali lavori esterni all’accademia)

1. Professore di ruolo (età media di 60 anni)

2. Personale tecnico amministrativo (età media 40 anni)

3. Professore associato (età media 50 anni)

4. Guardia giurata (età media 35 anni)

5. Il tizio che ricarica la macchinetta del caffè e rifornisce il distributore di snack (età media 28 anni)

6. Addetto alle pulizie (età media 32 anni, donna, straniera)

7. Ricercatore (età media 33 anni)

8. Dottorando (età media 26 anni)

9. Professore a contratto (età media 40 anni): il professore a contratto si trova in ultima posizione poiché molti non sono proprio pagati (contratto a 0 euro). Accettano di tenere un corso (diciamo che lavorano un’ottantina di ore l’anno) per fare curriculum e alzare la parcella del lavoro che fanno nel mondo reale sbattendo in faccia al cliente l’evidenza che insegnano all’università. Quindi sono più bravi. Lavorare gratis in cambio della promessa di un innalzamento di status è la sintesi del mercato del lavoro italiano.

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