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20 cose che solo chi ha giocato a calcio da piccolo può capire

Come il novanta per cento dei maschi italiani da piccolo giocavo a calcio. Dopo due anni di mini-basket – che si conclusero con un bilancio di zero canestri e un auto-canestro – cominciai a giocare con la squadra del mio paese. Avevo più o meno nove anni e dopo un inizio scoppiettante le mie prestazioni calarono fino al giorno del mio ritiro una decina d’anni dopo. Ero un buon giocatore ma terribilmente emotivo, il che significa fare cagare anche se si hanno i piedi di Pirlo, perciò al tempo ero famoso per essere l’attaccante che sbagliava i gol. Poi mi spostarono in fascia e divenni l’ala che non corre.

Bella l’ansia.

Però ogni tanto ripenso a quella decade tutt’altro che spensierata e alla frase che continuavano a ripeterci, ovvero che il calcio fosse una scuola di vita. Se è così non ho mai preso il diploma, ma sono molte le cose romantiche che si possono trovare nei campi di provincia.

Partiamo con l’amarcord.

#1. L’insopportabile puzza di sudore acido delle casacche in allenamento, che venivano lavate una volta ogni diciassette anni.

#2. Il tè caldo saturo di zucchero dell’intervallo tra il primo e il secondo tempo; creava più dipendenza dell’eroina.

#3. Le nefandezze che avvenivano nello spogliatoio a discapito della vittima di turno, tra cui l’immortale secchiata di piscio.

#4. Le punte dei piedi congelate e ormai prive di sensibilità durante gli allenamenti nei mesi invernali.

#5. L’invidiabile creatività degli allenatori di provincia nell’inventare una bestemmia sempre buona.

#6. Il tizio con il pene più lungo di un sottomarino sovietico, ce n’era uno in ogni spogliatoio.

#7. Gli accompagnatori, simpatici adulti spesso costretti a fare i guardalinee.

#8. Essere convocati ad un provino da parte di un osservatore di una grande squadra e non vedere palla durante la partita.

#9. Il terzo tempo della categoria pulcini, quel momento magico in cui entravano gli scarsi in massa e la partita si trasformava in un carnaio incontrollabile.

#10. I campi di alcune squadre di provincia, che sembravano aver appena ospitato un rave parti di un mese e mezzo.

#11. L’odore della tuta e del borsone nuovi.

#12. Il timore profondo che ti assaliva quando osservando il riscaldamento degli avversari notavi che erano alti tutti due metri.

#13. Urlare il nome di un calciatore famoso quando si faceva un numero in allenamento. Ad esempio dopo un doppio passo gridare “Denilson!”, senza alcun motivo

#14. La società che decideva di applicare una piccola multa per chi imprecava in campo ma l’allenatore era l’unico che ci perdeva metà stipendio.

#15. Le velleità degli allenatori che cercavano di applicare diversi moduli ma alla fine si giocava a caso.

#16. Usare i paletti dell’allenamento come un giavellotto.

#17. Gli arbitri che sembravano tutti usciti dal cottolengo.

#18. Realizzare che i veri bambini erano i genitori sugli spalti che sbraitavano come fossero posseduti.

#19. I palloni che erano pesanti come palle mediche, altro che quella specie di supertele che usano adesso.

#20. La felicità di fare gol ed esultare alzando la maglia come a una finale dei mondiali.

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